QUELLA TESI NON S’HA DA FARE
Carissimi,
i nonni, come le case abitate a lungo dalle stesse persone, sono pieni di cose messe da qualche parte e dimenticate. Capita che qualcosa venga fuori dal nascondiglio. Ed è sempre un ritrovarsi. Provocando appena un sorriso di sorpresa o un pizzico di nostalgia. O anche un confronto tra il "come eravamo" e il "come siamo".
Il nonno recentemente si è imbattuto in una tesi mai fatta
Verso la metà anni ‘50 il nonno era studente (giovane!) di diritto canonico e doveva scegliere l’argomento per la tesi di laurea. Nei non esaltanti percorsi giuridici aveva scoperto, grazie a studiosi "laici", la pena come medicina e cura dell’uomo più o oltre che vendetta e punizione su e dell’uomo. Gli sembrava che questa prospettiva potesse essere sottoposta alla prova del nove della pena che è esclusivamente e definitivamente punizione: la pena di morte. Ovviamente la pena di morte vista dal versante dell’ordinamento ecclesiastico.
Il nonno si era dato da fare ed aveva raccolto utile materiale e steso un possibile disegno complessivo di trattamento. Ma tutto rimase progetto. Nessuno dei professori interpellati si disse disposto a lasciarsi coinvolgere sul tema della pena di morte se non fosse chiaramente a favore della stessa. Uno di loro, un grasso e simpatico canadese, liquidò la cosa con una rumorosa risata: "Ma vuole laurearsi o suicidarsi?". Ripiegai su altro argomento, inutile ma innocuo.
La tesi sulla pena di morte finì in soffitta e riemerge oggi quasi risvegliata dal rinnovato clamore sull’argomento. Fanno notizia particolarmente le esecuzioni capitali praticate negli Stati Uniti d’America (dal 1976 ad oggi vi sono state giustiziate 438 persone) anche se la pena di morte è in vigore ed è praticata in 93 paesi. Si allarga il fronte degli abolizionisti e oggi vi compare anche una voce allora muta o, comunque, disponibile per altro coro: la voce del Papa che invoca clemenza per uomini e donne pronti per l’esecuzione mortale. Da dedurne che la chiesa è passata sull’altra sponda e che la tesi allora discorde dalla linea ecclesiastica ne diventerebbe oggi di consenso e sostegno?
Il ricordo e l’attualità, incontrandosi, si guardano in faccia.
Hanno sicuramente difficoltà a riconoscersi. Ma perché si specchiano due realtà radicalmente diverse o perché si confrontano aspetti cambiati della stessa identità così come avviene tra una foto da vecchio rispetto a quella da giovane?
E’ vero: il papa invoca clemenza per condannati a morte. Inascoltato: l’esecuzione avviene regolarmente. Eppure ascoltato? Viene da chiedersi se, ad esempio, George Bush che non concede la grazia a Karla Tucker, non sia in linea con il papa pur dimostrandosi sordo all’appello del papa invocante la sospensione della pena.
Il papa interviene in casi particolari di condanne a morte. Cioè nello spazio che anche i più recenti ripensamenti ecclesiastici lasciano aperto al suo impiego. Spazio sempre più ristretto e sempre più problematico ma spazio ancora esistente. La nuova versione (1997) del Catechismo della chiesa cattolica, tiene conto della enciclica Evangelium vitae (1995), e restringe le ampie aperture della prima versione (1993). Dalla pena di morte che "può essere ammessa nei casi particolarmente gravi" siamo passati a limiti molto stretti: " A seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine, rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai rari se non addirittura inesistenti".
Ci sono qui molti degli argomenti sostenuti dagli abolizionisti. Ma qui l’abolizione non c’è. L’eccezione, sia pure riconosciuta improbabile, non è esclusa. Bush e compagni si possono rendere garanti che ogni loro esecuzione è un caso " di assoluta necessità" e che, tutto sommato, si possono ritenere in accordo con il papa anche dicendo di no alle sue invocazioni di clemenza.
Tutto questo oggi. C’è chi (G. Girardet in Confronti 1998, 5, p.27) invita a non evadere dal presente, a non "cercare nel passato capri espiatori e padri precursori". "La nostra attuale sensibilità nei confronti non della pena capitale ma di ogni severità penale e ogni durezza punitiva, è cosa nuova e recentissima della storia umana". Ed efficacemente aggiunge: "Immaginiamo di mettere insieme in un talk show Lutero, Leone X, Ignazio da Loyola, Carlo V, il sultano Solimano il Magnifico e l’imperatore della Cina: non è difficile immaginare che motivi di conflitto e contrasto ve ne sarebbero a dozzine, ma non su questo punto. A nessuno di loro passerebbe per la mente il pensiero che la pena di morte pronunciata da un tribunale legittimo, abbia qualcosa di inaccettabile o di disumano". Ineccepibile: occorre contestualizzare. Ma come evitare delusione ed amarezza per un cristianesimo che, pur rivendicando il monopolio della rivelazione divina e della redenzione umana, non ha mai saputo essere migliore dei propri contesti storico-culturali; si è spesso trovato in facile collusione con i contesti più crudeli e disumani; è stato quasi (!) sempre riluttante e in ritardo rispetto a contesti di positiva umanizzazione?
La tesi che il nonno non ha potuto fare appartiene a data lontana ma già allora molti prendevano sul serio il "non uccidere". Cesare Beccaria aveva detto, e nel 1764 (Dei delitti e delle pene), molte delle cose che il Catechismo arriva a dire soltanto in questi ultimissimi anni. E gli stessi cristiani avevano già preso la loro netta distanza da ogni uccisione compresa quella "legale": Tertulliano, Lattanzio, Minucio Felice, i Canoni di Ippolito, il concilio di Elvira sono dei "padri precursori". Anche se dimenticati. Anche se tutti al di là del IV-V secolo, prima che il cristianesimo, ormai religione statale, adottasse la posizione statale, riservandosi inizialmente di cercare di mitigare la severità delle pena ("La vostra severità è utile perché assicura la nostra tranquillità, la nostra intercessione è utile perché tempera la vostra severità" S. Agostino, Ep. l53) e in seguito, soprattutto in vista dell’eresia e della
magia, rinunciando anche a questo intervento mitigante (" Se un uomo è pericoloso alla comunità e la corrompe a causa di un qualche peccato, lodevolmente e giustamente lo si uccide per preservare il bene comune". S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, II-II,64,2).
E’ giusto contestualizzare. Oggi diverse teologie si pregiano proprio di essere in contesto o contestuali. Però contestuali nel senso di rimanere radicate nelle diverse realtà storiche e, in esse, esercitare la libertà di collocarsi dalla parte di tutti i diritti conculcati e di ogni giustizia che non sia vendetta ed omicidio. Uno smettere di giocare con i principi e le idee che sono insieme estranee alla storia e in facile combutta con la storie sbagliate proprio perché teorizzano poteri divini che diventano poteri umani, legittimati di tutto, anche di uccidere. Si potrebbe dire: teologia contestuale perché la teologia non sia succube dei contesti storico- sociali e culturali nocivi al rispetto di ogni uomo e donna: buoni o cattivi, giusti o ingiusti; il Dio di Gesù di Nazareth manda sole e pioggia sugli uni e sugli altri (Mt 5,45).
Martino Morganti