Le guerre uccidono i bambini

Qualche tempo fa feci un sogno, meglio un incubo, mi svegliai infatti con un sussulto e con una angoscia che raramente avevo provato precedentemente. Una scena sola ma tagliente: percorrevo con la mia utilitaria una strada in salita lastricata di corpi di bambini che evidentemente venivano schiacciati ed uccisi dalle ruote sia pur piccole della mia auto. Ne parlai col mio amico psicanalista col quale spesso dialogo per ridare un posto adeguato alle mie idee quando si rimescolano e mi lasciano in confusione, come capita a volte in momenti drammatici della vita.

La spiegazione del sogno era immediatamente chiara per l’amico ed è strano che chi è immerso improvvisamente in pensieri turbolenti - come chi è gettato in alto mare quando non sa nuotare – a volte non riesca a coglierne il significato, come accade invece ad una persona non direttamente coinvolta. Il sogno mi diceva – così suggerì l’amico – come alcune aspetti interni ed esterni della mia persona stessero soffocando altre forze, altrettanto mie, più giovani, più genuine, non ancora cresciute completamente o mai messe in luce e la cosa mi impoveriva particolarmente. Erano parti mie quindi che nel sogno mi segnalavano l’infanticidio esercitato su qualcosa di profondamente mio, che, per educazione, storia, cultura era rimasto schiacciato. E non a caso viaggiavo su un’utilitaria piccola - di fatto ho sempre avuto una vettura media – infatti, non esprimendo le parti interne più profonde e genuine, non potevo che realizzare una personalità piccola, tanto quanto basta per non essere completamente spento.

Ricordi letterari mi fecero tornare alla mente un brano tanto deriso dalla critica letteraria classicheggiante, ma rivalutato ora dalla critica simbolista, Il Fanciullino di Pascoli, nel quale il poeta afferma che il giovane, diventando adulto, ritiene quasi necessario reprimere quanto di infantile e fanciullesco c’è nel suo animo, quasi questi aspetti appaiano debolezza, inettitudine, ingenuità, inadeguatezza per le lotte per la vita. Solo nell’età avanzata, quando il bellicismo adulto viene ridimensionato, si riprendono i valori della fanciullezza e li si integra con quelli adulti.

Allargando lo sguardo dai problemi personali a quelli dei rapporti internazionali, abbiamo ascoltato nei giorni scorsi, fine luglio inizio agosto, nella guerra che infiamma il Medio Oriente, della quale abbiamo parlato spesse volte, un triste grido di morte. “Libano, strage di bambini” era il titolo di prima pagina che, con piccole variazioni, veniva ripetuto dai quotidiani e dai mezzi di informazione. “A Cana 60 vittime, di cui 37 bambini”. Gerusalemme si giustifica dicendo che Hezbollah si mimetizza tra la popolazione usandola come scudo e quindi mettendola a rischio di vita. C. Rice chiede una tregua, ma inutilmente. Richiesta sincera o puramente tattica? Nei giorni successivi l’Unicef segnala che il numero dei bambini morti supera i 200 sul fronte libanese e 37 a Gaza. Nonostante il lavorio apparentemente sincero della diplomazia internazionale, l’escalation di Israele nel colpire via terra e via aria il sud del Libano continua in un crescendo di disumanità – anche i corridoi umanitari sono impediti – e non si intravede la conclusione di questo nuovo round di guerra, dal momento che Israele vuol portare il suo confine col Libano sino al fiume Litani per crearsi un margine di sicurezza dal terrorismo. I media dei giorni scorsi precisavano le cifre dell’obiettivo di Israele: 1 fiume, il Litani, nuova frontiera a nord di Israele; 30 km di territorio libanese da occupare militarmente; 30 giorni il tempo che Israele si è dato; 500 morti i soldati che Israele è disposto a sacrificare; 700 morti civili, libanesi, palestinesi e israeliani, prevedibili.

Tra i commenti significativi ed incisivi quello di Bernardo Valli il giorno successivo la strage (la Repubblica, 1° agosto ’06). Egli già nel titolo si domanda chi è colpevole del sangue degli innocenti e risponde che il sangue di Cana è schizzato in faccia a tutti. “E’sangue di innocenti e non sarà facile cancellarlo. Domenica mattina è traboccato dai teleschermi su cui da diciannove giorni si inseguivano le immagini dell’Europa in vacanza e quelle del Libano sotto le bombe e degli israeliani nei rifugi di Galilea… Cana è un nome maledetto : dieci anni fa, nell’aprile del 1996, un’incursione di rappresaglia israeliana, promossa in seguito ad azioni di hezbollah, fece cento morti”. Continua Valli affermando che le macchie di sangue non risparmiano nessuno, né gli hezbollah che si mimetizzano tra i civili mettendoli a rischio; né Israele che disponendo di una forza militare potente e sofisticata non dovrebbe compiere tali errori e, come stato democratico, ha responsabilità particolari alle quali non può venire meno, per cui l’ ”errore collaterale di Cana” assomiglia tanto ad una rappresaglia collettiva e indiscriminata; né gli spettatori “potenti”, in prima linea gli Stati Uniti, che di macchie di sangue ne hanno ricevuto una buona dose e che, in quanto unica superpotenza che può pesare in modo determinante sul governo israeliano, non si comporta in tal senso.

Dacia Maraini sul Corriere della Sera sulla stessa strage afferma che non si può stare zitti, altrimenti si diventa complici. “Bisogna dire basta, quei morticini che passano sotto la telecamera sono osceni, di quella oscenità che solo la guerra sa far mostra in modo tanto plateale e ineluttabile… Possibile che l’intelligence israeliana così efficiente, così precisa, non abbia sospettato che oltre ai terroristi in quella casa ci fossero famigliole con bambini piccoli in grande numero? Anche se non capisco perché non si sono viste le madri. Dove sono le madri? Morte anche loro? O si trattava di una scuola o di un doposcuola?… Nessuno, credo, salvo gli estremisti arabi, vuol togliere ad Israele il suo diritto ad esistere e a difendersi. Ma difendersi come? Con la forza bruta e cieca? Non sanno che lo sterminio dei bambini provocherà diffusissimi sentimenti di vendetta che si ritorceranno contro di loro per anni. Non sanno gli Israeliani che la visione di quegli eccidi avrà effetti devastanti, molto superiori alle dimostrazioni di forza che stanno compiendo? …Se le guerre si fanno, oltre che con le armi, con le emozioni, la loro è una guerra persa.”

Infine, tra altre tante possibili citazioni, è particolarmente interessante l’appello di alcuni intellettuali noti a livello mondiale che ha come titolo “Fermare le atrocità di Israele”. Si dice, tra l’altro, che l’attacco israeliano sul Libano, sostenuto dagli Usa, ha lasciato il paese tramortito, incenerito ed arrabbiato. Il massacro di Cana e le vite perse non sono semplicemente sproporzionati. Si tratta, secondo le leggi internazionali di un crimine di guerra, per il quale purtroppo non esiste un tribunale internazionale. Il progetto è di distruzione delle infrastrutture sociali e di ogni struttura per ridurre il paese allo status di un protettorato israeliano-statunitense. Questo tentativo si è però ritorto contro, infatti nel Libano stesso e nel resto del mondo il dissenso ad Israele si è alzato enormemente, raggiungendo anche il livello di ¾ della popolazione. Dopo brevi ma efficaci analisi e confronti tra occupazione libanese, palestinese e irachena, l’appello termina offrendo la solidarietà dei firmatari alla causa di chi è eliminato ingiustificatamente e affermando che “per quanto ci riguarda, useremo tutti i mezzi a nostra disposizione per smascherare la complicità dei nostri governi in questi crimini. Non ci sarà pace in Medio Oriente finché le occupazioni di Palestina e Iraq e le bombe ‘temporaneamente’ sospese sul Libano continueranno”. Seguono le firme: Tariq Ali, Noam Chomsky, Eduardo Galeano, Howard Zinn, Ken Loach, John Berger, Arundaty Roy (il manifesto, 3 agosto ’06). Facciamo nostro l’appello.

E’ notizia del 13 agosto che sia stata accettata la risoluzione dell’Onu per un cessate il fuoco sia da Beirut, che dagli hezbollah ed Israele annuncia che fermerà l’offensiva in Libano alle 7 di lunedì. Indubbiamente uno spiraglio di speranza. Tuttavia dal 1948 siamo abituati alle risoluzioni dell’Onu, alle promesse di Israele di osservarle ed allo stesso tempo all’inosservanza di fatto. Sono decine e decine le risoluzioni Onu ignorate da Israele ed i territori palestinesi sono ora ridotti ad un quinto di quanto era stato convenuto nel 48. Tuttavia, a volte nella storia avvengono mutazioni forti e le sorti dell’umanità hanno un cammino, sia pure parziale, migliore. Speriamo che questo sia uno di quei pochi momenti felici.

(15 agosto 2006)

Mario Arnoldi