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CHIERICHETTO, CHE PASSIONE!

Carissimi,

la sproporzione è notevole.

Qualcuno, il francescano Rinaldo Falsini, dice praticamente un’ovvietà e cioè che i chierichetti, e anche le chierichette di più recente promozione (1993), "a fianco del sacerdote potevano avere una certa utilità nel passato, ma con la riforma del complesso rituale diventano un elemento decorativo" (Famiglia Cristiana, 19 marzo ’97, p. 15). Poche parole in un’intera pagina di tante parole. E tutto detto in tono sommesso.

Ma telegiornali e stampa quotidiana vi hanno colto la notizia. Se non la grande almeno la sorprendente notizia. Comunque notizia da registrare e commentare. E sono stati in molti a dirsi stupiti e dispiaciuti. Con affollamento tra i … protestanti, di "laici" garantiti.

Un’annotazione liturgica scontata e marginale e una reazione vasta e appassionata.

P. Falsini studia, insegna e scrive di liturgia da decenni ma esce dal circuito chiuso degli addetti ai lavori ed affini grazie a i chierichetti e i chierichetti trovano nei mezzi di comunicazione spazi quasi uguali alla clonazione riproposta prepotentemente pochi giorni prima. Gli opposti che si incontrano? Se la clonazione proietta nelle inquietanti capacità scientifiche del futuribile, i chierichetti rimandano a passati cullati da tenere e decisive esperienze? Tecnica ed inconscio, ancora una volta, in convivenza insuperabile?

1. Non è vero che di mamma ce n’è una sola. Considerazione fuori posto? Può darsi. Ma è difficile escludere che anche l’esperienza del chierichetto sia priva di capacità "materne"; che non possa "partorire" un qualcosa di chi l’ha vissuta, cioè di un’alta percentuale del totale dei maschi italiani.

Perché il chierichetto è l’infanzia. Anzi: un probabile concentrato di ciò che l’infanzia offre di più resistente all’usura del tempo: amicizia di gruppo un po’ come quella da foto ricordo dei banchi di scuola: a me il messale, a te il turibolo, a lui le ampolline…; soprattutto promozione a responsabilità pubbliche con ebbrezze di protagonismo. E da non sottovalutare il "travestimento" suggestivo quanto il mascherarsi a carnevale ma ancora più eccitante perché meno finto, più serio e vero. E, nel dietro le quinte (sacrestia e vicinanze), zone propizie alle birichinate e anche al trasgressivo dissacrante (un classico: il primo sorso di vino gustato dalle ampolline!).

Chierichetto come infanzia. E – questo è il punto – infanzia religiosa. O religiosità dell’infanzia. Che, spesso, non diventa religiosità adulta. Cioè: dopo il chierichetto niente; il chierichetto ossia il tutto della religiosità. È la storia di molti, moltissimi ex chierichetti che, dopo, hanno preso le dovute distanze dall’altare e dal tempio e da ogni pratica religiosa, salvo qualche guardingo ritorno nel tempio ma soltanto per non privarsi dell’orgogliosa commozione di vedere il figlio, anch’esso arrivato lassù sopra i gradini del presbiterio, vicino al prete e vestito da prete.

Insomma: chierichetto – religiosità fasciata di infanzia. Religiosità che è dell’infanzia e che, appunto perché dell’infanzia, resiste e incide nel dopo infanzia.

2. Religiosità da chierichetto. Una specie di versione particolare del fanciullino. Non del fanciullino che stimola la vivacità nelle stanchezze e freschezza nell’appassire. Ma del fanciullino che congela, ferma, fissa. Che fa pensare e valutare in base a nostalgici ricordi e non ad attuali e adulte conoscenze, esperienze, analisi.

La difesa del chierichetto non è la richiesta dell’estetico e della tenerezza nella liturgia ma della liturgia soltanto bella ed emozionante. La prima sarebbe esigenza da adulti che pretendono dalla liturgia, incontro di uomini – donne, il rispetto di tutto ciò che uomini – donne hanno in preziosa e non decurtabile dotazione. La seconda è una regressione allo stadio in cui uomini e donne possedevano soltanto la meraviglia del guardare e il gusto di alcune sensazioni.

La difesa del chierichetto non è la richiesta di spazio ai bambini nella liturgia ma di una liturgia da bambini per chi bambino non è più. Nel primo caso sarebbe un interpellare e mettere sotto giudizio una liturgia che, in realtà, è già troppo aristocratica per gli adulti per essere coinvolgente i bambini, per i quali, infatti, si è saputo inventare soltanto o ruoli, appunto, decorativi o le più risolutive (e sbrigative) "riserve liturgiche" (messe e altre celebrazioni per bambini). Nel secondo caso è negare alla liturgia tutto ciò che era per naturale destinazione e che il dopo Vaticano II tenta

faticosamente, e anche con scarse e frenate convinzioni, di ricostruire: un’azione consapevole ed attiva di tutti i "convocati" per realizzare il progetto di riumanizzazione rilanciato a prezzo della propria vita da Gesù di Nazareth.

3. Per gli Agnelli vestire "alla marinara" non era - come testimonia Susanna - scegliere un vestito invece di un altro, ma segnalava e segnava un modo di pensare e di comportarsi. Per molti italiani vestire "da chierichetto" - come le reazioni di questi giorni sembrano avvalorare - non è stato mettere un indumento insolito sopra l’abito consueto ma introitare qualcosa di resistente durata.

In qualche modo "chierichetti" per sempre? Cioè, se non, come suggerisce il termine, per sempre "piccolo" chierico o prete, per sempre "un po’" chierico o prete?

L'intenzione scoperta era quella di trasformare il "chierichetto" in "chierico". Lo sottolinea lo stesso Falsini: "si è attribuito il nome interessato di 'chierichetti' nella speranza che diventino 'chierici-preti'". Insomma: un "travestimento" per invogliare alla "vestizione". E la cosa ha certamente funzionato.

Ho il sospetto che il chierichetto abbia avuto altri prosiegui e anche più vasti di quello approdante al diventare chierico, prete.

Alludo a sviluppi sotterranei inconsci, sicuramente negati da chi ne è soggetto maggiormente indiziato. Cioè - paradossale ma non troppo - proprio chi con il chierichetto dichiara di aver chiuso definitivamente e radicalmente, proclamandosi laico inossidabile.

Non intendo ne generalizzare (ma le eccezioni non confermano la regola?) e non posso pretendere di offrire un quadro clinico completo, ma direi che troppi laici manifestano sindrome da chierichetto. Continuano a "servir messa" e conservano "religiosità di chierichetto".

Per "messa" intendo molto di più della celebrazione: includo il tutto della religione ma anche il tutto dell’intimo dell’uomo/donna (coscienza, etica) e il tutto del più dell'uomo/donna (ciò che, attualmente, va oltre la dimostrabilità razionale).

" Servire" sta per una inconfessata ma non mascherabile soggezione al clero che si traduce in accordi, trattati, intese oltre che in inchini e baciamano e, soprattutto, in tante deleghe che sanno di svendite.

La "regiosità di chierichetto" è la religiosità congelata all’infanzia (quel catechismo, quella teologia, quell’approccio con la Bibbia) in individui notevolmente cresciuti nelle varie specialità del pensiero e della scienza Li vediamo nei frequenti dibattiti sui grandi temi umani nel ruolo del laico accanto al religioso, all'ecclesiastico. Spesso "più papisti del papa". Spesso difensori dell'ortodossia anche contro il religioso, l’ecclesiastico. Perché l’ecclesiastico, almeno qualche volta, ha saputo far crescere la propria religiosità e il laico è rimasto ad allora, al chierichetto. E mentre da questa religiosità congelata, infantile e datata, trae arroganze tipiche di ogni ignorante dalla propria laicità crede di

acquisire oggettività, posizione fuori della mischia.

Chierichetti si o chierichetti no?

Credo che chierichetti ce ne saranno sempre. Intorno all’altare, decorativi e anche simpatici e bellini.

Fuori - nella società, nella cultura, nella politica - rattrappiti in corpi di adulti, ingombranti in mentalità che, almeno settorialmente, non sanno diventare adulte.

Martino Morganti


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