Il destino dell’homo sapiens
Data: 31 Luglio 2023
Autore: a cura della redazione
Come ben sappiamo, tutto è iniziato il 24 febbraio 2022, quando le forze armate della Federazione Russa, guidata da Vladimir Putin, diedero inizio all’offensiva militare scatenata per invadere il territorio ucraino anche se, in forma meno cruenta, le ostilità duravano da un decennio, durante il quale le organizzazioni internazionali avrebbero potuto attivarsi per evitare la catastrofe attuale. Questa aggressione violava apertamente il memorandum di Budapest, firmato il 5 dicembre 1994 dalla Federazione Russa, dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e dall’Ucraina, con il quale la stessa aveva ottenuto assicurazioni da parte della Russia circa la propria sicurezza, indipendenza e integrità territoriale. Di fronte a questa aggressione l’Ucraina, sotto la presidenza di Volodymyr Zelens'kyj, reagì chiedendo e ottenendo dai paesi della NATO un sostegno con la fornitura di armi e di altri aiuti. Il sostegno venne concesso anche con lo scopo di scoraggiare l’aggressore a perseguire e proseguire una politica espansionista a scapito dei paesi vicini. Dopo oltre un anno di aspri combattimenti, però, il conflitto continua senza che si veda, almeno apparentemente, la possibilità di giungere, se non alla pace, almeno ad una tregua. I nostri mezzi di informazione non mancano di aggiornarci quotidianamente sull’andamento della guerra e sulle distruzioni, sulle stragi di civili e atrocità compiute dai militari russi e dai mercenari della Wagner che li affiancano. È ragionevole credere alla veridicità di queste notizie, anche perché inviate da giornalisti e giornaliste noti, la cui serietà e professionalità difficilmente potrebbe essere messa in discussione, tanto più in quanto suffragate da immagini drammatiche e dalle interviste rilasciate dalla popolazione stremata. Nonostante però le perdite, le distruzioni e il grande numero di morti e feriti, l’Ucraina continua a resistere, anche grazie al sostegno in denaro e armi che i paesi della NATO continuano a fornirle, il che permette al suo presidente Volodymyr Zelens'kyj di continuare a ribadire che l’Ucraina continuerà la lotta sino al conseguimento della vittoria. Questa è la situazione dopo oltre un anno che la guerra continua senza consistenti variazioni a livello territoriale. A questo punto però qualche domanda crediamo sia lecito porsela, sia per quanto riguarda le notizie sullo svolgimento tattico del conflitto sul territorio, sia su come si possa giungere ad una risoluzione del conflitto stesso o almeno ad una tregua che potrebbe almeno fermare le stragi e le distruzioni. Limitandosi allo svolgimento del conflitto sul territorio, le notizie e le immagini che ci pervengono quotidianamente raccontano come le artiglierie, i razzi e i droni russi portino distruzione e morte colpendo mercati, case, scuole, ospedali, uccidendo intere famiglie compresi anziani e bambini. Tutto questo è documentato e non può essere messo in discussione. La domanda però che sorge spontanea è: perché non viene mai raccontato come le armi dell’esercito ucraino, anche quelle fornite dalla NATO, usate contro i paesi e le città occupate dai russi, provochino le stesse distruzioni, gli stessi lutti, lo stesso orrore? Forse per non far sembrare gli ucraini cattivi almeno quanto i russi? I ragazzi dell’esercito ucraino difendono la loro terra da un’aggressione compiuta da altri ragazzi comandati da un potere criminale, dal quale e dalla cui propaganda è difficile sottrarsi e che se ne starebbero volentieri a casa loro. Il male assoluto è la guerra che distrugge i corpi e le coscienze, e dove i torti e le ragioni affogano nel sangue. Se si vuole denunciare tutto l’orrore di una guerra occorre che questa appaia in tutte le sue manifestazioni, da qualsiasi parte provengano. È l’idea che la guerra possa terminare solamente con la vittoria dell’esercito ucraino che può suscitare qualche perplessità. Cosa intende per vittoria Zelens'kyj? La cacciata dei russi da tutto il Donbass e dalla Crimea riconquistando palmo dopo palmo il loro territorio con combattimenti la cui durata è difficile da prevedere e a prezzo di sacrifici inenarrabili? Siamo sicuri che l’esercito ucraino, seppure sostenuto economicamente e militarmente dalla NATO, abbia risorse umane sufficienti e disponibili da mandare al macello? E se così fosse, siamo sicuri che Putin accetterebbe una simile sconfitta e umiliazione senza fare ricorso, come ultimo Sansone, ad un deterrente nucleare difficile da gestire, che potrebbe coinvolgere l’intero pianeta con la sua smisurata e terrificante potenzialità? Lo stesso comportamento del presidente Zelens'kyj è cambiato negli ultimi tempi, mostrando una maggiore sicurezza. Sarà forse merito delle tante armi (convenzionali prima e più moderne e militarmente più efficaci poi) inviate dalla NATO? Interessante a questo proposito l’articolo di Domenico Quirico (“I generosi samaritani occidentali ai piedi di Zelensky”) apparso sulla Stampa del 18 maggio scorso e dove viene presentato l’attuale e non proprio lusinghiero atteggiamento del presidente dell’Ucraina teso soprattutto al raggiungimento della vittoria finale. Anche lo sperare che il logoramento della guerra porti prima o poi i russi a sollevarsi contro il regime di Putin crediamo sia poco realistico. Sia perché la popolazione russa, come la Chiesa ortodossa, è condizionata dalla propaganda e dalla mancanza di informazioni e di analisi critiche sulla situazione, sia perché lo stesso logoramento potrebbe portare alle stesse reazioni anche in Ucraina. Pertanto, per quanto dolorosa, occorre accettare l’idea che, per giungere ad una trattativa che faccia terminare l’orrore della guerra, occorra una certa dose di realismo che prescinda dai torti e dalle ragioni. Una trattativa può iniziare solamente quando le parti siano disponibili ad accettare qualche rinuncia sulla cui portata sarà la trattativa stessa a decidere. Per questo motivo crediamo che il continuo invio di armi all’Ucraina debba essere subordinato alla disponibilità dei loro comandi e del loro capo Volodymyr Zelens'kyj a rinunciare in parte a quello che di diritto appartiene alla loro patria. L’alternativa potrebbe anche essere la fine di quell’homo che qualcuno aveva pensato bene di battezzare, un po’ frettolosamente, sapiens.
|