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CON LICENZA DI SOGNARE

Carissimi, si sa: i sogni muoiono all’alba. Meno male. Non ho molta simpatia per i miei sogni. Li ricordo rarissimamente. Ma è sufficiente per supporli sgradevoli. Sembra che insistano nel mettermi in situazioni nelle quali o mi perdo o perdo qualcosa di decisivo. Sogni brutti. Sogni che non vorrei; sogni subiti. Quindi (ma forse mi sbaglio) sogni non miei.

Eppure vorrei essere un sognatore. Ma di sogni voluti, scelti. Sogni diurni, ad occhi aperti, molto aperti. Sogni che si intrecciano e si alimentano con ciò che accade e mi accade. Sogni imparentati più con la responsabilità che con la fantasia anche se la fantasia aiuta sempre; più con il progetto che con l'illusione che è sempre nociva. Sogni belli anche se difficilmente tranquilli. Vorrei essere un sognatore. Vorrei. Al massimo posso collocarmi tra i sognatori apprendisti. Tanto è vero che sono ancora intrigato in faccende che il sognatore nebulizza sognando, semplicemente sognando. Sono ancora zavorrato da domandacce come queste: cosa, dove, come sognare? Mi consolo: anche il poeta è costretto a misurarsi con grammatica e sintassi. E non per diventare poeta ma per fare poesia. I miei problemi sul sogno stanno tra il sognatore e il sognare; tra ciò che ho in dotazione e ciò che ho saputo mettere in esercizio? Forse è rispondere all’invito di Hölderlin : "Vieni! Guardiamo all’Aperto, cerchiamo qualcosa di proprio, sebbene sia ancora lontano" (M. Heidegger, La poesia di Hölderlin, Adelphi, Milano 1988).

Allora: come sognare? Mi sembra aver letto o ascoltato alcune regole per dormire bene e, quindi, sognare bene: posizione del corpo; orientamento del letto. . . Ci sono regole, suggerimenti per sognare bene da svegli? Regole e sogno non vanno molto d’accordo. Ma se viviamo in un deserto di sogni qualcosa o qualcuno avrà determinato questo inaridimento e qualcosa o qualcuno potrà (dovrà) attivare almeno la convinzione che è possibile ri-seminare e ri-coltivare il sogno; far fiorire il deserto.

Vorrei riprendermi la licenza di sognare che mi è stata data per scaduta allo scadere dell’infanzia. Non mi dispiace aver raggiunto l’età della ragione ma ritengo che il sogno sia il sale del ragionare come la poesia dilata e illumina la prosa.

Non mi lamento di essere adulto ma non mi rassegno ad essere adulto senza sogni adulti. Trovo ingiusto che ogni mio cedimento al sogno venga considerato una forma di regressione, una concessione al "fanciullino", residuato di un’età superata. Non mi sottraggo al nostalgico sogno all’indietro ma rivendico il diritto all’impegnativo sogno in avanti.

Mi piace l’essenziale ma non mi adatto a relegare il sogno nel superfluo.

Sono per la concretezza ma mi ribello a mettere il sogno tra l’inutile e inconcludente. Il sognatore ha la testa tra le nuvole ma soltanto per i contemporanei; per i posteri, anche immediati, diventa uno che aveva la testa in lato, che aveva visto, capito e operato nella direzione giusta. Difficile contraddire Cibran: "Per me, vita concreta, vita vera, vita pratica significa avere pensieri più grandi, sentire più a fondo, immaginare cose inusuali e andare ancora aventi... La visione è la cosa più pratica del mondo" (Le parole dette, Paoline, Milano 1994, p. 312).

Non sono indifferente all’avere ma non vorrei che l'avere mi spegnesse il sogno. Sognare è un po' come volare. Sognare è parente stretto della libertà. Non è un caso che i veri sognatori (scomodo i soliti nomi: Gesù, Francesco d’Assisi, Gandhi.. ) viaggiano leggeri: di cose ma anche di legami, appartenenze, obbedienze, convenzioni... Sembra di capire: il sogno è di chi si possiede. Cioè proprio di chi è adulto, di chi è uscito dall'infanzia. Il sogno non ha regole. Ma il sogno ad occhi aperti non è come il sogno nel sonno: non arriva ma si raggiunge.

Interessa anche il dove sognare. I sogni notturni hanno un dove privilegiato e comodo: il letto (ma si sogna anche.. .sotto i ponti!). I sogni diurni hanno difficoltà ad identificare il loro dove favorevole o sfavorevole. Azzardo due sensazioni (ma le esalto a convinzioni!).

La prima: il dove del sogno è il dove siamo. E, probabilmente, più è arido e più è fecondo: non ho mai capito bene ma mi ha sempre stuzzicato lo strano abbinamento deserto-meditazione. L'aridità del mio dove ha diritto al sogno, non può impedire il sognare. Il bene-stare non può essere privato del bene-essere. Il progresso non può essere un andare avanti senza di noi e contro di noi. La democrazia non può far finta di guardare con i miei occhi e poi farmi vedere ciò che calcola di farmi vedere o farmi camminare dove intendo andare per poi pilotarmi dove vuole condurmi. E la chiesa dovrà accordare diritto di asilo al sogno invece di spegnere il sogno nell'insistito credere obbedire (il combattere è mascherato dall'abolizione delle armi convenzionali). Sognare qui e ora anche se occorre prendere distanze dal qui ed ora. Pagandole a prezzo alto. Nelle fonte che il sogno suggerisce. Sto rivisionando il comportamento di certi santi settecenteschi che, per denunciare gli imbellettamenti di superficie dei contemporanei, "coltivavano" il non-igiene personale. E sono inquietato dalla mia scarsa attrazione verso i barboni volontari di oggi e alla simultanea ammirazione per un barbone di ieri di nome Francesco d'Assisi. Il sogno può essere anche cencioso, sporco, accattone? Si può sognare anche - e meglio! - sotto i ponti?

La seconda rovescia la prima: il sogno non va in trasferta. Nascono qui le mie diffidenze nei confronti del deserto, del ritirarsi nel deserto, dello scappare dai nostri simili, dalle vicende che mi vogliono con gli altri "nella buona come nella cattiva sorte". E, pur mantenendo considerazione e anche ammirazione per gli emigranti, ho serie perplessità ad accettare il sogno "altrove": in Oriente nell'improbabile diventare ciò che non si è (orientali e non occidentali); in America Latina o in Africa o zone dove è almeno facilitato il sogno dell'indispensabile. Trapiantato il sogno soffre corre certe piante o certi animali: asportati dal loro niente naturale: o intristisce o si adatta diventando sogno mutuato che si sovrappone e affoga il sogno proprio. Quello che verrà a mancare o a indebolire il sogno del naturale "dove".

Ovviamente è decisivo il cosa sognare. Se il sogno c’è tutto il resto conta poco o niente. Ma cosa sognare? Il dire, il teorizzare diventa più che mai improponibile. Ma nell’improprio chiacchierare al quale ormai mi sono avventurato occorre andare fino in fondo. Ma rimandando ad un supplemento di spazio: quello della prossima lettera .

Martino Morganti


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