MANTENIAMO LE DISTANZE
Carissimi,
le ho ritagliate e conservate. Si tratta di tre lettere inviate ad un quotidiano toscano nei primi mesi di quest’anno. La prima poteva far pensare ad una stravaganza isolata Le altre insinuano il so spetto che circoli, anche tra i buoni cattolici, l’allergia da contatto con i propri simili.
Le lettere chiedono l’abolizione della stretta di mano nella messa o almeno un suo esercizio adeguatamente cautelato contro probabili contagi.
La prima lettera inquadra il problema e propone una soluzione: "Andiamo incontro al periodo estivo: mani sudate, appiccicaticce, sane e malate, pulite e sporche, che per non sembrare sdegnosi siamo obbligati a stringere. Se non si ritiene, come sarebbe necessario, abolire questo gesto a difesa sanitaria si ponga all’ingresso della chiesa un contenitore con guanti simili a quelli che si usano nei supermercati per la scelta della frutta e verdura".
La seconda lettera concorda sulla pericolosità di questa pratica (testimonia di un amico che aveva dovuto scambiare il segno di pace "con un vicino che da mezz’ora si starnutiva nelle mani"!) ma dissente sull’uso dei guanti che poi finirebbero dispersi in piazze e strade. Soluzioni ottimali: "abolire questa invenzione che non risale alla dottrina cristiana"; comunque prendersi la responsabilità personale di "non scambiare il ‘segno di pace’, anche se ciò può apparire come comportamento sdegnoso: non è mica un obbligo!". Soluzione di ripiego: sostituire la stretta di mano con altri gesti tipo "il saluto televisivo’ con la manina agitata in senso laterale" o "il saluto ‘pugilistico’ con le proprie mani unite e agitate sopra la testa".
La terza lettera concede che la stretta di mano nella messa " è, forse, una cosa positiva". Però da quando lo scrivente si è trovato "accanto a una persona che aveva un forte raffreddore" prova un invincibile senso di repulsione e "adesso a messa (si tiene) lontano da tutti".
Tre lettere, appena tre. Non azzardo proiezioni. Ma non sono già troppi tre credenti in Gesù di Nazareth che, senza battere ciglio, propongono di "togliere il saluto" ai fratelli, e di farlo proprio dove - nell’eucaristia - le cose sbagliate nella pratica quotidiana (e cosa c’è di più sbagliato del "rompere" con i propri simili?) dovrebbero trovare almeno un accenno di ravvedimento e almeno una simbolica indicazione di sana progettualità? E, questi tre, non sono sufficienti per chiederci il perché di tanto accanimento nei confronti di un piccolo atto rituale che però è l’unico (o quasi) a proporci un incontro di corpi e non solo di anime?
Domande che - ed ecco il dato che allarga sorpresa e sconcerto - riguardano queste lettere ma come capitolo ultimo di una storia antichissima. In realtà il liturgico gesto di pace non ha mai avuto... pace, è sempre stato oggetto di diffidenze, addomesticamenti, spiritualizzazioni, emarginazioni. Oggi prevalentemente in nome di esigenze igieniche (la diffusione dell’Aids ha esasperato la paura di contagio). In altri tempi in nome di altre difese. Ma sempre difese dai propri simili.
All’inizio la pace era espressa dal gesto più ravvicinante: il bacio. Paolo di Tarso lo aveva teologizzato a più riprese (I Cr 16,20, IICr 13,12...): bacio "agapico" di amore, di superamento di ogni sbarramento tra greci ed ebrei, schiavi e liberi, maschi e femmine. Si, anche tra maschi e femmine. Una delle più significative novità cristiane, afferma W. Klassen: non ha precedenti nei costumi ebraici ed ellenici; è uno degli ‘scandali’ portati da Gesù che si lascia baciare, almeno nei piedi, da una donna (Lc 7).
Bacio nella celebrazione massima, l’eucaristia, anche se in suoi momenti diversi: all’inizio dove lo collocano Giustino (II sec.), Ippolito (III sec.) e svariate liturgie (ispano-mozarabica, copta, etiopica, siro-orientale...); al termine dove lo volle Innocenzo I (V sec.); tra il Pater e la comunione dove è praticato dal rito cattolico. Ogni sua collocazione è valida: non si può accedere all’altare se non riconciliati (Mt 5, 23ss); è importante dare un "segno di adesione a quanto celebrato" cioè alla fraternità; pace e comunione sono sulla stessa linea di progetto e di impegno.
Il bacio nell’eucaristia ha resistito a lungo. Però cambiando modalità ed oggetto. Dall’iniziale osculum oris (bacio della o sulla bocca!) si è passati al bacio delle mani (siro-orientali) o delle sole dita (maroniti), o all’inchino toccando le mani (copti)… E dal bacio a persone si passa a baciare la tabula pacis o oscularium, un’immagine sacra di metallo o di legno, diffusasi dall’Inghilterra nel secolo XIII. Insomma: il bacio scivola sempre più alle periferie (alle estremità) delle persone e poi trasmigra dalle persone ad oggetti che, tra l’altro, significano e sollecitano rapporti con il divino più che incontri tra gli umani.
In molte liturgie il bacio, o altri gesti che lo sostituiscono, spariscono completamente o rimangono in forme e tempi eccezionali. La liturgia cattolica aveva conservato un abbraccio di pace soltanto nella "messa solenne" e soltanto tra i celebranti. "Pace clericale" si diceva scherzosamente. Forse era una cosa seria. Ormai era stato teorizzato (si veda Eusebio di Cesarea e Ambrogio di Milano) che l’incompatibilità del cristiano con le armi e la guerra rimaneva valida per i chierici ma non più per i laici: l’abbraccio soltanto tra i chierici ne era una visualizzazione?
Soltanto la riforma liturgica del Vaticano II ha restituito il gesto di pace a tutti e a tutte le celebrazioni eucaristiche. Gesto che, almeno dalle nostre parti, si esprime in una stretta di mano. Proprio la stretta di mano messa in discussione da quelle lettere.
Già: quelle lettere. Soltanto tre e non lo dimentico. Però tutte e tre, e non lo posso sottovalutare, chiaramente in linea con la "fobia del contatto".
"Fobia del contatto" tipica della cultura "civilizzata" che deve proprio all’abbandono della forma primaria della comunicazione animale ed umana, appunto il contatto fisico, il suo analfabetismo corporeo ed emozionale e, forse, anche lontani e invisibili ascendenti delle quasi inevitabili "risse da pianerottolo", della insopportabilità del "vicino" sia di abitazione (i condomini), che di territorio (spartani e ateniesi, hutu e tutsi, valloni e fiamminghi, serbi e croati...), o di casata (Montecchi e Capuleti...).
" Fobia da contatto" che non ha risparmiato il cristianesimo. Il cristianesimo "civilizzato". E "intimizzato". Il massimo per rendere compatibili gli opposti: prossimo e distante. Prossimo "spiritualmente" ma alle dovute distanze "materialmente": amore ma saltando o riducendo al minimo l’incontro troppo ravvicinato. La liturgia fa da specchio e riflette anime e oscura i corpi forse perché ridotti a fantasmi e i fantasmi - si sa! - sugli specchi non appaiono: il trattamento ricevuto dal gesto di pace non è molto diverso da quello subito da altri "segni" troppo "corporei", accantonati o quasi (si pensi alla lavanda dei piedi) o soggetti a profonde sublimazioni (fondamentale la trasformazione della convivialità eucaristica: e come dimenticare il "corpo" di Cristo reso intoccabile fino a pochi anni fa?).
Scrivo e penso a Francesco d’Assisi e il suo incontro con il lebbroso. " Quell’incontro inaspettato lo riempì di orrore (ma poi) scese da cavallo e corse ad abbracciare il lebbroso e, mentre questi stendeva la mano come per ricevere l’elemosina, gli porse del denaro e lo baciò" (Leggenda maggiore, 5)
Martino Morganti