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LA MOSCHEA A ROMA - EXTRACOMUNITARIA DI LUSSO

Carissimi, mi preoccupa il tempio e sono convinto che debba preoccupare chiunque voglia religioni buone (e non lo sono se provocano divisioni, contrapposizioni, rivalità, guerre...) per una buona umanità.

Mi preoccupa il tempio. Anzi: i templi. Cioè il tempio in tutte le sue versioni: pagoda, sinagoga, chiesa, moschea e simili.

La cronaca recente parla di una moschea. Quella a Roma. Una moschea non soltanto fuori territorio islamico, ma piantata addirittura nel centro (nel "cuore") del cattolicesimo che, dall'esterno, totalizza sbrigativamente il cristianesimo. Insomma: una moschea immigrata. Anzi, extracomunitaria. Cioè in una posizione spesso (quasi sempre!) scomodissima, schiacciata tra due abbandoni: quello del paese di origine e quello del paese di arrivo. Ma a lei, alla moschea di Roma, è andata bene. Benissimo. Arabia Saudita con Marocco e altri ventidue paesi islamici l'hanno accreditata con una dote di ottanta miliardi. Roma l'ha accolta offrendole trentamila metri quadri dei suoi scarsi spazi abitativi. E il Vaticano ci ha messo di suo un pronto consenso (Paolo VI trent'anni fa). Al resto hanno pensato importanti architetti che l'hanno curata e vestita di materiali pregiati. Garantiscono che è bella. Sicuramente è grande: la più grande d'Europa. Anche alta: il suo minareto, seppure dimezzato rispetto al progetto, sale fino ai quaranta metri. In ogni caso, avrebbe dovuto rimanere più basso della cupola di S. Pietro. Il contrario sarebbe stato troppo: chi pensa che le gerarchie monumentalizzate (più alta l'abitazione - magari una torre! - più importanti i suoi abitanti) siano rimaste ferme all'architettura di certe nostre città medievali è, evidentemente, un ingenuo.

Una moschea immigrata (ed extracomunitaria!) di lusso. Privilegiata. Un'eccezione. E la cosa non piace a tutti. Qualcuno vede offeso Dio (il Dio proprio) e tenta riparazioni rosariando. Altri vede offeso l'uomo e chiede come si può spendere tanto per una moschea (per un tempio) e lasciare che uomini e donne muoiano (centomila ogni giorno) per mancanza del necessario: "Allah - hanno scritto ad un quotidiano - è più onorato salvando tanti suoi amatissimi figli dalla morte o murando le pietre? Se ci sia un muezzin, rabbino, bonzo, sacerdote o chicchessia che possa dare una risposta soddisfacente sarebbe degno di gratitudine". É la scontentezza più seria. Ma è più pertinente quella dei rosarianti. Che rimangono nella logica del tempio, la logica dei princìpi che non hanno prezzo e valgono qualsiasi prezzo (anche umano). Si oppongono al tempio altrui perché conoscono la "forza" del tempio e non accettano che la concorrenza cresca mostrando il suo volto migliore (l'Islam in avanscoperta dialogante), approfittando di incaute concessioni in nome della tolleranza religiosa (sia pure interessata ad essere contraccambiata).

I rosarianti sono fuori della storia? Si e no. C'è storia senza il tempio? La domanda semmai è un'altra: c'è storia del dialogo, dell'incontro, della convivenza serena della e nella pluralità con il tempio o grazie al tempio (ai templi)? In questa direzione ho il sospetto che i più fuori storia siano coloro (praticamente un plebiscito!) che hanno visto nel minareto tra i campanili ciò che gli edifici non possono realizzare e che questo tipo di edificio (il tempio) è semmai incline ad ostacolare. Voglio dire che mettere accanto templi diversi non significa automaticamente produrre buon vicinato tra persone di differenti (e questo è abbastanza ovvio). Ma voglio anche dire che il tempio è più propenso a dividere che ad unire (e questo è meno scontato). La nostra lingua associa al campanile rivalità, irrigidimenti, piccose rivendicazioni ("campanilismo"). Un'indicazione minore. Ma da cogliere con attenzione: intorno al campanile (al tempio) si compatta il gruppo e si alimenta la sua identità, ma contro un altro campanile, cioè altro gruppo e altra identità. Anche in versione bonaria di competizioni paesane. Ma anche in espressioni molto più vaste e feroci. La divisione dei santi e delle madonne, ma anche la divisione di Dio che sarà unico, ma intanto è il Dio mio e il Dio tuo. Ciascuno nel proprio tempio, in spazi (recinti?) separati. Una divisione al vertice che raggiunge il cielo! In mano ai gestori del tempio che hanno così in mano le sorti di chi a quel Dio affida i propri destini. Non sorprende che tutti (o quasi) i potenti siano stati munifici costruttori di templi. É stato troppo minimizzato il fatto che Gesù di Nazareth abbia associato l'essere dalla parte dei "poveri" alla radicale opposizione al tempio. La storia si rovescia sottraendo Dio dai templi e restituendolo all'uomo; togliendo Dio dalle divisioni e donandolo alla buona convivenza umana; togliendo Dio dal potere di qualcuno e mettendolo a guida della responsabilità di tutti.

Allora: opposizione alla moschea a Roma? Ne apprezzo i segnali positivi: è comunque un'"alterità" difficilmente evitabile dai nostri provincialismi religiosi; è comunque ben visibile, anche ai ciechi da integralismi, un po' di buona accoglienza religiosa ("tolleranza" suona veramente male!), che è buona cosa in sé e per sé e indipendentemente da reciprocità accordate o negate.

Ma non vado oltre. Anzi: vado molto (troppo?) oltre, auspicando l'epoca senza moschee, cioè senza templi.

Cioè l'epoca senza religioni? Certamente senza le religioni prodotte dai tempi. Non necessariamente (anzi!) senza religioni diverse, ma forse non estranee a come erano state pensate da alcuni loro iniziatori.

Cioè religioni sommerse, negate a visibilità ed espressività proprie? Fede - si diceva - senza religione? Sono convinto che l'assenza del tempio non escluda luoghi di incontro. In Atti 2,1 si dice: "Erano riuniti tutti nello stesso luogo" che, secondo il greco, andrebbe tradotto in "erano riuniti tutti per un solo scopo", "per la medesima cosa". Si cerca uno spazio perché ci si vuole riunire. Che è altra cosa dal riunirsi perché esiste un luogo deputato ed esclusivo per quella riunione.

Il nonno sogna. O vaneggia?

Ai nipoti decidere.

Martino Morganti


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