IRAN E MEDIORIENTE CROGIOLI DI CONFLITTI LOCALI E MONDIALI
Data: 14 Febbraio 2010
Autore: Mario Arnoldi
La manifestazione a Teheran, in occasione del trentunesimo anniversario della rivoluzione iraniana, che ricorda la nascita della Repubblica islamica e la caduta dello Scià, è stata grandiosa ma conflittuale. I “media” titolavano. “Teheran, spari sulla folla, uccisi tre manifestanti”, “Iran, il regime soffoca le proteste di piazza”, “Scontri a Teheran, la polizia spara sull’Onda vede, tre le vittime”, “Iran, spari sulla folla che protesta, Ahmadinejad: se Israele attacca sarà distrutta”, ecc. L’opposizione era stata messa in qualche modo a tacere attraverso la sospensione della posta elettronica di Google. In contemporanea è stato lanciato un servizio di email per cittadini iraniani. “L’Iran nega ai suoi cittadini l’informazione, ma gli iraniani sapranno come superare gli ostacoli” hanno detto gli Usa. Ed effettivamente la potenzialità del web ha dato la possibilità di organizzare un’opposizione non quantificabile, non in grado di scalzare la forza del regime, ma significativa. Twitter ha diffuso la notizia della morte dei tre manifestanti; YouTube in un filmato testimonia l’uso di gas, in un altro si vedevano gli oppositori dare alle fiamme una motocicletta “governativa”, le moto sono il simbolo dei Basij (forza paramilitare subordinata all’esercito dei Guardiani della rivoluzione islamica iraniana) e i privati cittadini non possono possederle; Facebook mostrava il racconto dell’aggressione alla moglie dell’esponente politico moderato Moussavi, e un’intervista al figlio Karroubi, anch’egli costretto a lasciare la piazza; sul blog Iran Green Voice, riprese rudimentali confermavano che la gente era scesa in piazza, con bandiere e camice verdi, il colore dell’opposizione, ecc.
Manifestazioni di opposizione si sono svolte anche nelle principali città iraniane e in diverse parti del mondo. A Milano il colore verde predomina nel presidio, non oceanico ma sufficientemente motivato, indetto dai sindacati confederali in piazza Duomo per chiedere a Teheran di fermare le esecuzioni.
I punti principali del discorso di Ahmadinejad all’anniversario dell’11 scorso sono stati tre. Ha proclamato l’era atomica della Repubblica islamica “L’Iran è uno stato atomico, ha detto. Ha già una barra di uranio arricchito al 20 per cento. Ora potrebbe arricchire l’uranio fino all’80 per cento, quanto occorre per costruire una bomba atomica, ma il governo iraniano non vuole costruire la bomba atomica, il giorno che lo volesse lo comunicherebbe”. In secondo luogo ha nuovamente attaccato Obama e tutta la politica dell’Occidente, e infine ha minacciato di annientare Israele se attaccasse l’Iran. Ahmadinejad afferma il proprio potere, e l’atomica ne è un elemento forte, non solo per contrapporsi al mondo occidentale, ma anche per gestire l’opposizione interna. Quel che è in gioco, dicono alcuni commentatori, è il concetto di Repubblica islamica. L’opposizione non vuole distruggerla, ma riformarla, estirpando la contraddizione insita nella stessa formulazione. Una repubblica in cui il potere sovrano è basato sulla teocrazia, sull’autorità religiosa, non è una repubblica. Pur salvando i valori islamici, i riformisti vogliono che alcuni diritti, usurpati dai religiosi, acquistino colori democratici. E’ la tradizione dell’Islam sciita, infranta da Khomeini.
Le reazioni delle potenze. Il ministro del Tesoro Usa ha annunciato l’inasprimento delle sanzioni già in vigore. In particolare saranno colpiti gli interessi di quattro ditte che operano nel campo dell’edilizia e un singolo imprenditore. L’iniziativa proibisce ogni transazione da parte di ditte americane con le ditte che fanno capo al quartier generale della Khatam al-Anbiya Construction e il congelamento di eventuali beni presenti sul territorio Usa. Khatam al-Anbiya è coinvolto nella costruzione di strade, autostrade, tunnel, oleodotti e impianti idrici in Iran e, secondo il Tesoro Usa, i suoi introiti servono a finanziare l’attività di ricerca nucleare del governo. La Russia questa settimana ha sollevato seri dubbi sul programma nucleare iraniano, avvertendo che Mosca potrebbe appoggiare nuove sanzioni. A far precipitare i rapporti tra Teheran e Mosca è stato il rifiuto iraniano di accettare il compromesso russo secondo cui l’Iran avrebbe potuto inviare tutto il suo uranio in Russia per essere arricchito, disinnescando i timori che il regime di Ahmadinejad stia tentando di costruire la bomba atomica. Per l’Italia Frattini ha insistito molto sulla necessità di una posizione comune della Unione europea. Il rappresentante della politica estera europea ha espresso una forte condanna per i tentati assalti alle ambasciate europee a Teheran tra cui quella italiana. Per quanto riguarda la Cina, il ministro degli esteri M Zhaoxu ha ripetuto una frase considerata di “non chiusura” sulle sanzioni: “Vogliamo continuare ad avere un ruolo costruttivo, assieme alla comunità internazionale, per arrivare a una soluzione sul nucleare iraniano”. L’opposizione di Pechino alle nuove misure Onu si deve al fatto che Teheran è il suo secondo fornitore di energia, ma l’Arabia Saudita è il primo. E se questa aumentasse il suo apporto, la stabilità di Pechino sarebbe ugualmente garantita.
Eventuali sanzioni devono passare attraverso l’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, composto da 15 paesi. Cinque sono permanenti e hanno diritto di veto. Solo Russia e Cina potrebbero mettere il veto. Di tutti gli altri paesi è probabile un no da Brasile e Turchia.
Un fatto che rende ulteriormente a rischio i rapporti tra Usa e Cina è che Obama riceverà il Dalai Lama il prossimo 18 febbraio, tuttavia non nella Sala Ovale, destinata ai capi di stato, ma in un ambiente diverso, più consono al significato religioso dell’incontro. La Cina si è adirata per questa visita, i rapporti tra i due paesi sono ulteriormente a rischio dopo la contesa sulla libertà di accesso a Internet negata dalla Cina e sottolineata dagli Usa e per la vendita di armi americane a Taiwan.
Sempre in zona mediorientale, la notizia dell’ultima ora è la massiccia operazione delle truppe Usa, britanniche e di altri paesi nell’Afghanistan, nel distretto di Marja, nella provincia meridionale di Helmand. E’ l’inizio della campagna per imporre il controllo del governo afgano nella provincia roccaforte dei talebani. Il controllo di Marja è considerato strategico sia perché è il maggiore “santuario” talebano fuori dal Pakistan, sia perché snodo del contrabbando di oppiacei dell’intero Afghanistan meridionale. L’offensiva di Marja è descritta come un test della capacità di non fare vittime civili, si dice. Ancora più test della capacità di tenere il controllo del distretto, dopo averlo preso: garantire sicurezza e stabilità a lungo termine, buon governo e sviluppo, e permettere il passaggio di consegne a forze di sicurezza afghane, in previsione del graduale ritiro nel 2011 delle forze occidentali.
Ho tratteggiato solo una parte della situazione della zona più infuocata del mondo, che potrebbe portare a soluzioni concordate, come a conflitti senza fine e gravi. Alcuni hanno parlato di possibile terza guerra mondiale. La speranza, affidata soprattutto a coloro che si battono per la soluzione diplomatica delle contese, ci sostiene a continuare nel lavoro di informazione e di sollecitazione per un’evoluzione positiva degli avvenimenti.
mario.arnoldi@tempidifraternita.it
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