LA CADUTA
Premessa
La storia ideale o idilliaca delle origini sembra improvvisamente turbata, meglio tragicamente spezzata da un fatto destinato ad avere secondo la comune interpretazione, conseguenze catastrofiche sulla collettività umana. La "colpa" dei progenitori contamina indistintamente tutti i loro discepoli.
Il testo sacro, Genesi 3, di per sé non è molto chiaro ma nella tradizione cristiana è prevalsa una lettura storicistica e quindi teologica tuttora persistente. È quella che il Catechismo fa propria.
1. "Un peccato unico"
Il testo catechistico non ha dubbi sulla natura e sulle conseguenze di quello che la tradizione chiama "peccato originale" (n° 396).
Come Cristo è "sorgente della grazia" Adamo (Eva non è menzionata) è "sorgente del peccato) (n° 388); e la chiesa "sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo" (n° 389).Evidentemente la rivelazione del peccato originale avviene attraverso la Scrittura e a tal riguardo il Catechismo ricorda che "il racconto della caduta utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all’inizio della storia umana. La Rivelazione ci dà la certezza di fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori" (n° 390).
Il testo continua a ricordare che l’uomo libero e intelligente non poteva non essere sottoposto alla prova (n° 396) e a questa verifica "abusando della propria libertà ha disobbedito al comandamento di Dio"; "in seguito ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà" (n° 397).
"La Scrittura mostra le conseguenze drammatiche di questa disobbedienza" (n° 399). "L’armonia nella quale essi (i progenitori) erano posti, grazie alla giustizia originale, è distrutta; la padronanza delle facoltà spirituali dell’anima sul corpo è infranta; l’unione dell’uomo e della donna è sottoposta a tensioni; i loro rapporti saranno segnati dalla concupiscenza e dalla tendenza all’asservimento. L’armonia con la creazione è spezzata; la creazione visibile è diventata aliena e ostile all’uomo". E da quel momento "la morte entra nella storia dell’uomo" (n° 400).
2. Un’ipotesi teologica o un evento storico?
Il punto serio, imbarazzante della dottrina tradizionale del peccato originale è che non si tratta delle conseguenze di un errore, di un ammanco che può passare come una triste eredità di padre in figlio e nemmeno di una cattiva azione che può lasciare strascichi nella storia, incitare altri a ripeterla; non è la semplice pena che già sarebbe una cosa grave ma lo stesso stato di colpa, di inimicizia con Dio, di condanna alla lontananza da lui. La trasmissione di una colpevolezza morale a persone libere, innocenti ed assenti. Un dato che qualsiasi filosofia troverà sempre difficile da spiegare.
Il Catechismo è chiaro: "Tutti gli uomini sono coinvolti (anche se non è detto come) nel peccato di Adamo"; "tutti sono stati costituiti peccatori" (n° 402). "La Chiesa ha sempre insegnato che l’immensa miseria che opprime gli uomini e la loro inclinazione al male e alla morte non si possono comprendere senza il loro legame con la colpa di Adamo e prescindendo dal fatto che egli ci ha trasmesso un peccato dal quale tutti siamo contaminati e che è la morte dell’anima" (n° 403).
A sostegno di una tesi così grande gli autori del Catechismo fanno appello anche ai più noti teologi, soprattutto a san Tommaso e a sant’Agostino. Con le parole dell’aquinate è detto che "tutto il genere umano è in Adamo come l’unico corpo in un unico uomo" (Quaest disp de malo, 4, 1) (n° 402). E "per questa unità" quel che compie il primo uomo vale per tutti!
Con sbalorditiva semplicità è ricordato che "Adamo aveva ricevuto" i doni originali "non soltanto per sé ma per tutta la natura (sic) umana"; cedendo al tentatore li ha persi per tutti (n° 404).
Gli autori del Catechismo onestamente ammettono che "la trasmissione del peccato originale è un mistero che non possiamo comprendere appieno (n° 404); ciò nonostante essi cercano di farlo e con una certa sicurezza. Secondo la "Rivelazione", ma senza addurre riferimenti concreti, "Adamo ed Eva commettono un peccato personale" che però "intacca la natura umana, che essi (di conseguenza) trasmettono in una condizione decaduta", "cioè privata della santità e giustizia originali". Per questo il peccato originale è chiamato peccato in modo analogico; è un peccato contratto e non commesso, uno stato e non un atto (n° 404). Ma non comporta semplicemente una carenza, bensì anche un "reato di colpa".
Il discorso nonostante la chiarezza di fondo rimane sempre un po’ insicuro. Si afferma che "la natura umana non è interamente corrotta", quindi lo è solo parzialmente; poi si aggiunge che "è ferita nelle sue proprie forze naturali" e "inclinata al peccato". Il battesimo "cancella il peccato originale" quindi c’è qualcosa nell’intimo, nella coscienza dell’uomo che lo costituisce peccatore, lo tiene in stato di inimicizia con Dio. Infatti più avanti parla di "macchia del peccato originale" (n° 411) e a proposito del battesimo afferma che "volge di nuovo l’uomo verso Dio" (n° 405), quindi era in contrasto con lui, cioè secondo la classica definizione di peccato "Aversus a Deo".
La storia umana per il Catechismo è cominciata male e si protrae peggio. I suoi protagonisti sono entrati in scena infelici e deformi per colpa di un irresponsabile progenitore, ma la colpa più che sua è di chi ce l’ha messo, di chi l’ha dotato di tanta responsabilità, di chi ha annesso tanto peso alle sue operazioni!
3. Il fondamento biblico
Il peccato, il male, la colpa sono i problemi che preoccupano da sempre l’uomo, in particolare il teologo di tutti i tempi e di tutte le confessioni religiose solo che la risposta catechistica che l’ordine è stato turbato da un’ingerenza esterna non si rivela soddisfacente e soprattutto non appare suffragata da adeguati riferimenti biblici.
Il libro sacro in qualche modo parla due volte del "peccato originale", in Gn 3, 1-24 e in Rm 5, 12-21.
Il testo del Genesi alla luce della moderna, recente esegesi non è un racconto storico ma una composizione didattico-sapienziale. L’autore non parla di ciò che è accaduto una volta nella vita o nella storia dell’uomo ma qual è il suo abituale modo di comportarsi. Quindi non si occupa della ipotetica coppia umana ma dell’uomo in generale. Adamo infatti significa "uomo" ed Eva è sinonimo di "donna". E non si interessa di ciò che l’uomo e la donna nortmalmente fanno ma del loro rapporto con il bene ed il male, in una parola del loro agire morale.
L’autore di Gn 3, il jahvista, ritiene che gli uomini sono facili a sbagliare, cedere alle tentazioni, si lasciano ingannare dai raggiri delle loro passioni, dall’orgoglio, dalla cupidigia, da insinuazioni e sollecitazioni esterne. Egli non è propriamente un teologo, ma soprattutto un pastore d’anime, un maestro che cerca di suggerire i modi con cui frenare la fallibilità umana.
Gli uomini sbagliano perché si lasciano trascinare da propositi inconsiderati, essere indipendenti anche da Dio, giudici del bene e del male, come si sono provati a fare Adamo ed Eva, l’uomo e la donna. In fondo il testo di Gn 3 è una triste parabola, più che una triste storia primordiale. Come si sono lasciati sedurre Adamo ed Eva si possono, si lasciano sedurre tutti. Ognuno è invitato a leggere nel quadro le ragioni del suo modo di agire, soprattutto dei propri errori.
Non bisogna poi dimenticare che quella che la lettura che l’autore offre dei comportamenti umani è una lettura, non la lettura in assoluto; è quella a cui egli crede piuttosto negativa e pessimistica che neanche in quanto tale si può ritenere vera, com’è soggettivo il grido di Paolo che vede ogni uomo sottomesso (hypodikos) al peccato (Rm 3, 19) e che esclama disperato: "Chi mi libererà da questo corpo di morte" (Rm 7, 24.
Adamo con i suoi discendenti sembra capace di compiere solo il male. Il quadro delle origini (Gn 4-11) è riempito da una massa di peccatori con l’eccezione di qualche giusto (Enoc, Noè, Abramo) (n° 402). Tali tinte, abbastanza fosche, più che ritrarre con esattezza la storia, hanno lo scopo di mettere in guardia il lettore dal male.
L’uomo è un mistero che il jahvista si è provato a dipanare, ma non è riuscito a farlo che relativamente.
4. Il ragionamento paolino (Rm 5, 12-21)
Il testo di Gn 3 rimane un libro sigillato fino all’apostolo Paolo che lo riprende per illustrare l’universalità della salvezza cristiana, non per un esame, un’analisi approfondita e pertinente sulla natura del peccato originale, ma per far comprendere la funzione di Cristo nella salvezza della collettività umana. Come in Adamo si trova ricapitolata la fallibilità umana, ovvero come da lui è partito il peccato, la morte, la condanna, da Cristo è venuto il dono, la grazia, la giustizia, la salvezza.
La preposizione "come" indica che Paolo stabilisce un raffronto, un paragone tra i due protagonisti; anzi afferma che uno è figura (typos) dell’altro. I punti salienti dell’argomentazione paolina sono: "poiché ho visto che tutti hanno peccato" (v. 12) e "per la disubbidienza di uno tutti sono stati costituiti peccatori così per l’ubbidienza di uno tutti saranno costituiti giusti" (v. 19). I due testi sembrano stabilire un rapporto di causalità tra la colpa di Adamo e quella dei suoi discendenti ma solo apparentemente, perché Paolo indaga su Cristo e non su Adamo. Su quest’ultimo fa solo un riferimento occasionale, come una argomentazione "ad hominem", cioè chiara, espositiva anche se non probativa. Anche senza il riferimento adamitico l’annunzio cristologico aveva, doveva avere il suo valore.
Se da una parte la storia di Adamo illustra l’azione di Cristo, la natura della salvezza cristiana fa comprendere anche la portata dell’eventuale funzione di Adamo. In nessun punto dell’epistolario paolino è sottinteso un riferimento causale tra la morte di Cristo e la salvezza cristiana. Anche se Cristo è morto per tutti gli uomini questi non diventano automaticamente giusti in seguito alla sua azione redentiva indipendentemente dalla loro personale risposta.
Il rapporto che Paolo stabilisce tra tutti e Cristo sminuisce più che rafforzare il rapporto di colpa tra il "primo uomo" e i suoi eventuali discendenti perché anche se Gesù è il salvatore di tutti gli uomini non cambia ipso facto la situazione morale e spirituale, lo stato creaturale dei redenti. Non si può pertanto supporre una tale virtù l’apostolo l’attribuisca al gesto di Adamo.
Tutto quello che ha fatto Adamo, il suo posto di responsabilità nella storia umana l’apostolo non lo sa ma ciò non gli impedisce di farne un punto di appoggio per evidenziare l’inderogabilità dell’azione di Cristo. Neanche Paolo è un teologo ottimista. Per lui tutti gli uomini sono peccatori, pagani e giudei (1, 18 – 3, 20) e tutti in generale (5, 12-21). È quanto interessa per avvallare la tesi che tutti hanno bisogno di Cristo (1, 16-17). Non c’è stato un tempo di grazia prima di lui ma di ira; da Cristo a Mosè e da Mosè ad Adamo (5, 13-14). Questa è per Paolo la storia, comunque essa sia collegata nei suoi vari protagonisti. In Adamo vi è raccolta tutta l’umanità fuori di Cristo quindi della salvezza. Questa sintesi negativa della storia precristiana giunge opportuna a chi vuole far comprendere la necessità che c’è per tutti di Cristo.
5. Riserve teologiche
La tesi che il progetto creativo, in pratica la felicità o l’infelicità dell’intera famiglia umana di tutti i tempi sia legata a un gesto di responsabilità e rispettivamente di irresponsabilità di due povere creature, per quanto intelligenti, sempre limitate nella capacità ed attitudini non è la più saggia che si possa immaginare.
Essa non onora la sapienza e meno ancora la bontà divina che avrebbe legato ad un anello così fragile di cui egli era bene al corrente, il destino di tutti, un’eternità di gioia e di dolori. Un progetto concepito in partenza con questa lacuna non può essere ritenuto degno di Dio.
L’uomo è creato a immagine dell’altissimo, è dotato di intelligenza, libertà e doni di vario genere; di fatto comincia la sua storia claudicante, carico di debiti, peccatore, degno di condanna. Tant’era non averlo creato così dotato, così grande. Solo per farlo morire di disperazione.
La ragione dell’uomo che pure è un riflesso di quella divina non riesce a comprendere come un essere intelligente e libero possa diventare peccatore, quindi reo di condanna senza aver compiuto alcun atto personale. È un’ipotesi che i teologi sono stati costretti ad avanzare perché si sono trovato di fronte ad una lettura storicistica di Gn 3 e di Rm 5, 12-21 ma modificati o modificandosi i presupposti biblici è una supposizione che si potrebbe ritirare, che avrebbero potuto ritirare gli estensori del Catechismo.
Ma anche se risultasse un autentico insegnamento biblico cioè se la giusta interpretazione di Gn 3 e di Rm 5 fosse quella tradizionale il problema non è automaticamente risolto a favore del peccato universale perché la supposizione che possa trattarsi di un’opinione personale del jahvista ripetuta da Paolo è sempre possibile, non può essere facilmente smentita. La parola di Dio non coincide sempre con la proposta o l’interpretazione dell’uomo che la trasmette.
Il punto discriminante dell’esegesi è stabilire quanto di soggettivo, di relativo, di personale, di secondario vi è nella parola che si chiama ed è di Dio.
Se infine è arduo parlare di una colpevolezza in Adamo lo è più ancora supporre una trasmissione di colpa di generazione in generazione da un discendente all’altro. Il bene come il male è talmente personale che lo si può testimoniare davanti a tutti ma non trasfonderlo nell’animo e nel cuore di presenti e assenti. È vero che il bene e il male possono contagiare, ma quelli che vogliono, mai per forza o automaticamente.
Conclusione
L’interpretazione del peccato originale proposta dalla tradizione e ripetuta dal catechismo è troppo singolare per ritrasmetterla prout iacet all’uomo del secolo XX. Questi è più disposto ad accettare un progetto con delle componenti instabili (la responsabilità limitata delle cause seconde), pure esso misterioso, che il coinvolgimento irresponsabile di tutti nell’inadempienza di uno.
L’ipotesi che il progetto abbia subito un guasto è troppo grave per poter essere accettata, mentre la supposizione che il progetto sia solo allo stato iniziale o embrionale, quindi incompleto, imperfetto perché la sua perfezione è il compito assegnato all’essere ragionevole, può essere più accettabile.
L’uomo è l’immagine di Dio, il signore del creato perché con le sue capacità e il suo impegno è chiamato ad imprimergli l’orientamento che il creatore gli ha stabilito ed egli è "in colpa" fintanto che il progetto non giunge alla meta.
Alla fine appare che il peccato originale è l’imperfezione creaturale, l’incompiutezza del cosmo, degli esseri, dell’uomo. Quest’ultimo ha in sé i lumi e le potenzialità di portare il tutto alla perfezione definitiva che forse non giungerà mai. Fin tanto che non lo farà sarà "in colpa", il primo uomo come tutti i suoi discendenti. Ognuno per parte e per colpa propria e non dei suoi progenitori o dei suoi prossimi parenti.
L’errore umano in tutta la sua ampiezza, la pigrizia, il disimpegno, l’egoismo, la malvagità sono il "peccato originale" che deve riprendere il suo posto nella predicazione cristiana e nell’attenzione del credente per poterlo così una buona volta combattere concretamente fino ad eliminarlo.