VORREI DISARMARMI E ... UNILATERALMENTE
Carissimi, l’inizio è una piccola concessione alle suggestioni natalizie di questi giorni: avete mai supposto che il primo presepio, quello di Greccio, possa avere qualcosa a che fare con le crociate; che Francesco d’Assisi possa averlo "inventato" per (o anche per) togliere incentivi alle crociate ? L’ipotesi non è fantasiosa. Trapiantare un po’ di Terra Santa vicino a casa (la natività, Betlemme,...), smorza il desiderio di andare in Terra Santa e, quindi, alle crociate che intendono liberarla. Greccio si allineerebbe alla strategia che aveva già suggerito a Francesco di chiedere ed ottenere da Onorio III l’indulgenza plenaria per chi visitasse la Porziuncola, cioè lo stesso beneficio spirituale accordato a chi andava alle crociate. E, nel caso, la mossa era chiara e scoperta. I cardinali non ebbero difficoltà a capirlo e a farlo presente al papa: "Badate, signore, che se concederete a costui una tale indulgenza, farete scomparire l’indulgenza della Terra Santa!". Ma questo voleva essere soltanto un avvio. Ad un racconto ed anche ad un raccontarmi.
Il racconto è quello, appunto, di Francesco d’Assisi che, in apparente contraddizione con gli accennati segnali di scarse simpatie per le crociate, va alla crociata. Si imbarca ad Ancona probabilmente nel giugno 1219 ed arriva, circa un mese dopo, prima ad Acri e poi nei pressi di Damietta dove è accampata la prima crociata. Francesco chiede di poter entrare nel campo saraceno e il legato pontificio glielo accorda. Forse obbedendo a calcoli e opportunità. Comunque riversando ogni responsabilità del gesto su Francesco stesso. Il quale, sull’altra sponda, quella musulmana, trova oltraggi ed insulti e l’ostilità dei consiglieri del Sultano che lo vorrebbero trattato come si conviene ai nemici e cioè con la spada. Ma succede l’imprevisto: l’incontro tra Francesco e il Sultano Malik al Kamil è stranamente e sorprendentemente improntato a grande, reciproca simpatia. Anzi proprio questa inattesa cordialità tra i due sembra essere il dato più accertato di tutta la vicenda, mentre molte delle altre notizie che la arricchiscono appaiono indiziate più di leggenda che di storia. Francesco rientra in Italia tra la primavera e l’estate del 1220, con probabile approdo a Venezia.
Il racconto finisce qui. O forse no. Forse è stato troppo conforme ai tempi di Francesco, perdendo il Francesco difforme dai suoi tempi. Cioè potrebbe essere stato interrotto un viaggio che doveva proseguire. Certo qualcosa di esso sfugge ai biografi come alle stesse fonti francescane. Mi hanno impressionato due testimonianze. Una praticamente contemporanea al viaggio di Francesco e proveniente dal mondo arabo. Attraverso un autore arabo del XV secolo si risale ad una iscrizione tombale del 1224 con questa epigrafe: "Costui ha una virtù nota a tutti. La sua avventura con Malik al Kamil e ciò che gli accadde a causa del famoso monaco". La tomba è quella di uno dei "dottori" che avrebbero dovuto discutere con Francesco nella tenda del Sultano. Il "famoso monaco" è Francesco stesso. Che assurge a titolo sufficiente per ricordare un uomo, un arabo. Non poco: "un episodio degno di lasciare una traccia del genere deve avere più rilievo di quanto dalle fonti occidentali non paia". La conclusione è di F. Cardini del quale è la seconda attestazione: "Al di là del suo desiderio (di Francesco) di vedere i luoghi della vita terrena di Gesù, al di là della sua considerazione della crociata (Cardini ritiene normale per Francesco obbedire al papa e andare al "pellegrinaggio armato"!), della sua disponibilità al martirio, della sua volontà di predicare con la parola o, quanto meno, con l’esempio e la presenza tanto ai crociati quanto agli infedeli, qualcos’altro ci sfugge. E ci sfuggirà per sempre, in quanto appartiene alla parte più riposta dell’uomo di Assisi;... sta almeno in certa misura in quell’ambito per noi oggi inattingibile" (Francesco d’Assisi, Oscar Mondadori, 1989, pp. 199; 189-190). Non ho la pretesa di raggiungere l’inattingibile. Ma azzardo: il viaggio di Francesco alla crociata e nel campo degli infedeli è l’inaudito viaggio di un disarmato tra armati.
I crociati sono armati e Francesco no. Per esenzione clericale in quanto diacono. Ma Francesco non è certamente un "cappellano militare" disarmato ma simpatizzante e benedicente le armi. È disarmato per convinzione. Dove e quando può induce anche altri al disarmo. Lo fa con i "fratelli e sorelle della penitenza" (i "terziari") i quali debbono disfarsi di ogni tipo di arma pur costretti a vivere in una società di armati. E con Francesco e intorno a Francesco nasce un bel manipolo di obiettori di coscienza ante litteram.
I crociati erano armati soprattutto di una fede armata: l’unica verità da difendere eliminando l’errore anche a costo di uccidere l’errante (si vedano dichiarazioni di papi e di santi - Bernardo di Chiaravalle! - dell’epoca!). Forse sarebbe esagerato supporre Francesco del tutto immune da questa sindrome da verità. Sta però di fatto che Francesco va verso i musulmani non per ucciderli ma semmai per essere ucciso. E fallisce anche in questo desiderio di martirio proprio perché chi avrebbe dovuto martirizzarlo lo accoglie con benevolenza, e perché il Sultano non trova in lui niente del "crociato" ma semplicemente i tratti del "cristiano"; niente del "nemico" da cui difendersi ma soltanto un "credente" da trattare secondo i dettami coranici. E probabilmente Francesco nella tenda del Sultano disinnesca l’unica arma che poteva ancora conservare: quella del bene in esclusiva e di imperi del male da annientare. Il disarmato Francesco che parte da Ancona rientra a Venezia ancora più disarmato. Chi ha analizzato questo "dopo" di Francesco parla di una sua "autocritica" e anche di una sua "riconversione" (F. De Beer). Una "conversione" contagiosa se questo viaggio di Francesco "data il decollo di quel missionarismo francescano che ha mutato radicalmente le prospettive dell’approccio cristiano agli infedeli" (F. Cardini, o. c. p.184).
Qui dovrebbe finire il racconto e iniziare il raccontarmi. Manca lo spazio. Forse è un bene. Gli impegni, i progetti - ed erano questi l’oggetto del raccontarmi - hanno altri spazi e sempre in attesa di essere riempiti e senza essere mai colmi. Il disarmato Francesco sta nel mio passato remoto (quasi otto secoli). Il mio presente attende me disarmato. Anche se non ho e non ho mai avuto armi (nemmeno armi giocattolo). Un me disarmato, quindi, di armi che non si chiamano armi. Che spesso, anzi, hanno nomi ed etichette raccomandate: carattere, fedeltà ai principi, neutralità... Qualcosa che sta là dove il "confiteor" invita a battersi il petto: "in pensieri, opere ed omissioni". Il disarmo più difficile. Anche meno coltivato e celebrato. Eppure vincono i disarmati anche e soprattutto di questo tipo di disarmo. Nessuno è riuscito ad "armarmi" come chi mi ha affrontato da "armato" e nessuno mi ha "disarmato" come chi mi ha incontrato "disarmato". Credo sia arrivato il momento di costruirmi pacifico per essere pacificante, capace di disarmare chi incontro, togliendogli voglia di aggressione e di vittoria. E so che anche questo disarmo o è unilaterale o non avverrà mai.
È veramente tutto. Di Francesco e da Francesco ma non per rimanere a Francesco. Oggi Francesco non c’è. Ci sono io. Ci siete voi, cari nipoti. Io e voi chiamati al disarmo. E disarmo unilaterale: noi senza aspettare gli altri; noi anche a dispetto degli altri.