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Redazionale del n° 5 (Maggio 2002)

Pregare la pace oggi

Anziché fare i nostri commenti sui mali che oggi infestano il mondo, ci piace impostare l'editoriale con una poesia che riassume in un certo qual modo l'orizzonte nel quale TdF si muove:

O Dio,

in Gesù ci indichi le direzioni dell'amore.

Rendici capaci di ascoltare più che di parlare;

di imparare più che di insegnare.

Aiutami a seminare l'evangelo

senza mai mettermi un palmo sopra nessuno.

Aiutami ad ascoltarti nelle gioie degli innamorati,

nel dolore delle persone sole ed abbandonate,

nella volontà di riscatto degli emarginati,

nelle lotte degli esclusi,

nelle preghiere dei cuori semplici,

nelle lacrime delle persone sconfitte

e nei sogni di pace e di giustizia. (don Franco Barbero)

Cogliamo quattro articolazioni: 1) la direzione verso cui guardare; 2) come seminare il vangelo oggi; 3) la vicinanza con gli oppressi del mondo; 4) i nostri sogni di giustizia e pace.

1. La direzione verso cui guardare

Ne abbiamo parlato più volte, ma nel continuo confronto tra noi e coloro che ci leggono, si fa sempre più chiara la direzione verso cui tendere: fare da antenna agli interrogativi di tutti. "Da antenna", non per le risposte da dare, ma per gli interrogativi da porsi.

Affrontare la fatica di un'informazione che non sia semplice indottrinamento o curiosità emozionale, implica tenersi svegli, scuotersi dalla quiete del "mansueto inconcluso saggio", di cui parla Ceronetti.

Significa anche avere il coraggio di opinioni proprie. Nella grande betoniera in cui si macinano i fatti caotici della storia, orientarsi è difficile, richiede impegno. Non si può professare la propria fede religiosa, celebrare la festa, ascoltare la Parola di Dio e non confrontarla coi dati di fatto del momento che viviamo.

Non raramente si irride ai pacifisti, agli "impegnati" nel sociale, i quali si divertirebbero coi loro girotondi, le marce e altri sollazzi. Eppure in queste manifestazioni l'aspetto ludico ha un grande valore simbolico: stringersi l'uno accanto all'altro, esterna il bisogno di accomunarsi attorno ad un centro ideale, tutto da inventare. Non si tratta di voler attutire il senso di impotenza, che davvero assale di fronte a forze oscure che incombono impietosamente; piuttosto è questione, semplicemente, di non uccidere la speranza, di guardare in direzione di un futuro da costruire. Come recita un proverbio arabo: "Quando tutto ci sembra perduto, ci resta il futuro".

2. Come seminare il vangelo oggi

Questo maledetto post-moderno (che si è lasciata dietro, oltre che le ideologie, anche la pre-moderna pietas verso i grandi numi tutelari dell'ordine sociale, famiglia, patria, religione), ci ha spaesati, facendoci credere che non c'è nulla per cui valga la pena di combattere. Tra tanti, ne è un piccolo ma significativo test, l'irriverenza verso ciò che nel passato era nobile ed elevato: come il dipingere i baffi alla Gioconda o ascoltare un pezzo sublime di musica classica, subito interrotto dalla sfrontata presentazione di un oggetto di consumo.

In un mondo dove tutto è incerto, anche le verità della fede sembrano pura formulazione dottrinale, fatta su misura delle categorie del passato. Si presenta lo stesso Vangelo quale testo da decodificare (come bisogna per tutte le altre sacre scritture, di culture diverse dalla nostra). E siccome nella realtà nessuna risposta è facile e scontata, nessuna logica è perfettamente "a piombo", mettere in questione le stesse certezze della fede lascia un vuoto incolmabile, che l'etica laica non riesce a rimpiazzare.

Forse c'è da mettere in chiaro qualche principio: a) non bisogna scambiare il pluralismo (delle interpretazioni) della verità con il relativismo; b) non è il caso di farsi paladini della verità, come se ne fossimo proprietari: siamo così abituati ad una cultura del possesso da non saper concepire una verità dai mille volti, che cresca assieme a noi, che sia tutt'uno con la prassi indicata dai grandi Maestri del passato, primo tra tutti, per noi cristiani, Gesù.

Eppure dal Vangelo non si possono dedurre verità teoriche. Da esso scaturiscono semi di vita, che richiedono di essere fecondati dalla fede; che scomodano, inquietano, chiedono spazio di espansione.

3. La vicinanza con gli oppressi

Lévinas fa notare che il cristianesimo occidentale ha sempre amato fare uso della metafora della luce per parlare della verità. Ma spesso ci si è dimenticati che quando nelle tenebre si fa luce, si proietta anche la propria ombra. Ogni visione è limitata. E - aggiungiamo - questo stare tra luci ed ombre, non permette che i conflitti vengano elusi. Non c'è solo luce né sola ombra. L'unico modo davvero umano di vivere la realtà è immettere, in quanto è inquinato dall'odio e dalla violenza, dinamiche inedite di comunione e di fraternità.

Dopo Assisi 2002, sono state lanciate tre semplici parole: insieme - differenti - concreti. Sono di una forte valenza, da imprimere nella mente, nel cuore, in ogni azione; sono indicatrici di marcia; valgono più di un quaresimale (ricordo: per quaranta giorni i Padri Passionisti raccoglievano i fedeli a meditare sulla passione di Cristo, e il cuore si scioglieva di tenerezza, mentre del mondo e delle sue tragedie si sapeva quasi nulla; delle monache mi hanno mandato una loro circolare augurale per la pasqua: parole esultanti di gioia; non una per i crocifissi di oggi!).

A volte urge cambiare vocabolario mentale e nominale nello stesso tempo; ad esempio, Capitini voleva che la parola nonviolenza fosse scritta senza trattino: perché non si dice no alla violenza, la si cambia nel suo contrario.

4. Sognare, pregando, la pace

Di fatto ciò che ci manca (ma la vogliamo tenacemente) è la PROFEZIA. La quale richiede una coscienza interpretativa e simbolica, non necessariamente religiosa, capace cioè di inventare forme sempre nuove per reagire al male.

Stranamente aiuta più il sogno che la realtà. Nel riposo della fantasia, in quella parte di cervello dove si elaborano i sogni, Dio comunicava - cosi narra il Libro dei libri - il da farsi. Perché Lui non dovrebbe fare altrettanto oggi? Forse parla ancora, e noi siamo così assordati da tanto frastuono, che non ascoltiamo il mite messaggio di un angelo che ci dice: va' presso chi soffre, riconosci i venditori di morte, fa' qualcosa anche tu. Non per inseguire un grande pensiero, ma per elaborare un pensiero sano (come suggerisce una della redazione).

Abbiamo bisogno, non di una religione che proponga chissà quali eccelse ed eroiche virtù, ma di una fede che sia tutt'uno con la vita. Borges nella sua opera "Labirinti" dice: "E' più facile morire per una religione, che viverla pienamente".

Forse alle giovani generazioni, vittime del frammento (tanto che per uno sballo sfidano la morte), bisogna affidare in eredità la religione della vita: vita che si comunica, che genera altra vita. Cosa impossibile se non la si sogna…

La profezia di Gesù può trasfondersi in chi si fa suo discepolo: non dobbiamo farci preda di un falso pudore che disgiunga il discepolato dall'impegno civile. Invece la loro coniugazione ci permetterebbe un modo per conciliare il povero futuro che temiamo, col Futuro di Dio, anticipato dalla fratellanza. Gesù non ha predicato se stesso, ma la salvezza di tutti, senza eccezione di sorta; per questo ci ha insegnato a pregare il Padre nostro: Padre - è questa la sua dolce severa lezione -, di fratelli di qualsiasi razza e religione, miscredenti, diversi, gente e perfino bimbi dal volto sfregiato….

A ragione Jonas afferma: Anche se Dio fosse morto, dobbiamo rispettare e concepire l'uomo a sua immagine e somiglianza.

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