IL QUADRO DELLE ORIGINI
Il catechismo continua a leggere in Gn 2-3 in chiave cronistica. Infatti il quarto punto del paragrafo sesto prende in considerazione "l’uomo nel paradiso" (n° 374). Le sue condizioni sono ideali. Su tutto primeggia la sua bontà e santità che si possono dire costituzionali. Difatti è spiegato che il primo uomo non solo è stato creato buono, ma è stato anche costituito in una tale amicizia con il suo creatore e in una tale armonia con se stesso e con la creazione che saranno superati soltanto dalla gloria della nuova creazione in Cristo (n° 374).
È chiamata in ballo anche Eva e si ribadisce che entrambi "sono stati costituiti in uno stato di santità e giustizia" che è "una partecipazione della vita divina" (n° 374). E il testo fa appello all’autorità della chiesa che "interpreta autenticamente il simbolismo del linguaggio giuridico alla luce del nuovo testamento e della tradizione" (n° 375).
Il catechismo fa propria la definizione del concilio di Trento quando affermava che "la grazia della santità originale era una partecipazione della vita divina" (n° 375).
1. I "doni pretenaturali"
L’uomo delle origini vive in una condizione privilegiata. L’intima comunione, l’amicizia con Dio comporta un potenziamento di "tutte le dimensioni della sua vita". Il testo parla di un "irradiamento di questa grazia", cioè della familiarità divina su tutte le potenze dell’uomo. I suoi riflessi si notano nella "padronanza" su di sé, e nel dominio delle sue passioni.
Il disordine era sconosciuto. "L’uomo era integro e ordinato in tutto il suo essere perché libero dalla triplice concupiscenza che lo rende schiavo dei piacere degli sensi, della cupidigia dei beni terreni e dell’affermazione di sé contro gli imperativi della ragione" (n° 377).
L’ "armonia" regnava sovrana, nell’intimo "della persona umana", "tra l’uomo e la donna", infine "tra la prima coppia" e tutta la creazione (n° 376).
Il dominio del mondo si realizzava sì con il "lavoro" ma senza alcuna "fatica penosa" (n° 378). Il tocco finale di questo stato paradisiaco era l’immunità dalla morte. "L’uomo, finché fosse rimasto nell'intimità divina non avrebbe dovuto né morire né soffrire" (n° 376).
Il tutto è racchiuso in una formula ben nota nei vecchi manuali di teologia: "giustizia originale" (n° 376).
2. Un supporto fragile
È da tempo che l’esegesi e l’insegnamento teologico comune, persino dei seminari, hanno messo in dubbio l'interpretazione di Gn 2-3. Anche se si volesse dare un valore narrativo ai testi in questione le conclusioni dedotte dai teologi del concilio di Trento si rivelano sempre esorbitanti.
Il jahvista (l’autore di Gn 2-3) non aveva alcuna idea della "giustizia originale" o della "grazia" (santificante), si preoccupava solo di segnalare plasticamente i benefici dell’amicizia divina come le conseguenze della sua eventuale ira. Stare in pace con lui significava avere una vita felice; offenderlo, quindi inimicarlo comportava la soggezione a tutti i mali. È il modulo a cui ha fatto abituale ricorso la predicazione profetica e la riflessi0one sapienziale di cui il testo di Genesi registra ampi riflessi.
L’uomo che osserva i comandamenti di Dio e colui che li trasgredisce non trovano la stessa risposta dalla vita. Di fatto può andar meglio al peccatore che al giusto (la tesi di Giobbe), ma per teologo il giusto è premiato, il malvagio è punito. L’amico di Dio è benedetto nella sua persona e nel suo lavoro, nelle sue varie iniziative; chi si oppone a Dio paga il prezzo della sua ribellione con il dolore, la fatica, il turbamento interiore (rimorso), l’ostilità dei propri simili (guerre), compreso l’assoggettamento a potenze superiori (Satana). Basta rileggere una delle tre prediche del Deuteronomio, soprattutto i capitoli 29-30 per convincersene.
L’autore di Gn 2-3 parla della "prima" coppia umana ma il discorso riguarda qualsiasi uomo. Il suo problema non è il comportamento dell’uomo delle origini di cui non si sa nulla ma dell’uomo in genere, fin dalle origini, ovvero di sempre. Questi si è trovato, si trova costantemente davanti a un bivio, di bene o di male, di vita o di morte. Sta a lui scegliere, indovinare o sbagliare e subire le conseguenze del suo agire.
L’ "albero della conoscenza del bene e del male" (Gn 2, 17) è la sintesi di tutte le proibizioni che ognuno incontra nella propria esistenza e forse perché tali solleticano le passio i a prevaricarle. Sembra spontaneo, legittimo assecondarle, ma deve prevalere l’ordine ossia una visione globale della realtà e armonizzare i propri personali rapporti con essa. Non si è poi soli al mondo, per questo bisogna tener presenti gli altri coinquilini del pianeta e rispettarli. Più che i bei ragionamenti per l’uomo primitivo sono più efficaci le minacce o gli allettamenti. È quanto fa l’autore di Gn 2-3. L’eden è il premio per l’uomo giusto da cui sarà allontanato se non si atterrà alle prescrizioni di chi ve l’ha collocato.
3. Un programma da realizzare
L’autore di Gn 2 parla, almeno sembra, dell’uomo originario, ma non affronta il problema delle origini. Egli non sa e non pretende neanche di sapere in quale stato di felicità o di disagio si è trovato il primo uomo, ma raccoglie le aspirazioni, il desiderio congenito di ogni suo simile che vede affaticato, stanco, afflitto, vittima del dolore, dell’ignoranza e infine della morte. E si chiede quali siano le ragioni di questo divario e se vi è mai un rimedio ad esso. La sua risposta a differenza di quella di Qoelet è ottimistica.
La teologia tradizionale interpreta letteralisticamente il testo di Gn 2 e continua a ripetere che esso ritrae la situazione con cui è cominciata l’avventura umana. Il mondo, l’uomo sono usciti dalle mani del creatore in una condizione felice, se non che l’essere ragionevole ha compromesso la sua sorte e quella degli altri abitanti del pianeta con la propria ribellione.
Il "paradiso terrestre" trova eco nella beata "età dell’oro" che compare nelle culture e tradizioni parallele alla Bibbia, culture mediterranee o mediorientali.
Il testo di Gn 2 è letto abitualmente come una ricostruzione storica delle origini ma potrebbe essere una proiezione sui destini ultimi dell’uomo e della storia. L’attuale condizione della famiglia umana non è certamente entusiasmante, ma l’autore avverte che è appena al suo stato iniziale, se non embrionale. Il suo stadio ultimo non è ancora arrivato e nessuno sa quando arriverà e quale sarà.
L’autore di Gn 2, come gli anonimi profeti del mondo pagano, può darsi tenti di dare un messaggio di speranza ai suoi lettori tormentati dai disagi dell’esistenza quotidiana. Il quadro che egli offre non è tanto una storia passata, il ricordo di un mondo perduto e che non tornerà più, ma un anticipo, un preannunzio di quello che sarà. Non un racconto storico ma una previsione profetica o una segnalazione programmatica sul futuro dell’uomo e della storia.
Il tracciato su cui avanza attualmente la vicenda antropo-cosmica non è certamente rasserenante, ma invece di ripetere "ma all’inizio non era così" l’autore invita a dire "un giorno tutto potrà cambiare, cambierà". La terra arida (adamah) diventerà un giardino (gan) (2, 8). L’uomo riuscirà a stabilire una pacifica convivenza con il suo simile, vivrà in armonia con il creato e alla fine, anche se nessuno sa quando, anche la fatica e le malattie saranno debellate.
La felicità non è dietro le palle, ma in prospettiva; la possono raggiungere tutti, basta che lo vogliano. E un giorno quando l’uomo avrà assolto la sua missione gli esseri stanno in pace tra di loro e la terra sarà ripiena di alberi fruttiferi belli a vedersi e dolci a mangiarsi. Il "paradiso terrestre" non sarà più un’utopia, ma avrà finalmente trovato il suo posto nella storia. Il "regno dei cieli" che Gesù ha annunziato e cominciato a instaurare non è che l’attuazione del progetto proposto e prospettato ai progenitori fin dalla costituzione del mondo (Mt 25, 34). Il "regno" è il luogo in cui Dio, come nell’eden, si trova ad abitare amichevolmente con l’uomo e dove la giustizia, la verità e la pace si troveranno ad albergare. Gesù annunziando e cercando di instaurare il regno di Dio sulla terra mostrava che l’antica profezia di Gn 2 non era un vano sogno.
4. Un’ipotesi priva di fondamento
La Bibbia offre una versione incantevole dello stato originario dell’uomo. Uscito dalle mani di Dio egli è libero, onniscente, saggio, equilibrato, impassibile, immortale, ma la versione che la paleontologia offre dello stato primordiale dell’uomo è ben diversa. La storia umana si confonde alle origini con quella dei bruti; l’uomo è semiselvaggio coem la terra che lo ospita; ignora l’arte del vivere, il linguaggio, le altre agevolazioni che riuscirà pian piano a scoprire. Per la scienza i progenitori o i primi uomini debbono essere cercati tra il pitecantropo, il sinantropo o il neanderthalense. Per qualunque esemplare si opti si è ben lontani dall’adamo biblico. Questi infatti non è l’uomo quando esce dalle mani del creatore ma come egli vuole che egli in definitiva sia.
L’Adamo vero è un antropoide, un ominide, un essere primitivo e grottesco; quello che l’autore sacro presenta è come egli sarà nel suo stato ultimo. L’uomo nasce nelle condizioni che la scienza scopre ma con la destinazione che l’autore biblico gli precisa; le due fonti più che contraddirsi si integrano e si precisano.
I "privilegi" che l’autore attribuisce all’uomo del "gan", le celebri immunità dall’ignoranza, dalla concupiscenza, dal dolore e dalla morte appaiono alla luce della scienza e della storia anomalie impossibili.
Tutta la scienza infusa dell’uomo è stata dedotta abusivamente dalla imposizione del nome da parte di Adamo agli animali, segno che li conosceva realmente, ma è una finzione letteraria per segnalare la superiorità dell’uomo sugli esseri inferiori e la superiorità della donna su tutti gli abitanti del giardino. Di fatto la processione non c’è mai stata; non è di essa che l’autore si preoccupa ma di ciò che significa. Egualmente precari sono anche gli altri ipotetici doni.
L’uomo è psichicamente ovvero spiritualmente distinto dagli esseri inferiori, ma il suo corpo, il suo stato fisico è eguale al loro. La sofferenza è una prerogativa irrinunciabile della sua realtà corporea, una conseguenza insopprimibile dell’impatto che egli ha con il mondo materiale. La passività e la passibilità sono componenti insopprimibili della costituzione psico-somatica dell’uomo; non si possono sopprimere senza modificare la sua costituzione creaturale.
Il dolore è la reazione spontanea che l’organismo avverte davanti ai pericoli, alle disfunzioni, ai mali che minacciano la vita fisica. Allo stesso modo la fatica è il segnale di allarme del consumo di energie o dello sperpero che si è verificato nell’organismo. Se non ci fosse il richiamo del dolore l’uomo sarebbe fagocitato dal male.
L’organismo, lo stesso uomo si logora irreversibilmente; le sue forze calano fino a spegnersi. L a morte è una tappa inevitabile; finché si è impastati di corporeità non c’è assoluta possibilità di avere altra sorte. La morte fa parte di un processo di crescita e di dissoluzione a cui nessuno potrà mai sfuggire. L’immortalità è un sogno a cui molti hanno guardato ma sempre inutilmente. È stato e rimane un mito.
La pena minacciata da Dio ai progenitori ("morirai certamente") è da intendersi, come è generalmente nella Bibbia, in senso spirituale o almeno totale, dell’anima prima che del corpo. La morte intesa come privazione della vita e dell’amicizia divine. Infatti dopo il peccato l’uomo non è privato dell’esistenza ma è cacciato dal giardino cioè allontanato dalla presenza e dall’amicizia divine.
L’albero della vita piantato nel mezzo del paradiso sembra ordinato ad alimentare la continuità esistenziale (Gn 2, 9) dell’uomo, ma è una supposizione che il testo non convalida. Il commento ironico che l’autore fa dopo la trasgressione sembra a favore dell’immortalità dell’essere umano ma ciò dicendo si dimentica il concetto di vita nel libro sacro. "Ora ecco Adamo è diventato come uno di noi conoscendo il bene e il male. Ebbene che egli non stenda la mano, prenda ancora dell’albero della vita, ne mangi e viva in eterno" (3, 22-23). La vita "eterna" è una prerogativa esclusivamente divina; Adamo ne avrebbe beneficiato se non avesse trasgredito il precetto divino e fosse rimasto nel giardino. Egli ha perso l’amicizia divina e quindi anche l’accesso all’albero che simbolicamente la rappresentava.
Il dettaglio più sensazionale che caratterizza lo stato dell’uomo dell’eden è la "nudità" (Gn 2, 25). Se l’uomo viene all’esistenza nudo tale deve essere anche la condizione dei progenitori creati a quanto sembra adulti, solo che l’autore si affretta a ricordare che non costituiva per essi motivo di vergogna, ma ciò non è forse indice della loro immunità dalle passioni ma della carenza di disagio e di incertezza davanti alla vita a cui si affacciano.
La nudità nella Bibbia non è collegata con l’indifferenza morale, l’innocenza, né la vergogna è sinonimo di virtù. Bisogna pensare al simbolismo delle vesti per capire il senso della nudità. Queste indicano protezione, difesa, sicurezza; la nudità perciò è segno di privazioni, spoliazioni, impotenza. L’uomo nudo è spoglio, quindi senza protezione, indifeso, schiavo. La prima cosa che si faceva ai prigionieri era denudarli per ricordare ad essi la loro nuova condizione, alla mercé dei loro padroni.
All’inizio della sua esistenza ed esperienza l’uomo è in una condizione precaria, fragile, aperta a qualsiasi pericolo, ma il suo animo è tranquillo, non ha paura, non sente vergogna perché è in pieno possesso di se stesso e della sua identità. Se la veste significa protezione, sicurezza e se strappare le vesti a uno o togliergli un indumento significa ridurlo simbolicamente all’impotenza, allo scherno, al capriccio di chi l’ha denudato, l’uomo dell’eden nonostante avesse dovuto temere, sentirsi impotente, è tranquillo, non è soggetto a umiliazione perché la sua fiducia è riposta in Dio.
Conclusione
La Bibbia da sola non è sufficiente a risolvere il problema delle origini umane e dello stato primordiale dell’uomo.
La fede impone un’adesione al fatto creativo ma deve rilasciare la determinazione delle sue modalità, fasi di realizzazione nel tempo all’indagine storica (paleantropologia).
Ortensio da Spinetoli
N.B. Sull’argomento cfr. Itinerario spirituale di Cristo, Assisi, 1974, vol. II.