La società e la politica dopo Berlusconi
Data: 11 Settembre 2023
Autore: a cura della redazione
Dopo la morte di Berlusconi, celebrata in pompa magna, con il servile contributo della Chiesa milanese, occorre chiedersi: quali prospettive potrà avere l’Italia nel futuro prossimo? Berlusconi ha lisciato il pelo alla parte peggiore di noi, quella individualista del “me ne frego degli altri”, quella che rifiuta di pagare le tasse, consumista e facilona, impregnata di neoliberismo, lasciando un paese cinico, allo sbando, che snobba la politica e sembra perdere ogni senso civico ed etico; un paese camaleontico, sempre più diseguale, ammaliato dal protagonismo dei leader, pieno di giovani delusi, dileggiati da un governo di incompetenti, arruffa popolo. Questo è riuscito a farlo grazie alle sue tre reti televisive che hanno contagiato quella fascia di popolazione e anche quella sempre in attesa di un capo carismatico. Con l’andata al governo, anche le reti della RAI erano diventate divulgatrici della sua visione edonistica della società. In questo difficile frangente della nostra storia in cui la sinistra, a partire dagli anni ‘90, ha perso gradatamente tutti i connotati per adagiarsi sulla scia del neoliberismo e dell’opportunismo antiberlusconiano, come riprendere in mano il futuro e diventare risorsa per un paese che ne ha assoluta necessità? Ci chiediamo se la grave crisi della società non sia anche legata alla crisi della sinistra (genericamente intesa) e se non dipenda almeno in parte da una regressione dei valori ritenuti, evidentemente a torto, fino a non molto tempo fa, patrimonio irreversibile della maggioranza del popolo italiano, cui anche la cultura cattolica più avanzata ha dato un contributo importante. Ancora negli anni ‘80 la democrazia, la partecipazione, il voto, la solidarietà, l’importanza della cultura e della scuola, erano (sembravano?) elementi assodati. Poi, con l’arrivo del berlusconismo, tutto questo è stato lentamente messo tra parentesi, mentre si è favorito il degrado culturale che ha invaso soprattutto i ceti medio bassi. Di fronte a questo fenomeno, la sinistra ha seguito Berlusconi credendo che un’immaturità diffusa possa pagare anche a sinistra con il menefreghismo consumistico. Così ha proceduto come se tutto fosse fermo ai passati “anni nobili” (resistenza e ricostruzione non solo economica del Paese) e, insistendo contraddittoriamente sulle pure idealità, ha continuato a inondare le persone di questi temi, incurante del legame stretto che questi ideali hanno con i problemi reali quotidiani che coinvolgono la gente comune, costretta a fare i conti con una crescente marginalizzazione economica e sociale. I vari Fazio, Saviano e molti altri, pur volonterosi divulgatori, nella Rai, sui giornali, nell’editoria, hanno continuato a lavorare in quella direzione, senza saper tenere insieme i due fenomeni economici e culturali, cioè i bisogni con i valori, mentre le persone, deluse e amareggiate, gradatamente andavano altrove. Domande assillanti non tanto per i vecchi come noi, quanto per le prospettive dei giovani. Vediamo il tentativo di Elly Schlein rischiare la palude, paralizzata dai tanti renziani e simil genìa rimasti nel PD a ostacolarne il processo di recupero dell’anima popolare in chiave post moderna. E neppure appare chiaro se lei sia veramente portatrice di una nuova visone in grado di riscaldare gli animi delusi. Peraltro, non si può ignorare che il patrimonio elettorale portatore della vittoria della Schlein è costituito in gran parte da funzionari pubblici o privati, intellettuali, professionisti della cultura, studenti, tutte persone, come dice Stefano Fassina su Rocca n.11/2023, “non soltanto culturalmente ed economicamente, ma quasi antropologicamente altro rispetto alle sofferenti periferie sociali finite nel M5S, a destra e, sempre più, nell’astensione”. Anche il Movimento 5 Stelle, pur liberatosi al suo interno dell’ipoteca della destra, fatica a trovare una visione consona ai tempi che stia cifra coinvolgente e innovativa di cui era sostenitore agli esordi, sembra ristagni, e risente della criminalizzazione attuata dalla cultura dominante. L’indubbia buona volontà di farsi carico del disagio che percorre il Paese non basta. Solo il papa sembra capace di volare alto. Il resto è buio. Preoccupante è l’acquiescenza diffusa nella popolazione verso l’autoritarismo strisciante che reclama l’uomo (o la donna) forte, nell’illusoria speranza che possa guidarla fuori dalle difficoltà quotidiane che affliggono la maggioranza delle persone. Cosa ancor più pericolosa, considerata la sintonia con molti paesi europei dove, nonostante i fondamentali economici siano meno gravi dei nostri, serpeggia un malcontento che alimenta la destra più retriva e scatena la ribellione degli emarginati in una inconsapevole riedizione della lotta di classe, come in Francia. Non crediamo, così dicendo, di esagerare se si tiene conto del fatto che, quando c’è un governo con ampia maggioranza parlamentare, gli organi dello Stato tendono naturalmente ad adeguarsi al clima dominante, senza bisogno di coartarli, come dimostrano recenti fatti che hanno coinvolto parti non secondarie della Magistratura. La Rai poi è divenuta preda del melonismo, la stampa risulta per lo più allineata. Anche la Confindustria si è allineata al governo, appagata da norme che la privilegiano come, ad esempio, la riduzione del cuneo fiscale che porta benefici alle buste paga ma pone a carico dello Stato oneri che altrimenti si tradurrebbero in aumenti salariali a scapito dei floridi bilanci delle imprese. Ecco perché alcuni episodi e non pochi provvedimenti di legge emblematici destano l’allarme: il presidenzialismo sbandierato come panacea dei nostri mali; la muscolare campagna a favore dell’autonomia regionale differenziata; la criminalizzazione dei giovani che, pur con discutibili gesti eclatanti, segnalano il degrado irreversibile dell’ambiente; l’accanimento contro i bambini figli di coppie omogenitoriali; l’intolleranza verso chi osa contrastare pubblicamente le scelte del governo (il caso di Montanari, che si è rifiutato di aderire con la sua università al lutto nazionale proclamato per Berlusconi); l’arroganza e la sfrontatezza con cui si difendono le malefatte della ministra Santanchè e l’istituzione della commissione di indagine sul covid che, mentre esclude le regioni dall’indagine, viene usata come vendetta contro il passato governo Conte bis. Di fronte a questa situazione, molti pensano che i “progressisti” debbano concentrare i loro sforzi innovativi facendosi paladini degli ultimi e dei penultimi danneggiati dalla pandemia, dalla speculazione, dall’inflazione e dalla guerra. Intento sacrosanto e condivisibile, ma non sufficiente. Non basta un puro materialismo dei diritti, sociali o civili che siano, da rivendicare spesso con razionalità priva di pathos; né, tanto meno, trasformare le pretese in diritti civili, tipico del liberalismo incarnato dal Partito Radicale. Pensiamo che non sia possibile cercare una riscossa senza la capacità di immaginare una nuova narrazione, una mitologia, si potrebbe dire una religione, capaci di attrarre le folle deluse, disperse e sbandate, bisognose di “sentire” un partito che si fa prossimo (e quindi di riconoscerlo come tale). Il puro dato economico non basta. Occorre coinvolgere le coscienze, non con i falsi miti oggi dominanti, ma con il coraggio di scavare dentro i bisogni profondi della nostra umanità, far leva sui sotterrati valori universali, strettamente uniti ai bisogni essenziali del popolo (vicinanza accanto a pane e libertà, o meglio, pane e liberazione e non libertinismo o liberismo), sottraendoli alla manipolazione della destra. Fare un’ardita operazione di negazione totale e assoluta del mito berlusconiano, perseguito dal governo, che tutti abbiamo assimilato, abbandonando definitivamente l’idea che per essere contemporanei occorra essere immaturi, abitanti di un mondo in cui tutto è lecito per arricchirsi, beceri consumatori, vittime di interessati luoghi comuni. Il cristianesimo, a motivo del suo universalismo, avrebbe valori civici e soprattutto spirituali capaci di guardare in alto pur rimanendo con i piedi ben ancorati a terra, ma purtroppo pare avviato verso un lento declino, incapace com’è di rigenerarsi. La Chiesa, malgrado gli sforzi del papa, resta dedita alla sopravvivenza; i preti, forse prima ancora dei vescovi, fermi a privilegiare la liturgia anziché la vita; le nuove generazioni, sempre meno interessate alla religione strutturata. Allora bisognerà cercare altri paradigmi spirituali – valoriali? Difficile da dire, ma qualcosa bisognerà pur fare per non restare impantanati nell’attuale situazione. Forse l’unica possibilità la suggeriva un nostro amico: starebbe nel mettere al centro i valori fondanti della nostra costituzione sempre più disattesi (sia storici: libertà, legalità, fraternità; sia attuali: più lento, più profondo, più dolce nella declinazione di Alex Langer) e guardare fuori da noi. I migranti! I migranti sarebbero la mossa del cavallo se non fossero considerati come merci o, nel migliore dei casi, soggetti da integrare o assimilare al nostro modo di vita, imponendo loro di abbandonare la cultura di cui sono portatori, come se fosse irrilevante o non rispettabile. I migranti visti come esseri umani da porre alla pari con i cittadini italiani, soggetti di diritti e di doveri, potrebbero costituire la nuova linfa rigeneratrice della pianta malata del Bel Paese. Un Paese in declino, che coltiva istinti di morte, senza slanci ideali, può essere rivitalizzato e fatto nuovo solo da chi possiede energie vitali e le possiede in abbondanza ed è oggettivamente portatore di novità. Noi abbiamo bisogno di loro, quanto loro hanno bisogno di noi. Accogliere consapevolmente la migrazione come evento purificatorio, portatore di vita. L’impero romano fu salvato dai barbari grazie alla lungimiranza della politica imperiale che, per quanto decaduta, seppe lanciarsi verso il futuro. Noi dovremmo provare a fare altrettanto. Questo sarebbe il compito di una sinistra pensante e amante del popolo; forse qui troverebbe anche la Chiesa. Una lunga traversata del deserto, pericolosa e faticosa, ma decisiva che passa per un coraggioso quanto ineludibile cambio di cultura che comporta un ripensamento globale delle scelte strategiche e metodologiche attuate sino a ora, partendo dai due temi mondialmente salienti, la pace tra Russia e Ucraina, e l’ecologia, considerando che viviamo in un pianeta del tutto interconnesso dove i problemi mondiali sono locali e viceversa, per cui è indispensabile passare da un approccio competitivo a uno collaborativo a ogni livello. Coerentemente con questa nuova direzione di marcia bisognerebbe mettere in discussione lo stesso termine “sinistra”. Non solo perché la sinistra s’è mostrata talmente acquiescente al potere economico da destare generale insofferenza in chi prima si riconosceva in essa, tanto che oggi, ad ogni obiezione verso l’azione di questo governo salta fuori qualcuno che dice: ma la sinistra cosa ha fatto? Ma anche perché alimenta un equivoco di fondo che normalmente non trova espressione. La sinistra, come la intendiamo noi, libertaria, egualitaria e fraterna, dedita al bene comune, non ha mai governato l’Italia né, tanto meno, l’Europa. Il PD non è mai stato un partito di sinistra, né lo sono i laburisti inglesi o i socialdemocratici tedeschi, o i socialisti francesi. Questa pseudo sinistra imbastardita ha governato in chiave neoliberista l’Europa con i “popolari”, quelli stessi che si apprestano a liberarsene a vantaggio dei conservatori simil meloniani. Occorre allora fare estrema chiarezza, fino al punto di abbandonare questa parola ormai priva di significato, se non nella sua accezione storica, e inventarne una totalmente nuova, capace di attrarre vasti strati di popolo con proposte non velleitarie ma credibili di uscita dal neocapitalismo, già di suo in declino, dopo che tanti danni ha portato e porta all’umanità e alla natura. Siamo consapevoli che questo approccio apre scenari attualmente al di sopra delle effettive possibilità di una classe politica per lo più sclerotizzata sugli stereotipi, tuttavia non disperiamo perché nella storia, quando tutto sembrava perduto, è spesso apparso un movimento, sono sorti dei personaggi che ne hanno cambiato il corso.
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