IL GIORNO DELLA MEMORIA DELLA SHOAH, 27 GENNAIO 2010
Data: 27 Gennaio 2010
Autore: Mario Arnoldi
Lo sterminio di sei milioni di ebrei, di tanti rom, omosessuali e avversari politici è una delle pagine più crudeli della storia umana, tanto più che è avvenuta nel Novecento e nell’Europa, dove ci si sarebbe aspettati che i progressi intellettuali e tecnologici portassero ad una maggior coscienza della convivenza, dell’esistenza dell’altro e del senso di comunità. Tra le vite spezzate quelle dei bambini sono particolarmente dilaceranti, poiché, oltre a esser cancellate nel presente, annullano il futuro dell’esistenza, e dopo, se ci sarà ancora ripresa, mancheranno diversi tratti di linfa all’umanità. Voglio ricordare a questo proposito una pagina di Primo Levi da “La Tregua”.
“Hurbinek era un nulla, figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni circa, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva nome: quel curioso nome, Hurbinek, gli era stato assegnato da noi, forse da una delle donne, che aveva interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate che il piccolo ogni tanto emetteva. Era paralizzato dalle reni in giù, e aveva le gambe atrofiche, sottili come stecchi; ma i suoi occhi, persi nel viso triangolare e smunto, saettavano terribilmente vivi, pieni di richiesta, di asserzione, della volontà di scatenarsi, di rompere la tomba del mutismo. La parola che gli mancava, che nessuno si era curato di insegnargli, il bisogno della parola, premeva nel suo sguardo con urgenza esplosiva: era uno sguardo selvaggio e umano ad un tempo, anzi maturo e giudice, che nessuno tra noi sapeva sostenere, tanto era carico di forza e di pena (…) Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek che aveva combattuto come un uomo, fino all’ultimo respiro, per conquistarsi l’entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senza nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morì ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole.” (da Primo Levi, “La tregua”) Accanto alla figura di Hurbinek, come parte di una dilacerante galleria di ragazzi e ragazze cui fu strappata violentemente la vita, simbolo di tutte le vittime della Shoah e delle guerre, ricordo anche Anna Frank, che subì la stessa triste sorte, ed ebbe tuttavia la possibilità e la capacità di esprimersi attraverso il suo “Diario”, recentemente riedito in forma integrale, che esalta la bellezza della vita nella sua forma aurorale e grida condanna contro la violenza operata dall’uomo.
Gli storici si interrogano su come sia avvenuta tanta violenza e indicano come origine prima del conflitto europeo e mondiale le difficoltà seguite alla conclusione della prima guerra mondiale e alla crisi del 1929. A partire dal desiderio di ricostruzione, il centro dell’Europa è passato via via alla volontà di sopraffazione e di eliminazione delle altre nazioni. La gente comune e chi cerca di interpretare l’animo umano si interrogano ugualmente, sul versante più soggettivo, come tutto ciò sia potuto avvenire, e le risposte sono diverse e mettono in questione, per il credente, anche la presenza e l’opera di Dio. “Com’è potuto avvenire?”, “perché Dio lo ha permesso?”. Lasciando ad altro momento l’aspetto religioso, mi preme rilevare che la violenza storica, qualunque essa sia, e a maggior ragione quella massima della seconda guerra mondiale e dei campi di sterminio, nasce dalla libertà della persona umana e dalla sua possibilità di operare il bene e il male secondo una sua scelta cosciente. Frasi come “male assoluto”, che a volte vengono usate per indicare lo sterminio della Shoah, non ci debbono trarre in inganno. La violenza dello sterminio non viene da un destino avverso o da un altro pianeta, ma dalla libera scelta delle persone che hanno optato, grazie all’ambivalenza dell’animo, per il male invece che per il bene. E a metà del Novecento, il cuore dell’Europa scelse lo sterminio dell’“altro” che si frapponeva sul suo cammino. L’“altro”, il diverso da me, divenne un potenziale avversario, che avrebbe potuto togliere privilegi e acquisizioni e pertanto un elemento da eliminare e fu eliminato sino alla soluzione finale.
Il giorno della memoria ricorda il momento in cui furono aperte le porte del campo di sterminio di Auschwitz e le nazioni vincitrici e il mondo intero presero coscienza del grande male. Quando visitai Auschwitz, anni fa, ebbi un fremito dilacerante, ho riflettuto sul fatto che Auschwitz può essere una dimensione della natura umana, di tutti noi, anche mia, e quindi pensai che la continua vigilanza, la cultura della pace, l’etica della responsabilità mi dovessero guidare e dovessero guidare tutti per non ricadere nello stesso errore. Quella macabra scoperta fece gridare e giurare alle nazioni europee e mondiali “mai più guerre”! Fu una nobile esposizione di intenti che diede origine in tanti paesi ad una sana ricostruzione nella direzione della collaborazione e della solidarietà. In Italia fu stesa e proclamata una Costituzione che volle superare i disastri del fascismo e dare elementi forti di democrazia. La memoria di questa giornata non può essere il ricordo amaro di un giorno, quanto piuttosto una progettualità continuativa e costruttiva e sulle ceneri del passato debbono edificarsi le prospettive per il futuro.
Non durò a lungo la promessa del “mai più guerre”! Passato l’entusiasmo della vittoria sul nazifascismo e della ricostruzione pacifica, ritornarono a emergere i conflitti tra le nazioni, tra i continenti, rinacque il colonialismo in forma nuova, supportato dal progresso della tecnologia. Due grandi potenze, Usa e Urss, si contesero il primato del mondo ed esercitarono il potere e lo sfruttamento sui territori che si erano spartiti. Caduta la realtà dell’Urss, alla fine degli anni novanta del secolo appena trascorso, l’unica grande potenza rimasta, gli Usa, pensò di poter gestire il mondo con i metodi buoni o cattivi a seconda dell’opportunità. Oggi assistiamo al sorgere di un multipolarismo che apre il cammino a una geopolitica planetaria e a conflitti nuovi che sono gestiti non certo con azioni concordate, ma ancora una volta con la guerra. Chi elenca i conflitti nel mondo ne enumera una cinquantina. Quelli al confine tra le grandi nazioni sono i più sanguinosi, come quello in Iraq, che ha caratterizzato il decennio che sta terminando; quello in Afghanistan e paesi confinanti, che si spera non duri altrettanto tempo; quello israelo palestinese e tanti altri ancora. A questo si aggiunga un ritorno diffuso della violenza nei rapporti interpersonali, verso gli stranieri e i diversi.
La giornata della memoria è un invito a gridare ad alta voce, gridiamolo “dai tetti”!, che non devono esistere più guerre, che l’umanità deve operare una nuova svolta antropologica, quale quelle dall’endogamia all’esogamia, dall’homo sapiens all’homo sapiens sapiens, dall’“homo homini lupus” all’“homo socialis”. L’uomo ha le capacità e gli strumenti per operare tale svolta se mette al primo posto nella scala dei valori non la propria affermazione onnipotente, ma il lavoro con l’altro, l’affermazione del “noi” come condizione di sopravvivenza e di progresso. Diversamente, l’energia atomica che incombe presso le maggiori potenze, usata a scopi bellici, è dietro l’angolo pronta ad azzerare ogni traccia di progresso se non di sopravvivenza. E’ notizia di questi giorni che in Afghanistan le forze americane tentino un approccio con le forze talebane moderate per convertire in negoziati di pace i conflitti. La cosa per ora è solo annunciata. Che essa possa divenire l’inizio di nuovi rapporti tra i gruppi umani. Infine, a livello di rapporti interpersonali, la diffusione di esperienze di solidarietà locale e internazionale, soprattutto da parte dei giovani, è ugualmente un segno di speranza per l’affermazione di modi di vita improntati sulla condivisione e sulla pace. mario.arnoldi@tempidifraternita.it
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