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CHI OFFENDE L'UNITA' D'ITALIA AFFOSSA IL FEDERALISMO



Data: 05 Maggio 2010
Autore: a cura di Mario Arnoldi




Tutte le iniziative comprese nel "sobrio" programma per celebrare il 150/o dell'Unità d'Italia "non sono tempo perso e denaro sprecato, ma fanno tutt'uno con l'impegno a lavorare per la soluzione dei problemi oggi aperti dinanzi a noi". Così si esprimeva Giorgio Napolitano all’inaugurazione a Genova del 150/o dell’Unità d’Italia. E continuava, "non è retorica reagire a tesi storicamente infondate, come quelle tendenti ad avvalorare ipotesi di unificazione parziale dell'Italia abbandonando il Sud al suo destino… Ipotesi queste, che non furono mai abbracciate da alcuna delle forze motrici e delle personalità rappresentative del movimento per l'unità… Celebrando il 150/o dell'Unità d'Italia guardiamo avanti, traendo dalle nostre radici fresca linfa per rinnovare tutto quello che c'è da rinnovare nella società e nello Stato".
Il prossimo 11 maggio il presidente sarà in Sicilia, prima a Marsala, dove le camicie rosse sbarcarono, e poi a Calatafimi.

Su "Il Corriere della Sera" di oggi, 5 maggio 2010, appare un’interessante articolo di E. Galli Della loggia, dal titolo “Quei tanti lumbard che unirono l’Italia”. Afferma l’autore tra le altre riflessioni:

"A volte, come per le celebrazioni del 150/o anniversario dell`Unità, bisogna avere il coraggio di rischiare la retorica. L`avventura di Garibaldi fu una delle pagine più straordinarie della storia europea dell`Ottocento: nel giro di sei mesi un pugno di volontari male in arnese e privi, contrariamente ad un`opinione diffusa, dell`appoggio delle grandi potenze, si impadronì di un regno di 9 milioni d`abitanti. Nei dieci anni precedenti Cavour, primo ministro del Piemonte sabaudo, era stato senz`altro la grande mente politica dell`indipendenza italiana. Ma è certo che senza l`iniziativa garibaldina nel 1860 nella quale si ritrovarono tutti i reduci o i nuovi adepti delle battaglie democratiche, del mazzinianesimo e del federalismo l`unificazione della Penisola dalle Alpi alla Sicilia avrebbe dovuto attendere ancora chissà quanto,. A Quarto, insomma, si saldò il vincolo tra l`indipendenza del Paese dallo straniero e la sua unità politico-territoriale, entrambe premesse necessarie perché tutti gli italiani potessero aspirare a liberi ordinamenti.

Chi ancora adesso, continua Galli Della Loggia, mette in dubbio quel vincolo, al Nord come al Sud, trastullandosi con l`idea che 'però prima eravamo padroni in casa nostra', finge di ignorare (o forse ignora realmente) che prima del 1859-60 tutta l`Italia, all`infuori del Piemonte, era in pratica un grande protettorato austriaco (austro-francese nel caso dello Stato della Chiesa). Lombardia e Veneto facevano parte dell`Impero. A Modena e a Firenze regnavano addirittura due dinastie asburgiche. Dappertutto, da Udine a Napoli, Vienna faceva il bello e il cattivo tempo: altro che 'padroni in casa nostra'! Proprio oggi è anche opportuno ricordare che quei Mille provenivano perlopiù dall`Italia settentrionale. Erano infatti in grande maggioranza liguri, veneti, lombardi (circa un terzo solo da Bergamo e dalla Bergamasca!). Ci pensino i leghisti, ora che hanno appena conquistato la presidenza del Piemonte e del Veneto. Come si fa a sedere negli antichi palazzi del potere di Torino e di Venezia rifiutando il retaggio di lotte, di sacrifici, di speranze, di cui quelle terre, e talvolta le stesse stanze di quei palazzi, sono stati testimoni? Non si governa un Paese contro la sua storia: lo sa chi c`ha provato, ed è finito in genere malissimo.

L`'anti-italianismo' della Lega, conclude Galli della Loggia, prima di essere un insulto al passato è un errore politico, dal momento che con tutta evidenza esso costituisce un ostacolo grave ad ogni eventuale espansione elettorale leghista in ambito nazionale. Un errore nel quale il federalismo non c`entra nulla: fior di federalisti, a cominciare dal sempre evocato Cattaneo, infatti, furono anche fautori ardenti dell`unità italiana. E il fatto che poi questa unità fosse avvenuta in modi da loro non condivisi non gli impedì neppure per un momento di continuare per sempre a sentirsi italiani".

Su "Il Messaggero" di oggi, mercoledì 5 maggio 2010, Romano Prodi scrive:
“Qualche giorno fa il presidente Ciampi ci ha ricordato, con semplici e brevi parole, come il rafforzamento dell`unità nazionale sia la premessa di ogni riforma. E ha insistito sul fatto che questo rafforzamento sia una condizione essenziale perché si possano togliere i molti ostacoli che bloccano lo sviluppo del Paese. In poche parole ci ha detto che non si può passare all`attuazione del federalismo se non si parte dalla constatazione che viviamo in un`unica comunità e camminiamo dietro una sola bandiera.

Ho dovuto constatare, continua Prodi, che di queste parole vì era assolutamente bisogno, ma anche vedere con personale sofferenza che sono ricominciate le fronde nei riguardi delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell`Unità Italiana e gli ormai abituali insulti nei confronti della bandiera nazionale. Voglio subito dire che questa mi sembra la peggiore premessa all`introduzione del federalismo. Federalismo non vuole dire anarchia, non vuole dire scioglimento dei legami che ci tengono insieme, non vuole dire adozione di regole vaghe e flessibili. Dove il federalismo esiste vi è certamente maggiore capacità decisionale da parte deglì enti periferici (a cominciare dalle Regioni) ma vi è un profondo senso di appartenere ad una comunità guidata da regole inflessibili e da una riconosciuta autorità in grado di garantire la compatibilità e l`armonia deì diritti e dei doveri delle diverse componenti della comunità nazionale.

Voglio limitarmi a elementari osservazioni di preliminare buon senso. La prima è che, nel dibattito sul federalismo fiscale ognuno assicura ai propri elettori (siano essi del sud che del nord, siano essi professionisti che lavoratori dipendenti) grandi vantaggi dall`attuazione del federalismo stesso. Anche tenendo conto delle sue potenziali conseguenze virtuose, questa mi sembra un`affermazione priva del necessario supporto numerico. Partendo inoltre dal vecchio concetto che chi ben comincia è a metà dell`opera vorrei notare l`incongruenza di chi vuole il federalismo fiscale e nello stesso tempo ha voluto la cancellazione dell`imposta sugli immobili che, in tutti i Paesi del mondo, è il fondamento di ogni imposizione locale. Capisco, e me ne sono reso conto di persona, che parlare di Ici è assolutamente impopolare ma so anche che, come sì dice dalle mie parti, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. E che perciò, pur salvaguardando le classi più deboli, bisognerà pur arrivare a qualche diffusa applicazione di imposta sugli immobili o perlomeno a dichiarare con che cosa la si sostituisce, in modo da impedire il definitivo crollo delle autonomie locali.
A questo punto non mi resta che concludere, è ancora Prodi che parla, ritornando alle parole di Ciampi, che ci ricorda che per costruire l`autostrada delle riforme occorre "una tensione morale e una politica lungimirante che sappia assumere le sue responsabilità".


Senza dover rinunciare all’analisi storico critica di tutta la vicenda del Risorgimento italiano, che mette in risalto, accanto ai valori, anche i limiti degli avvenimenti, penso che giustamente oggi, di fronte a obiezioni ed azioni che tentano di distruggere l’Unità d’Italia, le parole di Galli Della loggia e di Romano Prodi, come di tanti altri, siano una lezione di civiltà.