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Redazionale del n° 6 (Giugno/Luglio 2003)

La domanda

Quando Parsifal giunse la prima volta al castello di Montsalvatch, reggia del re Amfortas, il re pescatore, signore del Graal, venne accolto con tutti gli onori.

Entrando nell’ampia sala del castello, riscaldata da un grande camino, vide il re, circondato da dame e cavalieri, adagiato su di una lettiga. Ciò che lo colpì fu l’espressione di grande sofferenza che affliggeva il re e la sconsolata tristezza di tutti gli astanti.

I grandi ceppi di aloe che bruciavano nel camino non riuscivano a mascherare un odore greve, nauseabondo di cadavere che proveniva dal corpo del re, come se questi fosse afflitto da una ferita putrescente che non riusciva a rimarginarsi.

Più volte, nel corso del banchetto che seguì, Parsifal, incuriosito, avrebbe voluto chiedere il motivo di tanta sofferenza, ma poi per timore di essere indiscreto rinunciò a porre la domanda e finì col rinunciare a porla anche a se stesso, perché si era reso conto che, in realtà, non voleva sapere: intuiva che chiedere era come sporgersi su di un abisso in cui temeva di cadere.

Altre avventure lo chiamavano, così al mattino presto, mentre tutti nel castello dormivano, si alzò, bardò il suo cavallo e partì al galoppo.

Seguirono anni di dure prove e traversie, di errori e di sofferenze; cinque lunghi anni al termine dei quali, come chiamato da una voce misteriosa, Parsifal ritornò al castello di Mont-salvatch. Qui nulla era mutato, vide che la ferita del re continuava ad infliggere atroci sofferenze, che dolore e rovina continuavano a regnare sotto le cupe volte del castello.

Fu a questo punto che, di fronte a tanto dolore, Parsifal, per la prima volta, fu mosso a pietà. Si avvicinò alla lettiga dove il sovrano giaceva disfatto, si inginocchiò davanti alle livide trasparenze di quel volto e: "Ditemi o mio signore, dolce compagno di un’esistenza di dolore, cos’è che vi strugge?" mormorò.

A queste parole il re si animò, lentamente si alzò dalla lettiga, il suo volto riprese colore, la ferita si rimarginò come per incanto e la vita, dopo tanti anni, riprese a scorrere trionfante tra le mura del castello.

Fu così che Parsifal divenne a sua volta il signore del Graal.

Sovente capita di assistere a dei dibattiti televisivi in cui si parla di guerra, di pace, di povertà, di ambiente, di globalizzazione, terzo mondo e via discorrendo. Si ascolta uno, si ascolta l’altro, si ascoltano dotti pareri, ognuno dei partecipanti esprime un’opinione, un giudizio, ognuno ha delle spiegazioni da dare e milioni di telespettatori ascoltano, cercano di farsi un’opinione, un’idea che in qualche modo spieghi, giustifichi quello che sta accadendo.

Dopo di che ognuno reagisce a suo modo. C’è chi pensa che vada bene così, chi si indigna, chi si rassegna, chi sbadiglia, chi dice "perbacco!!!" e spegne la televisione per andare a dormire, ma l’atteggiamento generale è da spettatori passivi.

Credo che sia questa una delle cause perché le società stiano andando alla deriva, perché l’ingiustizia dilaghi, perché le guerre, l’odio, il razzismo, l’arroganza di pochi potenti determinino le vicende del mondo. Stiamo diventando sempre più spettatori passivi di quanto ci propinano i mezzi di informazione, spettatori impotenti e questo non contribuisce certo a far cambiare le cose.

Sapere che c’è la guerra, che i bambini africani muoiono di fame e di malattie, o che il pianeta sta andando verso la catastrofe, non porta la pace, non offre un futuro a quei bambini, non salva l’ambiente.

Ci sono soluzioni valide, efficaci? Abbiamo la possibilità di cambiare le cose? Possiamo certo votare, votare tizio o caio in base alle balle che ci contano o in base alle stanche nostalgie del passato, ma poi vediamo che tutto va comunque gradatamente peggiorando. Aumenta la povertà, aumenta l’intolleranza, aumentano gli egoismi di individui e nazioni che schiacciano i più deboli.

Perché non proviamo allora a chiederci qualche perché. A porci qualche domanda. Non dei perché dettati da mera curiosità. Ma dei perché che sorgono dall’inquietudine profonda che nasce di fronte al malessere crescente. Perché manca il lavoro? Perché arrivano moltitudini di immigrati? Perché l’impero vuole la guerra? Perché la droga? Perché bambini di dieci anni vengono costretti a pulire i vetri delle macchine? Quanti perché... Ci sarà una risposta?

Non credo che ci sia una risposta convincente, che ci siano soluzioni a portata di mano, ma se anche ci fossero, non sta nella risposta la salvezza, la risposta che tranquillizza, che spiega, che deresponsabilizza, ma nella domanda, la domanda che implicitamente comporta un’assunzione di responsabilità. Per noi, affamati di superfluo, non è più possibile rimanere ad un banchetto tanto inquietante, accompagnato da un così intenso dolore, senza porre, a noi per primi, delle domande, fidando solo nel nostro benessere

Credo che, come Parsifal, dovremmo continuare a porre e a porci domande. Domande che inquietano, che ci tolgono il sonno, ma che ci fanno approdare ad una maggiore consapevolezza. Troveremo risposte a queste do-mande? Forse la risposta potremo darla noi e sarà la strada che imboccheremo, magari senza rendercene conto, inseguendo le nostre domande senza risposta.

Giorgio Bianchi

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