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Redazionale del n° 7 (Agosto-Settembre 2001)

PROXIMA ESTACIÓN?

Aveva ragione Totò: è la somma che fa il totale. Prendete un foglio di carta bianca e fate con noi il gioco delle associazioni, quello per cui una parola ne richiama un’altra, e poi un’altra e poi un’altra ancora. Scrivete sul foglio Seattle, Nizza, Napoli, Quebec City,Goteborg, tirate una bella riga in fondo e vi accorgerete che da un po’ di tempo soffia un vento diverso rispetto alla calma piatta degli ultimi vent’anni.Il pensiero unico, felice definizione coniata da Ignacio Ramonet, direttore di Le Monde Diplomatique, per descrivere una filosofia del mondo imperniata esclusivamente sulle leggi del mercato, traballa e voci sempre più insistenti si alzano per opporre ad esso una nuova "narrazione" del mondo.

Genova è stata l’ultima stazione, da aggiungere alle altre, di un percorso che sta prendendo sempre più forma, all’interno del quale la consapevolezza del cambiamento non è più patrimonio di pochi. Se addirittura il petroliere Edoardo Garrone - noto guerrigliero della Selva Lacandona - , a Porto Marghera, in apertura dell’annuale convegno dei giovani industriali italiani di qualche mese fa, osa affermare che lo sviluppo economico non può avere la sola faccia del Pil, ci sono concrete possibilità di non essere più scambiati per pazzi utopisti.

Anche il mondo cattolico italiano, nel suo complesso, sta dando segni confortanti di una ritrovata vitalità. Il manifesto sottoscritto per il controvertice di Genova da circa una trentina tra associazioni e gruppi missionari è un fortissimo j’accuse ai grandi della Terra che, senza enfasi retorica o generici richiami alla bontà evangelica, sottolinea le loro grandi responsabilità nella costruzione di una società più giusta. L’appello non è stato sottoscritto da Comunione e Liberazione, che più in generale ha accusato il popolo di Seattle ( e quindi i molti cristiani che ne fanno parte) di rappresentare delle istanze borghesi, un’eco - assai più debole sotto il profilo culturale - del monito che Pasolini lanciò ai ragazzi del ’68 nella poesia Il PCI ai giovani in occasione degli scontri di Valle Giulia. Francamente non capiamo. Le contraddizioni all’interno del movimento non ci sono sconosciute, ma se dal mondo ricco, il nostro mondo, qualcuno ha iniziato a prendere coscienza delle gravi contraddizioni che attanagliano il pianeta in cui vive, dove sta il problema ? Dovrebbe essere piuttosto il silenzio assordante di questi anni a scuotere gli animi dei ciellini i quali però, evidentemente, per non disturbare il manovratore loro amico (vedi alla voce Berlusconi) si sono tenuti lontani da Genova.

Altra accusa stucchevole, che rischia di diventare un tormentone infinito, è quella secondo cui il popolo di Seattle ha in odio la globalizzazione e pretenderebbe di fermare un treno la cui corsa è inarrestabile. A parte il fatto che se il convoglio in questione è palesemente destinato a schiantarsi contro un muro, qualsiasi tentativo che cerchi d’impedire il tragico impatto dovrebbe essere oggetto di plauso più che di biasimo, la questione ci sembra riconducibile, in sintesi, al rapporto tra diritti e mercato. I primi - diritti dell’umanità, dell’ambiente, delle generazioni future, di chi lavora - necessitano di tutele forti e di essere sottratti al dominio incontrastato delle due astrazioni - mercato e tecnologia - che hanno dominato tutta la fase storica più recente. Reclamare queste priorità, come hanno fatto le migliaia di persone che hanno invaso Genova, non può essere tacciato di antiglobalismo perché si tratta, al limite, dell’esatto contrario. Ciò che si chiede, infatti, è una globalizzazione reale, all’interno della quale tutti i popoli abbiano le stesse opportunità di crescita sociale ed economica, mentre lo spettacolo odierno ci offre invece un mondo spaccato a metà, con sperequazioni mai viste.

Una domanda a questo punto è inevitabile, e più di un osservatore l’ha sollevata: siamo di fronte a un nuovo Sessantotto e ce ne stiamo accorgendo solo adesso? La voglia di cambiamento è simile, non c’è dubbio, entrambi i movimenti partono dai giovani e, oggi come allora, c’è una critica serrata ai poteri economici e finanziari che prendono il sopravvento sulla politica. Il popolo di Seattle è però più eterogeneo, forse meno ideologizzato - manca un riferimento forte come fu il comunismo per i sessantottini - e più legato a problemi concreti (la riforma delle grandi istituzioni internazionali, la remissione del debito dei paesi poveri, l’abolizione dei paradisi fiscali, ecc…) che hanno ricadute pesanti sulla vita quotidiana di miliardi di persone. A differenza di trent’anni fa oggi, inoltre, sembra esserci maggiore consapevolezza sulla pericolosità dell’uso della violenza come strumento di lotta anche se la questione è tutt’altro che definita. Certi furori rivoluzionari appaiono davvero un po’ingenui e datati e mal s’attagliano alla complessità dei problemi che abbiamo davanti. Michele Serra in un articolo apparso su la Repubblica del 14 luglio 2001, ricordava come molti della sua generazione siano stati segnati e abbiano segnato altri "proprio per aver bypassato la riflessione etica sulla violenza […] quel che non sapevamo e non capivamo è che mezzi e fini sono la stessa cosa, vagoni dello stesso convoglio […] e che un rivoltoso violento e impietoso sarebbe diventato un potente cinico, un ministro poliziesco, un licenziatore menefreghista".

Mentre scriviamo Genova è reduce da due giorni di guerriglia urbana come da anni non accadeva nel nostro paese e un ragazzo di 20 anni ha perso la vita. A chi attribuire la colpa ? I resoconti di amici che in quei giorni erano nel capoluogo ligure parlano di attacchi predeliberati da parte della polizia e di un magnifico corteo di 200mila persone al quale è stato impedito di manifestare liberamente: la repressione è una vecchia risposta alla quale il potere non rinuncia mai. Sui Black bloc molto resta da chiarire (perché hanno scorazzato in libertà per le vie di Genova ? Che senso ha quella gustosa foto da villaggio Valtour che vede inquadrati un poliziotto e dei manifestanti muniti di robuste spranghe, il tutto come se fosse un vecchio gruppo di amici? ), ma a giudizio di chi scrive anche lo sfondamento della cosiddetta "linea rossa", tanto pompata nelle settimane precedenti il vertice da settori importanti del Genoa social Forum, avrebbe scatenato un'escalation di violenza.

Archiviata Genova, qual è la proxima estación ? Si tratta di dare continuità a ciò di che positivo è stato costruito negli ultimi due anni., acquistando una sempre maggior credibilità di proposte, allargando la rete del consenso e delle alleanze con nuove forme di mobilitazione che vadano al di là dei raduni anti-vertici, che certo hanno rappresentato un passaggio obbligatorio per dare visibilità mediatica al movimento, ma che rischiano di diventare alla lunga stantie espressioni di "turismo rivoluzionario". L’idea che circola - parliamo del nostro paese -, e non possiamo che esprimere il nostro pieno assenso al riguardo, è quella di costituire un Forum sociale, che sulla scia del Genoa social forum, diventi una struttura permanente all’interno quale associazioni, gruppi e singoli cittadini possano canalizzare le loro spinte al cambiamento, con lo sguardo rivolto a Porto Alegre dove il prossimo anno si terrà il secondo incontro mondiale del "movimento dei movimenti".

I temi di confronto e di discussione non mancano ed e’inutile fare l’inventario di problemi che conosciamo tutti. Tra i tanti, però, ci sembra rivestire un’importanza particolare il ruolo della politica e il suo futuro, oggi cosi incerto al punto tale da spingere qualcuno a parlare di suo tramonto. La crescita dell’astensionismo è uno dei segni - nelle recenti elezioni inglesi ha votato il 59% degli aventi diritto, negli Stati Uniti i tassi di partecipazione alle consultazioni elettorali sono sempre più bassi (tanto alla fine vince addirittura chi ha preso meno voti) - ma la disaffezione e la sfiducia vanno al di là del mero momento elettorale. Non è vero che agli occhi del popolo di Seattle "la spoliticizzazione derivante dal trionfo dell’economia sembra essere una manna" (Barbara Spinelli, La Stampa, 15 luglio 2001), perché il governo degli avvenimenti è invece tra le istanze più sentite all’interno del movimento, purché non si affidato in esclusiva nelle mani di otto persone che a loro volta devono render conto alle pressioni e ai desiderata dei loro grandi e veri elettori, che rispondono al nome di corporation trasnazionali, lobbies economiche e Confindustrie. E’ il governo degli avvenimenti passa da diverse strade come una seria riforma dell’Onu, nuove forme di democrazia sull’esempio proprio di Porto Alegre dove i cittadini sono chiamati direttamente in causa nella elaborazione del bilancio della loro città, un potere di controllo più diffuso attraverso i nuovi di mezzi di comunicazione (Internet in testa) che oggi rappresentano, invece, un ennesimo motivo di esclusione. E chissà che in tutto questo riflettere e agire non trovi una nuova ragion d’essere anche la sinistra politica - italiana e no - , perché la ricerca di un’identità forte e precisa non può durare all’infinito.

Fausto Caffarelli

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