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Redazionale del n° 8 (Ottobre 2003)

Fiabe geneticamente immutate

Ci siamo confrontati come colletivo, per il redazionale di questo numero, sugli Organismi Geneticamente Modificati (OGM). Questo argomento, oggetto di dibattiti, prese di posizione e duri confronti, segnerà il nostro futuro e quello dei Paesi in via di sviluppo.

Anziché analizzare con argomentazioni i vari aspetti del problema, abbiamo preferito riportare l’esperienza diretta di un membro del collettivo stesso, vissuta nel corso di missioni realizzate nell’ambito della cooperazione internazionale.


Avevamo lasciato la strada asfaltata a Kaya provenienti da Ouagadougou ed ora, dopo aver percorso circa duecento chilometri di pista polverosa, stavamo per raggiungere un villaggio distante qualche chilometro da Gorom Gorom.

Nel villaggio in questione era in progetto la costruzione di un pozzo profondo quaranta metri che avrebbe permesso alle donne di evitare di percorrere ogni giorno i tre chilometri che separano il villaggio dal pozzo più vicino e ai pastori contadini di disporre di acqua sufficiente per dissetare il bestiame e irrigare i campi di miglio e di mais attorno al villaggio.

Sino a quel momento, per questo scopo, veniva utilizzata l’acqua di uno stagno che si formava nella stagione delle piogge e che nella stagione secca si riduceva ad una poltiglia fangosa.

Quando giungemmo al villaggio, nel primo pomeriggio, con il fuoristrada singhiozzante, il caldo era insopportabile. Il capo villaggio ci venne incontro preceduto da un gruppo di bambini e da alcuni adulti incuriositi. Vestiva una tunica viola e portava in capo il caratteristico cappello di paglia a cono con un ciuffo sulla sommità.

Il villaggio era costituito da capanne di paglia e mattoni crudi. Al centro, in uno spiazzo tra le capanne, una tettoia in lamiera copriva una specie di spaccio che fungeva da punto di aggregazione per gli abitanti. Mi venne offerta una bottiglia polverosa di coca cola calda e ci sedemmo a parlare dei problemi del villaggio all’incerta ombra di un baobab.

Naturalmente il discorso cadde subito sulla scarsità di acqua e sul progetto che si andava realizzando. Il problema mi apparve in tutta la sua gravità quando, accompagnato dal capo villaggio, compii un giro di ispezione in mezzo ai campi.

Mi colpirono soprattutto i filari del mais. Le pannocchie, già giunte a maturazione, erano scarse e si presentavano striminzite con chicchi radi. Ricordo di quando ero ragazzo, le serate passate sull’aia della cascina dove abitavamo a sgranare le pannocchie e a raccontare fiabe, ricordo i grani gialli ammucchiati su teli in attesa di essere insaccati. Il confronto mi dava la chiara idea di che cosa sia il sottosviluppo e di quali ne siano le cause.


Dal giorno in cui vennero inventati gli organismi geneticamente modificati (OGM), la loro introduzione nelle coltivazioni dei paesi sottosviluppati viene da alcuni caldamente caldeggiata, mentre da altri viene aspramente osteggiata.

Coloro che la caldeggiano affermano che le sementi così modificate, darebbero piante resistenti alla siccità, ai parassiti, di ottima qualità, perciò adatte alla lotta contro la fame nel mondo.

I detrattori sostengono a loro volta che non è ancora stata dimostrata la loro ininfluenza sulla salute umana. Inoltre la loro introduzione arrecherebbe prima di tutto gravi danni all’ambiente, in quanto possono ridurre la biodiversità là dove vengono introdotti e in secondo luogo, creerebbe dipendenza dei coltivatori dalle aziende produttrici che ne detengono il monopolio.

Proviamo a fare delle ipotesi su cosa potrebbe accadere nel villaggio da me visitato, se si dovesse introdurre mais geneticamente modificato.

Certamente la produzione verrebbe migliorata, sementi resistenti alla siccità, al calore, ai parassiti, avrebbero dato una produzione abbondante tale da sfamare tutto il villaggio.

Ma dal momento che tali sementi danno piante sterili, come potrebbero procurarsi le sementi per la semina successiva? Comprandole al mercato di Gorom Gorom distante una ventina di chilometri. Con quale denaro? Qui casca l’asino, o meglio il primo asino; nei villaggi, nelle migliaia di villaggi africani, di denaro ne circola poco, è una merce rara.

Mettiamo per ipotesi che i contadini abbiano il denaro per recarsi, in groppa al loro cammello o asinello, al mercato di Gorom Gorom, per comperare le sementi geneticamente modificate. Da chi potrebbero comperarle? Probabilmente da un boss locale che le acquisterà al prezzo imposto all’origine dalle multinazionali detentrici dei brevetti, per rivenderle ancora più a caro prezzo in regime di monopolio. Oppure da uno spaccio governativo, che non potrà venderle sottocosto o regalarle per non dissanguare le già scarse finanze del paese e il cui rifornimento dipenderà dalla buona volontà e onestà di un funzionario del ministero.

Mi pare che qui caschi il secondo asino.

Esiste ancora una terza ipotesi. Alcune grandi compagnie coltivano su vasti appezzamenti di terreno cereali con sementi geneticamente modificate. Il raccolto è abbondante, viene acquistato da governi generosi o da organizzazioni umanitarie e distribuito alla popolazione. Resta il fatto che così facendo i contadini cesserebbero di coltivare la terra, in attesa che arrivi l’autocarro con i sacchi di miglio. In questo modo saremo riusciti a trasformare milioni di contadini più o meno autosufficienti che lottano per strappare il loro nutrimento da una terra arida, in milioni di individui dipendenti dalla carità pubblica.

Salviamo il terzo asino, altrimenti, se il fuori-strada mi molla, non riesco più a tornare a casa.


Sono ritornato quest’anno nel villaggio. Il pozzo era terminato. Una motopompa riempiva due vasche di cemento affiancate, mentre una serie di canaletti pure in cemento portava l’acqua ad altre vasche più piccole poste a distanza regolare in mezzo ai campi.

Le piante di mais avevano una bella colorazione verde cupo e tra le foglie spuntavano pannocchie turgide come quelle che raccoglievo da ragazzo per gioco con i miei compagni. Immagino che quando sarebbero state mature e seccate, tutto il villaggio, adulti e bambini, si sarebbe raccolto al centro e seduti a terra, avrebbero incominciato a sgranocchiare le pannocchie raccontando fiabe, le solite fiabe che si raccontano da generazioni, mai modificate.

La Redazione

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