CHIEDERE PERDONO NON È UN INVESTIMENTO DI PRESTIGIO
Carissimi,
i "mea culpa" arrivano all’ingrosso. Quelli delle chiesa cattolica richiedono aggiornamenti quasi giornalieri. Ma arrivano anche da statisti, francesi, giapponesi, svizzeri, tedeschi, inglesi, statunitensi, sudafricani… (Si veda, ad es., P. Galimberti in Il venerdì di Repubblica, 1 ott. 1997). Ultimo, mentre scrivo, quello del presidente cinese Jiang Zemin che ha ammesso (1 nov. 1997) "qualche errore" nei fattacci di piazza Tienanmen. Qualcuno lamenta il silenzio, la mancanza di "mea culpa", da parte delle culture laiche, dall’illuminismo in poi, marxismo incluso.: "È possibile che anch’esse non siano debitrici di qualche pentimento per qualcuna delle cose che hanno pensato, fatto o suggerito di fare negli ultimi due-tre secoli?" (E. Galli della Loggia, Corriere della sera, 26 ott. 1997; riserve di E. Scalfari, La Repubblica, 31 ott.; in linea J. Daniel, Ib. 1 nov.).
Tempo, insomma, di scuse. In tanti si inginocchiano "al confessionale della storia" ed è facile prevedere che altri si accoderanno alla fila. Si dichiarano discendenti di erranti ("errare" associa, come si sa, "vagare" e "cadere in errore") e, quindi, riconoscono se stessi "geneticamente esposti ad errare, cioè possibili erranti.
Viene da dire, viva il passaggio di secolo e di millennio se serve a rinsavimenti, se aiuta a chiamare male ciò che si era chiamato bene, a dire sbagliato ciò che si era detto giusto e doveroso. Più decisamente: se induce a smettere di giocare pericolosamente con quella assurdità umana che va sotto il nome di infallibilità. Che non è principalmente quella cattolica definita dal Vaticano I, di rarissime applicazioni e senza decisive incidenze. Ma è l’infallibilità sottilmente presente ed operante in tutte le prepotenze umane. Delle chiese e delle religioni quando contrabbandano depositi di infallibilità divine. Delle istituzioni, delle culture, delle correnti di pensiero e delle stesse scienze se, magari rivendicando autonomie umane, si ammantano di una prerogativa, appunto l’infallibilità, che non è in dotazione umana. Di ciascuno di noi se e quando buttiamo in faccia all’altro convinzioni perentorie, senza metterci nemmeno l’ombra di un "forse", senza concedere niente alla possibilità di una correzione, integrazione, modifica, arricchimento.
Ben vengano i "mea culpa" e di questo tipo: non più privati e sussurrati con la protezione del segreto ma pubblici e confessati ad alta voce ed a volto scoperto.
Però chiedere perdono non è… un modo di dire. È un falso e, nel caso, un vero falso in atto pubblico, se non è un modo di essere o, almeno, di voler essere.
Nelle dinamiche della "confessione" cattolica la manifestazione della colpa (o confessione) esigeva di essere preceduta dall’esame di coscienza e dal pentimento e approdava all’assoluzione dopo prove di penitenza, di cambiamento, di impegno a "non peccare più" (il riferimento non è alla prassi più recente che ha ridotto la penitenza a qualche "Ave Maria" e l’ha spostata a dopo l’assoluzione!). Non male come quadro di riferimento.
Chiaramente non c’è confessione senza esame di coscienza. Difficile - si dice – per la cultura laica "per l’imbarazzo e l’insicurezza profondi che in quella cultura suscitano le questioni della responsabilità e dunque della colpa quando riguardino, come qui è il caso, sé medesime, le proprie idee" (Galli della loggia). Facile per gli altri? La chiesa cattolica esibisce "esami" anche puntigliosi: si pensi alle recenti giornate dei sessanta esperti dedicate ai rapporti cattolici-ebrei. Ma è accertato che la religione cattolica sia a tutto campo o non vada per selezione, lasciando alcuni o molti settori inesplorati e proprio per lo stesso imbarazzo e la stessa insicurezza attribuita ai laici? Anche nel confessionale succedevano (e succedono?) manifestazioni incomplete perché figlie di esami incompleti o per coscienza erronea o deformata! Scalfari ribatte facilmente a Galli della Loggia che non si possono attribuire tutti i mali del mondo al nichilismo e alla perdita dell’Assoluto e della morale eteronoma che ne deriva, se la chiesa si mette in discussione proprio per errori commessi in nome dell’Assoluto. Forse sarebbe più corretto dire in nome di assoluti. E forse Scalfari non ha approfondito la starna ma reale convivenza, nella chiesa, del riconoscimento di errori comportamentali e del persistere di assoluti che con quei comportamenti hanno rapporto di causa ad effetto.
L’esame di coscienza parziale rende parziale, oltre alla confessione, il pentimento. Il più difficile da controllare. E, infatti, lascia spazio a tutte le interpretazioni. Forti dubbi vengono sollevati sui pentimenti degli statisti: "Sospetto che tutto questo pentirsi e scusarsi non sia completamente sincero, sia invece dettato in buona misura da motivi di immagine. Il "buonismo" paga in termini di consenso interno e internazionale" (P. Galimberti). Emblematico il pentimento di Zemin sussurrato ad Harvard sperando di non essere ascoltato dalla lontanissima Cina. Anche i pentimenti della chiesa cattolica rendono bene. Forse più al suo esterno (i "laici" applaudono sempre e senza riserve!) che al suo interno, ma certamente risultano un sicuro investimento di accresciuti credibilità e prestigio, tanto da ingenerare il cattivo sospetto che il loro moltiplicarsi non sia dettato da… autolesionismo. Comunque si tratta di pentimenti molto alleggeriti. Galli della Loggia rimprovera alla cultura laica un meccanismo che non sembra affatto estraneo alla chiesa da lui proposta come maestra di coraggiose revisioni storiche: "Se le idee hanno dato cattiva prova di sé, la colpa è dei singoli cui spettava di applicarle e che l’hanno fatto in modo sbagliato: ossia la colpa è delle circostanze in cui gli uomini e le idee si sono trovati ad agire, così eccezionali da travolgere gli uni e le altre".
Decisiva la penitenza: il "non peccare più". "Riflettere sul passato può diventare un alibi per non pensare al presente. In fondo, pentirsi costa poco, agire molto di più". P. Galimberti continua ad occuparsi dei vari Chirac, Clinton, Blair ed omologhi e li coglie in flagrante contraddizione tra pentimenti e comportamenti. Un vizio già ripetutamente rilevato (e, merita ripeterlo, da cattolici e non da laici plaudenti!) nella chiesa cattolica che disinvoltamente mette insieme riabilitazione di emarginati di ieri e nuove emarginazioni di oggi; restituzione di parola ai morti e imposizione del silenzio a viventi; generose aperture al passato e rigide preclusioni al presente… Qualcosa che, se riscontrato nel vecchio, cattolico confessionale, rimanderebbe il penitente senza assoluzione. Ma al "confessionale della storia" si assolve comunque?
Già il vecchio, cattolico confessionale. Dicono sia deserto o quasi e, forse, non senza buone ragioni. Però i suoi passaggi – esame, pentimento, confessione, penitenza, assoluzione – mantengono grande validità. Per tutti i "confessionali", religiosi o laici che siano.
Martino Morganti