NOTE AL CATECHISMO
L'UOMO, LA DONNA, LA COPPIA
PreamboloIl problema antropologico è il più grave di quanto l’autore biblico e di conseguenza il nuovo Catechismo suppongano. Sarebbe stato più semplice ribadire il dato di fede, al provenienza e la dipendenza dell’uomo da un Essere supremo, pur senza poterne stabilire le modalità che impegnarsi a riproporre e peggio a imporre l’adesione a tesi più o meno superate o almeno insicure, dubbie (nn. 355-384).
1. A immagine di Dio
Il senso di questa affermazione nella sua portata originaria (Gn 1, 26-27) è più teologico che antropologico. Indica l’incombenza che spetta all’uomo nel cosmo più che le sue presunte qualità interiori, spirituali, intellettive, affettive, analoghe a quelle di Dio. Per il jahvista, ma anche questa è una sua opinione, l’uomo è la statua che segnala agli abitanti della terra la presenza, di per sé nascosta ed invisibile, del creatore.
I conquistatori dell’antichità, partendo dai territori soggiogati lasciavano scolpita e ben in vista alle popolazioni vinte la loro effigie affinché si ricordassero di chi erano diventati sudditi.
L’uomo non sostituisce Dio perché per il credente egli non è e non può essere mai assente; se per assurdo lo fosse tutto tornerebbe nel nulla, ma richiama la sua attiva presenza mediante i suoi decisivi interventi nell’attuazione del piano creativo. Si tratta di una lettura ottimistica del rapporto dell’uomo con il mondo circostante che l’autore sacro propone.
L’uomo, allo stato attuale delle conoscenze, è l’unico essere ad apparire dotato di capacità razionacinative, quindi di assumersi incombenze decisionali e orientative nell’attuazione del progetto, ma è sempre un’ipotesi indotta da ragionamenti precostituiti più che da analisi sperimentali.
Si può continuare a magnificare la dignità, le capacità (nn. 356-357), le potenzialità, i destini (n. 358) del genere umano o dell’uomo e di quest’ultimo esaltare le sue multiformi attitudini, le componenti somatiche e psichiche (nn. 367-368) e ripetere ancora che "l’anima è forma del corpo", ma serve a poco perché è solo un discorso teorico e alla fine da incompetenti perché l’antropologia scientifica era ignota ai teologi medioevali come lo è per i moderni.
L’uomo è ancora il più grande mistero che la ricerca è chiamata ad affrontare. Darlo per risolto in partenza in base alle concezioni o categorie ebraico-bibliche è come risolvere il problema dei movimenti stellari in base alle affermazioni di un condottiero del XII secolo a.C. (cfr. Gs 10, 12-14). Anche l’unità del genere umano (nn. 360-361), la sua provenienza da un unico capostipite (n. 360), anche se non ribadita come nell’ "Humani generis" (1950) e in altri documenti pontifici (v. il discorso di Paolo VI del 6.9.66) rientra sempre nelle asserzioni che esorbitano il dato di fede.
Non ci sono le solite prese di posizione contro l’evoluzionismo (la derivazione dell’uomo da specie "inferiori") , la poligenesi (l’origine dell’uomo da più coppie) o il polifiletsismo (la provenienza da più rami, cespugmi distinti), ma si poteva dire una parola a favore o di rispetto verso queste proposte almeno parascientifiche che gli alunni di tutte le scuole ascoltano abitualmente dai loro rispettivi professori di scienze naturali che parlano insieme, prima o dopo, gli insegnanti di religione. Se questi ultimi continuano a contrapporre la risposta ebraica o biblica del problema cosmologico o antropologico a quella almeno più moderna e più credibile a cui è arrivato il tecnico non rende un buon servizio al giovane studente che sarà il cristiano di domani.
Il Catechismo non è certamente un trattato di antropologia o psicologia, ma dato che affronta problemi paralleli all’una e all’altra branca non sarebbe inopportuno ascoltare e fare un certo spazio alle proposte che vengono da interpreti a loro volta e a loro modo bene informati a proposito del mistero su cui ci si sta interrogando.
Lo stato originario e soprattutto costituzionale dell’uomo è forse meglio noto agli studiosi odierni che ai filosofi o teologi antichi; sentire gli uni e rigettare e non ascoltare gli altri non è forse la scelta più ragionevole che si possa compiere.
2. Le donne
La compagna, la confidente, l’amica dell’uomo non trova la sua giusta collocazione nel libro sacro, quindi neanche nel nuovo Catechismo. Non ci si poteva certo aspettare, data l’abituale, tradizionale "ritrosia" della chiesa verso di lei, un panegirico, ma una parola di più sul suo ruolo si poteva pure attendere (nn. 369-373). Per se stessa cioè in quanto individuo capace di diritti e di onori non è presa neppure in considerazione; compare solo a fianco, quindi in funzione dell’uomo (n. 369). E in tal senso si parlerà anche in seguito: nn. 1601-1666 (matrimonio - famiglia); 2331-2400 (sesto comandamento); 2514-2533 (nono camandamento).
Era un’occasione per ricuperare tanta storia perduta, tante dimenticanze, si può aggiungere colpe, accumulate nel corso dei secoli, ma non è stata compresa, né utilizzata. Sono stti impiegati 10-12 numeri del testo per parlare dell’uomo in genere più o meno inutili poiché ribadiscono cose più che note mentre non ne è stato dedicato uno per presentare adeguatamente e modernamente la figura, la persona, il posto della donna. Ci si è accontentati di ricordare la usa "eguaglianza" con l’uomo, la "insopprimibile" "identità", "dignità", di entrambi (n. 369). Parole giuste, ma potevano avere anche qualche esplicitazione.
L’espressione "identità", "dignità" è intesa più di fronte a Dio di cui sono entrambi immagini che sul piano delle loro reciproche relòazioni. Forse per tale motivo è evitato l’aggettivo "pari" e l’espressione "pari dignità". La "parità" aveva un risvolto socioantropologico concreto, sociale, mentre l’identità sposta l’attenzione su un ambito filosogfico-teologico. Infatti poco dopo è detto "nel loro essere uomo" ed "essere donna" riflettono entrambi la sapienza e la bontà del creatore (n. 369). È chiaramente un discorso astratto, accademico. Forse poco felicemente è ribadita l’affermazione dell’autore di Gn 2, 19-20 che Adamo non trovava nessun essere che gli potesse atare a fianco tra gli animali del giardino quasi che fosse pressapoco uno di loro (n. 371). Il jahvista (l’autore di Gn 3, 3) sembra ritenere la donna inferiore all’uomo; non solo compare "successivamente" ma dà l’impressione che esista per colmare il vuoto di Adamo. Lui è soddisfatto nel vederla, am di lei non è detto nulla; l’importante è che sia contento lui. Anche la colpa è rigettata sulle spalle di Eva e sarà il motiovo del suo assoggettamento all’uomo. "Egli ti dominerà" è fatto dire allo stesso Dio (Gn 3, 16). Evidentemente si tratta della spiegazione o giustificazione teologica, del tutto abberrante, di una situazione di fatto. Un avallo che si è protratto per tutti i secoli anche nell’era cristiana.
Il nuovo Catechismo che è stato preparato e redatto nel periodo del femminismo e delle relative lotte per i diritti della donna anche all’interno della chiesa poteva spendere uan parola di più sull’argomento. Forse non è rimasto sulla linea ebraico-biblica, certamente non si è preoccupato di passare su quella moderna. Anche se parla di "dignità insopprimibile" non si schiera per i "diritti insopprimibili" o di pari competenza nella gestione della comunità familiare, civile e soprattutto ecclesiale.
Le società hanno raggiunto dei livelli esistenziali che il Catechismo cerca solo di ostacolare invece di capire. È vero che tutto ciò che è detto dell’uomo in genere (n. 355) vale anche per la donna ma non c’è un discorso specifico per il sesso femminile che si poteva, si doveva attendere da un Catechismo che pensa di essere nuovo o è almeno composto in vista del III millennio.
La donna non è né prima né dopo l’uomo; è innanzitutta una creatura a sé stante, come lo è l’uomo, prima di essere chiamato a convivere e a collaborare con la donna. Questo primitivo stadio, questa congenita indipendenza la Bibbia non l’ha colta, né richiamata perché ha visto i due esseri nel momento della loro correalizzazione, secondo lo schema (subalterno) del momento in cui l’autore scriveva.
Il Catechismo parla as lungo degli angeli, creature del tutto sconosciute (nn. 328-336) e non ha ricordato adeguatamente l’angelo visibile, reale della casa, della famiglia e un giorno forse della chiesa. Avrebbe potuto cancellare gli afronti, le umiliazioni in cui i maschi, complici gli stessi uomini di chiesa, l’hanno lasciata vivere ma ha perso l’occasione di farlo.
3. La coppia
L’uomo e la donna si realizzano individualmente, ma non individualisticamente poiché il loro equilibrio psicosomatico è subordinato a un loro reciproco rapporto e a una reciproca collaborazione.
La donna è stata creata contemporaneamente all’uomo (cfr. Gn 1, 26-28) ma immaginariamente è tratta da lui, da una parte essenziale del suo corpo per sottolineare la sua identità e soprattutto la complementarietà con lui. La versione femminile infatti dell’uomo ( ’ish) è la donna (’ishah). L’idea divina nel creare la donna è realizzare un essere "simile" all’uomo (2, 18). L’aggettivo sottintende un avvicinamento nell’essere oltre che nell’agire.
Il quadro del paradiso è essenzialmente dominato dall’uomo, ciò nonostante la donna vi compare con una sua missione.
L’uomo e la donna da soli sono due esseri incompleti incapaci di raggiungere un’adeguata maturazione e perfezione. Per realizzarsi l’uno ha bisogno dell’altro. È il mistero della coppia che quando entra in una fase di stabilità e di maggiore intesa diventa matrimonio. Una situazione matrimoniale e istituzionale che il Catechismo affronta in entrambi gli aspetti (nn. 369-373; 1601-1666).
La coppia indica che la piena realizzazione dell’uomo e della donna, quindi l’esistenza e la resistenza di entrambi dipende dall’interrelazione e interazione che l’uno ha con l’altro. Sono le qualità psicosomatiche, spirituali e morali, la forza con la tenerezza, la potenza e la grazia, la durezza e il fascino ad assommarsi perché sia garantita la sussistenza di entrambi.
La donna prima di essere una madre è per sua natura una sposa. Ella è l’aiuto necessario posto a fianco dell’uomo e l’uomo è tale per lei. Pensare che l’uno o l’altra possa realizzarsi o conservare la propria sicurezza al di fuori del modulo o binomio creaturale è una scelta, una soluzione in partenza falsa perché contraria all’ordine voluto da Dio.
L’uomo e la donna si sono formati staccandosi l’uno dall’altro ma possono esistere solo nel tentativo di ricomporre l’unità originaria. "non è buona cosa che l’uomo sia solo" ribadisce appunto l’autore sacro (Gn 2, 18). Tutto ciò che Dio ha creato "è molto buono" (Gn 1, 31), solo la solitudine dell’uomo non è tale. "Non è cosa buona", cioè non è giusta, normale, non risponde al disegno primitivo, non favorisce la crescita, la tranquillità, la serena realizzazione, al felicità dei due componenti della famiglia umana. Non piace a Dio perché non rende l’esistenza più conforme al suo beneplacito, né soprattutto avvicina ai propri simili. Scava piuttosto un fossato con loro invece di colmare quello già esistente.
Le scelte esistenziali che fomentano la solitudine sono un attentato al disegno, al volere divino. Sono un errore teologico che non mancherà di provocare orrori psicologici.
Conclusione
La teologia della coppia è appena accennata nel testo catechistico, non messa bene a fuoco, quasi un po’ meno di quanto faccia il lontano autore di Gn 2, 18-23.
Ortensio da Spinetoli