Pagina principale
barra
Pagina precedente




Redazionale del n° 8 (Ottobre 2005)

Paura

«Gli sciacalli continuano a saccheggiare la città, persino la polizia ha paura». Una frase significativa che ci fa capire come una città, dall’oggi al domani, possa diventare un luogo insicuro, con scene da film dell’orrore, un incubo dove si è perso il lume della ragione. Dove anche in tutori dell’ordine pubblico (la polizia) hanno paura. E´ la cronaca di una tragedia: quella recente dell’uragano Katrina che ha colpito una parte dell’America, la città di New Orleans. Quell’America che, improvvisamente, è diventata Terzo Mondo, Africa.

La paura fa fare cose tremende: al momento del pericolo, nell’uomo scatta il famoso istinto di sopravvivenza individuale, che non guarda in faccia più nessuno, pur di salvare la pelle.

La paura tende ad ampliare il valore effettivo dei fatti: perciò si sta eccessivamente all’erta e ci si allarma con estrema facilità, non conoscendo la consistenza del pericolo, in quanto esso dipende da un’azione che si sta sviluppando ed organizzando fuori del suo campo di conoscenza.

Ecco dunque che si può diventare facilmente delle “bestie”, perdendo completamente la dignità umana. «Mors tua, vita mea» dicevano i latini. Ed è proprio così: davanti ad un pericolo diventa difficile essere completamente solidali, aiutare il prossimo.

Certo, i cosiddetti «buoni cristiani» dovrebbero aiutare il prossimo secondo i dettami biblici del tipo «Ama il tuo prossimo come te stesso», e la predicazione di Gesù Cristo che diceva «avevo sete e mi avete dato da bere…». Ma al giorno d’oggi anche essi provano estrema difficoltà: sempre più spesso si sentono pronunciare frasi del tipo «ah, ma io mi faccio gli affari miei, sai, c’è da aver paura ad aprire la porta di casa a chi ti chiede aiuto. Con tutto quello di negativo che si vede in televisione!!».

Paura provocata per fare audience

Ecco una delle chiavi di lettura della paura: oltre al sacrosanto istinto di sopravvivenza umano, c’è qualcuno che instilla la paura in noi, che crea la paura ad arte, che gioca a seminare terrore tra la gente, che fa vivere barricati in casa, guardinghi verso chiunque, estraneo, umano, si avvicini. E´ la televisione quello strumento che, giorno dopo giorno, fa nascere in noi questo sentimento.

A guardare il mondo da quell’elettrodomestico sembra che tutto sia catastrofe, incubo, morte e terrore! L’enfasi di una catastrofe viene amplificata, centuplicata; certi giornalisti amano gonfiare le cifre, mandare le immagini più raccapriccianti di certi avvenimenti. Il tutto per fare audience, per vendere il prodotto. E gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: certi canali televisivi non fanno altro che ingigantire un semplice fatto di cronaca: ogni giorno si parla di terrorismo islamico, di Bin Laden, enfatizzando; terrorismo e fondamentalismo, nell’immaginario collettivo occidentale, sono spesso associati soltanto al mondo e alla cultura islamica.

Per esempio dell’Islam conosciamo, in prevalenza, quasi soltanto quanto i mass-media ci trasmettono e, non di rado, ciò è accompagnato da immagini di violenza o, quanto meno, di disagio e di insofferenza.

E´ un’idea di Islam che ci siamo fatti, che fa comodo a qualche potente e anche al cittadino comune che, in questo modo, giustifica diffidenza e paure nei confronti dell’altro. Ma non c’entra nulla con quello vero. Siamo condizionati da un’informazione, in qualche caso, affrettata e parziale che non favorisce il dialogo e l’integrazione.

Altro esempio: l’estate scorsa si è parlato di aerei caduti e sembrava che fossero chissà quanti. Ma le statistiche ci dicono che, in percentuale, sono molti di più i morti per incidenti automobilistici che quelli per incidenti aerei. E la gente per reazione ha avuto paura ed ha rinunciato a volare.

A Roma, poi, c’è stata la psicosi dell’acqua inquinata (scherzo burlone), messaggio veicolato addirittura tramite i messaggini sui cellulari. Un attacco terroristico, si diceva. E invece l’acquedotto della capitale, si è scoperto, è superblindato e l’acqua, per ora, gode di ottima salute.

I “paladini del Bene” combattono contro il Male

Alimentare la paura vuol dire togliere la gente dalla strada, isolarla e non farla stare più con gli altri: vuol dire, in poche parole, barricarsi in casa e guardare con sospetto e diffidenza tutti. E su questo sentimento i politici di turno riescono a costruire campagne elettorali che li porteranno al successo, con migliaia di voti. Come? Basta definirsi “paladini del Bene” e, portando Dio (sic!) dalla propria parte, dichiarare guerra al Male, in nome di una presunta “giustizia infinita”, come è successo negli USA con Bush. Un martellamento psicologico porta la gente comune, quella più sprovveduta, a eleggere chiunque faccia promesse di tranquillità, di pace. Perché da soli si può fare poco per uscire dal meccanismo fobico: ci si può solo barricare in casa mentre, se c’è “un buon politico che ti aiuta” (o che ti fa promesse “di Pulcinella”) e che parla in tv con linguaggi rassicuranti, studiati a tavolino, allora è diverso.

Anche da noi, in Italia, per un certo lungo periodo il Cavaliere ha continuato a vedere la Sinistra, il Comunismo, come il Male, montando una campagna elettorale più o meno in questi termini: “Io sono il Bene e combatto contro il Comunismo che, nella storia, ha seminato sangue”. Un totale anacronistico mezzuccio che, su lunga distanza, non è stato vincente. Perché, fortunatamente, c’è ancora gente che non si fa turlupinare.

Oggi però chi si professa “paladino del Bene” ha perso quasi del tutto credibilità, soprattutto se guardiamo all’Italia e agli Stati Uniti. I sondaggi infatti ci dicono che il re è nudo: pochi credono ancora alle favolette di cui sopra, raccontateci dal Cavaliere e dal Presidente americano.

Una seconda vita virtuale sognando un mondo migliore

Di fatto però la gente continua ad aver paura. Un esempio? Girando per i quartieri della città guardiamo le nuove case: vengono costruite con le finestre alle sbarre, con allarmi e teleallarmi milionari, con porte blindate come nelle banche; addirittura chi può si concede il lusso del bunker nel giardino. Ed i rapporti tra le persone sono più virtuali che reali.

Siccome il mondo reale è squallido, ecco che allora io mi collego ad internet, navigo, “chatto”, comunico (in apparenza) con il mondo. Ma quello virtuale: il mondo reale che mi circonda fa schifo, è squallido, mentre invece davanti ad un computer “rinasco a nuova vita”. Da solo.

E posso vivere storie d’amore, di sesso: con quanta gente puoi parlare, ti fidanzi, ti sposi e tradisci. E poi, ancora, ti fidanzi, ti sposi e tradisci... all’infinito. Magari puoi pure comprare casa, acquistando un terreno, rivenderla; acquistare ancora ogni ben di Dio.

E la fantasia è al potere, anzi tu sei al potere: il potere a buon mercato, grazie alla realtà virtuale, può essere tuo e migliorarti la vita.

Dove? In un posto dove la vita è altrove, dove la paura è assente, una seconda vita per realizzare i tuoi sogni. Nel Paese delle Meraviglie di Internet. Lì dove siamo potenti. Mentre nella vita spesso siamo incapaci di cambiare le cose.

«(…) Quanta forza abbiamo per cambiare il mondo - scrive Umberto Galimberti (*) - per inventare scenari reali e non virtuali che siano al di fuori di quell’unico generatore simbolico dei nostri comportamenti che è il denaro?

Sappiamo ancora guardare un cielo e scoprire le stelle nelle nostre città illuminate? Sappiamo ancora concederci il tempo nelle nostre giornate indaffarate? Disponiamo ancora di un orizzonte aperto e non murato dagli edifici di fronte? Abbiamo ancora un sogno che solo la nostra debolezza ci impedisce di realizzare?

Davvero abbiamo barattato quasi tutta la nostra possibile felicità per un po’ di sicurezza? Perché se tutto ciò è già accaduto, non sarà certo internet a restituirci tutte le possibilità che non abbiamo inseguito (...)».

 

(*) “I sogni si realizzano nell’esistenza reale”

da “La Repubblica” del 3/9/2005.

per la redazione

Gino Tartarelli

Pagina precedente Inizio documento