Redazionale del n° 10 (Dicembre 2005)
Il Natale dei “povericristi”
Nei cinque-sei minuti che impiegherete a leggere questo articolo, molte cose succederanno attorno a voi: 5-6 persone nel mondo saranno uccise da un’arma da fuoco, una ogni minuto, ed è molto probabile che una delle armi o dei proiettili usati per commettere quegli omicidi sia stata fabbricata in Italia da “tranquilli padri di famiglia”; circa cento bambini saranno morti di fame o di sete; qualche barcone carico di migranti starà navigando nel Mediterraneo per tentare di attraccare ad un porto italiano; finiranno in quei lager che si chiamano CPT e che qualche razzista nostrano ha definito “alberghi a 4 stelle”; qualche aereo militare ultrasofisticato sorvolerà le vostre teste, e voi non ve ne accorgerete, inquinando gli strati alti dell’atmosfera, per consentire a qualche militare di giocare alla guerra e a pochi industriali di lucrare immensi profitti. E poi ci sono le 50 guerre in corso, soprattutto in Africa, nei paesi dove più forte è lo sfruttamento delle multinazionali occidentali e di cui nessuno parla. Guerre che queste multinazionali fomentano, mettendo poveri contro poveri, per poter meglio dominare quelle terre e continuare imperterriti a sfruttare risorse minerarie di tutti i tipi. E poi ci sono la guerra in Iraq e quella in Afghanistan: ogni giorno decine di morti; ogni giorno città e villaggi bombardati e distrutti in una guerra che sembra senza fine e a cui anche l’Italia partecipa. I caduti civili iracheni sono oramai trentamila, ed i marines statunitensi uccisi duemila. Centocinquanta, secondo alcune fonti giornalistiche, sarebbero gli iracheni uccisi finora dai “nostri” soldati in quella che è stata camuffata come “missione di pace” per imbrogliare il Capo dello Stato, il Parlamento ed il popolo italiano. Centocinquanta morti di cui, insieme con il governo che ha preso la decisione, siamo anche noi responsabili.
Nelle stazioni ferroviarie del mondo occidentale, intanto, frotte sempre più numerosi di “barboni” cercheranno di sopravvivere fra il disinteresse o la paura dei viaggiatori di passaggio. Qualcuno si turerà il naso; qualcun altro cercherà di alleviare il loro stato portando cibo e coperte, ma nulla di più. E poi ci sono i bambini soldato che in qualche angolo del mondo stanno combattendo qualche guerra imbracciando fucili più grandi di loro. E ci sono anche i bambini e le bambine soggette allo sfruttamento sessuale. Bambini che non avranno mai un sogno, che non sapranno mai che cosa sia l’amore di un padre e una madre, bambini e bambine a cui è stato rubato tutto, a cominciare dalla loro dignità di esseri umani. E saranno, anche qui, “tranquilli padri di famiglia”, cristiani, bianchi ed occidentali, ad usarli come strumenti per la propria libidine violenta. Nessuno di questi bambini leggerà mai un giornale, o un libro. Nessuno di essi potrà accedere ad internet o avere un telefonino o guardare mai una Tv. Nessuno di loro sa che cosa sia un frigorifero, o mangiare pane caldo o dolci a colazione. Nessuno di loro sa cosa significhi sentirsi sempre sazi o avere problemi di sovrappeso, o di diabete per eccessiva alimentazione. E poi… l’elenco è lungo!
Eppure a dicembre continueremo a sentir parlare di “Natale”, di “Gesù bambino che nasce” e di “panettoni” e di bambini buoni che scrivono la letterina a “babbo natale”. E le Tv saranno piene di trasmissioni mielose che rifaranno vedere per l’ennesima volta la casa di “Babbo Natale”, e le letterine dei bambini, e le risposte che questi riceveranno. E verranno trasmessi film sulla magia del Natale, come se nulla fosse. Più che buon Natale bisognerebbe dire “buon panettone” e “buona tredicesima”.
E le liturgie a cui qualcuno parteciperà la notte di Natale non ricorderanno nulla di ciò che succede “fuori”. A Natale tutto si dimentica, tutto passa in secondo piano. In più occasioni mi sono ritrovato ad assistere a celebrazioni nella notte di Natale con il prete che a mezzanotte in punto proclamava la “nascita del Cristo”, del “figlio di Dio” e mostrava, con sguardo commosso e teso, come un vero attore, un piccolo bambinello di gesso che poi, fra la commozione dei presenti, andava a riporre nel presepe, fra la statua della Madonna, quella di San Giuseppe e gli immancabili bue e asinello.
Noi “cristiani”, bianchi e occidentali, a dicembre metteremo mano alla tasca per calmare i nostri rimorsi, donando qualche spicciolo al volontario del “Banco Alimentare” o della “mensa dei poveri” della nostra città che si pone in agguato delle nostre certezze all’uscita dei supermercati, che sono diventati l’unico luogo dove si fa vita sociale, dove ci si incontra con gli amici fra lo scaffale della frutta e quello dello yogurt. Parafrasando Cartesio verrebbe da dire: “consumo, quindi sono”. E ci sono le immancabili richieste di finanziamento di questa o quella iniziativa caritatevole che, immancabilmente, riceveremo sotto natale. Tutta la retorica natalizia, da cui anche quest’anno saremo inondati, è una offesa alla miseria di tre miliardi di esseri umani. Tre miliardi di “poveri cristi”, nel senso di “crocifissi”, “perseguitati”, “torturati”, “violentati” nella loro dignità di esseri umani.
È amaro questo ragionare. Quattro anni di guerra, tanti ne sono passati dall’11 settembre 2001, hanno moltiplicato esponenzialmente il male, hanno aumentato la povertà dei poveri e la ricchezza dei ricchi. Anche i disastri naturali ci sembrano molto più gravi e devastanti, forse perché ne veniamo informati in diretta con dovizie di particolari, con tanto di morti e distruzioni catastrofiche in primo piano.
Se questo è il contesto nel quale viviamo, che senso ha parlare di “cristo”, della sua “nascita”, della sua morte e risurrezione? Che cosa è la “salvezza” che lui avrebbe donato all’umanità? Che significa dirsi “cristiano” con o senza aggettivazioni particolari (cattolico, protestante, ortodosso…) o invocare continuamente il nome di “dio” se poi tutto ciò che riusciamo a diffondere attorno a noi è miseria e morte per alcuni miliardi di persone? E a che cosa serve il “dio” di cui ci riempiamo la bocca se poi distruggiamo la Terra e non riusciamo più a vivere in armonia con la natura? Il “cristo” di cui parliamo è un tappabuchi, qualcosa per calmare le nostre ansie, come una pillola antidepressiva. È un “cristo” che non ci impegna in alcun modo, che oramai ha il solo scopo di tenerci buoni e non crearci troppi problemi. È un idolo, un feticcio da adorare, un altro “dio” inventato da qualcuno per continuare a dominare sugli altri uomini, come ai tempi del faraone o dell’impero romano. Un “dio” del potere, un “dio della morte e dell’oppressione”.
Che dire, che fare! C’è speranza per questa umanità? Riusciremo a superare questo contesto di morte nel quale viviamo? O, per dirla col Vangelo, “il figlio dell’uomo troverà la fede sulla terra al suo ritorno”?
Oggi come ai tempi di Gesù e ancora prima ai tempi di Abramo, Mosè e dei profeti che si sono susseguiti, la battaglia è contro un’idea di Dio come strumento di oppressione, come strumento per “legare” un popolo attorno al potere politico-economico-militare. Fra l’Imperatore Romano che si proclamava “dio” e a cui tutti dovevano rendere culto, ed il “dio” a cui si rivolgono oggi i moderni signori della guerra per proclamare le loro crociate non c’è alcuna differenza. È cambiata la forma ma non la sostanza. Il monoteismo di Abramo, di Isacco, di Giacobbe che è nato come ribellione all’oppressione che i faraoni di turno esercitavano sui popoli loro sottomessi utilizzando idoli o travestendosi da dei, è stato svuotato di significato. Il monoteismo che negava le religioni come strumento di oppressione, è stato svuotato dall’interno: oggi si opprime come duemila anni fa in nome del “dio unico”. L’etica comune stabilita sul Monte Sinai con i Dieci Comandamenti, è stata stracciata, non esiste più, visto che il comandamento principale del non uccidere viene continuamente violato dagli stati e dalle organizzazioni religiose che agli stati sono sottomesse.
Ecco allora il compito che ci aspetta per l’oggi: ricostruire un’etica comune e farlo con il dialogo fra le religioni e contemporaneamente riscoprire il senso del monoteismo liberatore di Abramo, Mosè, Isaia, Gesù, Muhammad. E allora si che avrà senso dire “buon natale”.
per la redazione
Giovanni Sarubbi