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Redazionale del n° 6 (Giugno/Luglio 2002)

No Logo

Il best-seller di Naomi Klein, No logo, tratta un tema di grande attualità: gli effetti funesti del neo-liberismo. Il logo, come ormai tutti sappiamo, consiste di una frase accompagnata da un'immagine, creata perché richiami subito alla mente il prodotto ultimo, che deve apparire superiore a tutti i precedenti, insuperabile. E' studiato da specialisti che vi lavorano a volte per anni, con l'uso di criteri scientifici ben collaudati per soppesare il gusto medio di chi ne può essere attratto, l'immediatezza perché il messaggio non sia intralciato dalla riflessione, l'efficacia che faccia scattare un meccanismo psicologico irresistibile. In sintesi il logo abbacina la fantasia di chi cerca la merce trendy (alla moda), che faccia tendenza.

Una prima ricognizione

Siamo in tempi in cui bisogna rispondere a parole d'ordine, numeri convenzionali, segnali luminosi; cioè a codici e convenzioni simboliche, che fanno del nostro, un sistema universale senza scampo. Se il nazifascismo e il socialismo reale sono stati fermati dalla sconfitta bellica (è naturale che gli epigoni continuino a tramare rivincite), il neo-liberismo sfrenato non è meno pericoloso, e sappiamo che è destinato a crescere chissà quanto. Ne sono soggiogati i paesi "civili", da consumatori, e ne sono penalizzati i nuovi schiavi dell'ingiustizia sociale.

La selvaggia promozione di marketing ( = produzione in funzione del mercato) richiede manodopera a costi minimi. Con la scusa di portare lavoro nei paesi sottosviluppati, si sono create zone produttive, che sono dei veri e propri lager, dove la gente lavora in condizioni pessime dal punto di vista igienico e di sicurezza. La povertà materiale e intellettuale consente il massimo sfruttamento dei lavoratori, tra cui molti bambini. Tali zone, come quella visitata nel Chiapas da un nostro redattore, sono circondate, addirittura, da muri o da filo spinato, controllate dalla polizia locale, pagata sovente dalle multinazionali: bisogna che il lavoro sporco, inquinante, non compaia nel prodotto confezionato; che nessuno possa vederlo in rapporto alle persone che vi hanno impiegato i propri sudori. Ne consegue che il guadagno della merce sia massimo per i magnati, ideatori del logo; medio per i mediatori, di pura sussistenza per i lavoratori.

Intere comunità, nei paesi poveri, sono travolte e scompaginate dall'irrompere di questo Nuovo Padrone, che blocca ogni autonoma crescita, (vedi America Latina in generale, Asia, Africa, ecc.); e non è raro il caso in cui esse, nell'impossibilità di opporre forza di resistenza al gigante che le inghiotte, ripieghino nell'alcoolismo, nella prostituzione, in ogni forma di degrado morale e fisico.

Le guerre e le angherie

L'11 maggio scorso l'International Herald Tribune si chiedeva: può il disgelo nelle valli himalaiane portare a una guerra nucleare? Il disgelo nell'impervia regione del Kashmir, già più volte casus belli tra Pakistan e India, porterebbe alla facilitazione comunicativa tra i due colossi. L'India mantiene da gennaio mezzo milione di soldati lungo i confini, con un rapporto di forza, rispetto al Pakistan, di tre ad uno. Se l'India attacca, sfonda e divide in due il Pakistan nel giro di giorni o di ore. Quindi il Pakistan non avrebbe altra chance che l'uso delle armi atomiche. Questa è chiamata l'altra crisi, per distinguerla da quella israeliano-palestinese, la quale in confronto parrebbe una scaramuccia. E' chiaro che gli unici in grado di disinnescare una così terribile minaccia sono Bush, Putin e Jiang. L'Europa? Il giornale di cui sopra, non l'onora nemmeno di un riferimento.

Ma perché accostiamo il discorso del neo-liberismo a quello sulle guerre?

Per non fare analisi parziali, data la complessità di tanti fenomeni interconnessi.

Lo sdegno contro il catechismo liberista che crea povertà e invade l'intero globo, non può farci dimenticare che i focolai di guerra si creano qua e là per svariati motivi, non ultimo dei quali il tentativo di non cedere all'invadenza dei modelli culturali "occidentali"; e a tal fine si evocano tradizioni religiose con acceso fanatismo, che possa coinvolgere le masse.

Destano raccapriccio tante lotte fratricide, lo stato di irriducibile miseria di tanti popoli soggiogati da tiranni nativi, che fanno da Padroni dei loro simili, la condizione di sfruttamento femminile, eccetera. Davvero il sistema mondiale unificato dai logo spiega molte angherie, ma non tutto.

Quali soluzioni

Trovare soluzioni è ancor più difficile del capire. Non possiamo raccontarci la favola del buono e del cattivo, o del mostro che inghiotte chiunque…

In un primo momento, in redazione, siamo smarriti, tanto più che l'elenco dei mali è molto, ma molto incompleto. Si fa strada un'idea: "Forse è giunto il momento di trastullarci meno sulle analisi e sui dibattiti filosofici e teologici e di cominciare a lavorare sulla collettività per sottrarla alle sirene del consumo". "Se di prove abbiamo ancora bisogno, basta che individuiamo i profeti di oggi e li seguiamo nel loro peregrinare alla ricerca di soluzioni, nella messa in atto di pratiche efficaci, ben diverse da quelle di ieri": Zanotelli, Samuel Ruiz, don Nota , Gino Strada, eccetera.

Bastassero i profeti! Ci vorrebbe tutto un popolo di profeti, quale auspica lo Scrittore sacro…

Naturalmente il nostro discorso piega sul commercio equo e solidale, sulla banca etica, su altri approcci generosi.

Il punto su cui si insiste molto, e che in un certo senso calamita la nostra attenzione, è il renderci conto che contro il globalismo ci vogliono alternative globali. Bisogna giocare all'inverso, sensibilizzando le persone ad usare il loro grande potere in quanto consumatori, e consumatori cittadini, cioè costruttori della civitas. E viene immancabilmente in mente il primo impareggiabile grido di battaglia davvero "globale", rivolto ai proletari di tutto il mondo: "Unitevi!"…. Il potere dei più - oppressi -, contro il potere dei pochi - oppressori -.

Bisogna - ma non basta - danneggiare economicamente le multinazionali: ogni volta che arriva il logo più raffinato, che obnubila la capacità di scelta, deturpiamolo. Buttiamo in faccia alla simbolica Gioconda… l'inchiostro indelebile.

Ma, per favore, non fermiamoci a questi atti di nuovo luddismo1!

La società protagonista

In quest'ultimo punto deluderemo i lettori speranzosi. Si tratta di cautelarsi contro le illusioni, e di evitare, nello stesso tempo, lo scoraggiamento: per cercare ancora. Dire NO al logo non deve somigliare al "no" dei bambini.

Un solo esempio per capire come questo NO potrebbe risultare dannoso: nel corso degli ultimi mesi una vera e propria pioggia di protezioni e sussidi si è riversata sull'economia americana a favore delle grandi industrie, incrementandone la crescita contro l'importazione e a favore dell'esportazione; le vere vittime saranno il Brasile per l'industria siderurgica e il Messico per l'agricoltura. Ecco uno dei mali che si annida contro il globalismo: il protezionismo, che rende meno fluidi e meno "sensibili" i rapporti (economici) con gli altri paesi.

Siamo guardinghi per questi e per altri motivi.

La stessa mobilitazione della società può avere caratteri di segno opposto. E poi siamo consapevoli quanto sia difficile che il cambiamento venga fuori dalla massa, qualora mancassero persone abili, capaci di plasmarla e di far prendere la via giusta. "Massa", dal greco maza, è appunto la pasta da amalgamare col lievito. Non è vero che "la gente ha il potere" (Patti Smith), se non c'è chi la sa mobilitare ed indirizzare.

Non dimentichiamo che sono tramontate, oltre le ideologie, le due ultime utopie, quella di George Orwell, con l'opera: "1984. La fine della storia", e quella di Aldous Huxley con l'altra opera: "Il mondo nuovo". In pratica non reggono più i parametri di una concezione della storia, che la veda conclusa con l'avvento di un'ideologia dominante, o del sogno di una palingenesi che la faccia ripartire da zero.

 

Per non finire piangendo

Il barone di Munchausen caduto nella palude, non ha come tirarsi su. Per fortuna ha i capelli lunghi e si tira fuori prendendosi lui stesso per il codino.

Le città sono invivibili? Andiamo ad abitare in periferia. Abitiamo, soprattutto le periferie in ogni campo - economico, morale, religioso - ; ricostruiamo lo stile-villaggio. Attenti, però a stabilire tra le varie periferie mezzi di comunicazione, che permettano di non dover correre al Centro a rifornirsi… E così via. Calvino consigliava: "Meglio la leggerezza che la gravità delle buone intenzioni" facciamo, cioè il poco possibile.

Come i soldati esercitano il loro mestiere quando scoppia la guerra cosi i soldati di pace, quali vogliamo essere noi, scatteremo come una molla appena un sussulto di novità sana sarà avvertito da orecchie preservate da perfide lusinghe.

Del resto noi apparteniamo alla categoria dei sognatori o magari dei clown (penso al nostro vignettista); non abbiamo intenzione alcuna di indossare la divisa di Robespierre o la tonaca dei pastori di anime. Forse anche perché non sappiamo immaginare anime senza corpi; e ci battiamo per un'integrità umana, in cui spirito e corpo siano una sola cosa.

Il nostro no al logo, è rifiuto alla menzogna e alla miseria di chi lavora dietro il filo spinato.

Vorremmo farlo noi un logo: ben diverso, da sovrapporre a tutti gli altri, disegnato con i caratteri della fede, per la quale crediamo ancora nell'umanità in attesa di liberazione.

Per la redazione

Ausilia Riggi

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