Fermiamo la follia di Olmert

Tre ordini di conflitti, come cerchi concentrici, oggi dilacerano il Medio Oriente.

Il primo oppone lo stato di Israele agli abitanti della Palestina. Questi infatti nel corso di un secolo e mezzo si sono visti progressivamente espropriati della terra che abitavano da secoli ed avevano dissodato, ritenendola di loro proprietà. Dirò solo di alcune tappe dell’espropriazione. Dapprima le immigrazioni degli ebrei perseguitati provenienti dall’Europa orientale, nella seconda metà dell’Ottocento sotto l’Impero Ottomano e nella prima metà del Novecento sotto il protettorato della Gran Bretagna, poi l’aumento massiccio dell’immigrazione ebraica a causa della shoah; quindi la spartizione della Palestina ad opera dell’Onu, finita la seconda guerra mondiale, in due parti apparentemente uguali, di fatto disuguali (56,4% del territorio agli ebrei, con 498.000 ebrei e 497.000 palestinesi; 42,8% del territorio ai palestinesi con 725.000 palestinesi e 10.000 ebrei), la successiva proclamazione unilaterale dello stato di Israele in seguito alla non accettazione dei palestinesi della divisione operata, quindi le dilaceranti guerre tra Israele, i palestinesi e gli stati arabi lasciarono ai palestinesi l’80 % del territorio originario. Questa situazione attuale non è certo fonte di acquiescenza da parte dei palestinesi.

Il secondo ordine di conflitti è tra lo stato di Israele ed i popoli arabi, che a corona circondano la Palestina, soprattutto il Libano, la Siria, la Giordania e l’Egitto, e che allo stesso modo dei palestinesi hanno risentito delle immigrazioni degli ebrei sionisti e ospitano, non senza gravi difficoltà e contraccolpi, i profughi palestinesi via via cacciati dalla loro terra per l’azione non solo praticata di fatto, ma teorizzata dal sionismo, della Grande Israele.

Il terzo ordine di conflitti avviene tra le grandi potenze, non indifferenti, come un tempo le potenze coloniali, alle ricchezze petrolifere e di acque della regione, che con occhio vigile osservano l’evolversi dei dolorosi avvenimenti bellici e non hanno interesse ad interporsi per ostacolare gli eccidi, poiché sono più interessate alle alleanze diplomatiche tendenti alla spartizione delle ricchezze locali. Da un lato gli Usa hanno interesse che Israele tenga testa ai paesi arabi, proprietari dei territori petroliferi, e poco o nulla sono sensibili alle morti dei civili nei conflitti in atto. D’altro lato, pur non essendo grandi potenze quali gli Usa, nazioni come la Russia di Putin, la Cina, l’India ed altre della regione centro orientale e dell’estremo Oriente sono ugualmente attente a quanto avviene nella regione mediorientale e più che essere interessate allo sviluppo della zona o al bene delle popolazioni, coltivano alleanze fluide, ora con l’una ora con l’altra nazione, per poter spartirsi il bottino delle fonti energetiche.

L’immigrazione sionista ebraica sta quindi a monte di ogni frizione e guerra nella zona ed è pretestuoso e risibile dire oggi che il Libano o altra nazione abbia attaccato per prima. E’chiaro chi sia stato il primo aggressore secondo l’analisi dei documenti storici. Sarebbe interessante verificare come i primi conquistatori sionisti – Moses Montefiore e poi i Rothschild - abbiano acquistato in modo fraudolento a metà dell’Ottocento dai latifondisti assenti della periferia dell’Impero Ottomano le terre sempre ritenute dell’Impero stesso e quindi di proprietà dei palestinesi che le avevano coltivate.

Ricordo che a monte delle mie riflessioni c’è la distinzione tra popolo ebraico, sparso in ogni parte del mondo, che mai vorrebbe immigrare in Israele, ed ebrei sionisti, che, sulla scia di Hertz, scelsero la Palestina, tra altri territori possibili, per ricostruire la grande potenza di Israele.

Questo è il quadro in cui si muove l’attuale conflitto, non il primo, tra Israele e Libano. Nel sud del Libano sono ospitati i profughi palestinesi che non hanno mai visto altro che invasori, non hanno sperimentato altro che emigrazione, vita nei campi profughi, armi sui diversi fronti, quello israeliano e quello libanese a scopo di protezione, ecc. Sono i profughi “resistenti” per la riconquista della loro terra depredata, che a volte, non sempre, sono passati a forme di terrorismo; portano il nome di “hezbollah”, espressione etimologicamente pacifista, divenuta segno di violenza perché ritengono inefficaci le forme di lotta di resistenza. Sbagliano nell’uso della forza e della violenza, ma non hanno mai conosciuto altro da parte di Israele, paese che, definendosi democratico, secondo la democrazia formale occidentale, dovrebbe riconoscere il diritto all’esistenza del popolo e dello stato palestinese, così come egli stesso ha riconosciuto e realizzato il proprio stato.

Le grandi potenze assistono e non prendono posizione. Da parte degli Usa si è detto che è bene che si combatta ancora per un po’, per poi arrivare a degli accordi più equi. “Il cessate il fuoco può attendere” è la loro posizione. L’Onu, che dovrebbe presiedere alla composizione politica dei conflitti nel mondo, è paralizzata dai veti incrociati delle cinque nazione che costituiscono il Consiglio di Sicurezza. L’Unione europea tenta, attraverso la Francia e l’Italia una mediazione, ma la sua forza è pressoché nulla di fronte alle grandi nazioni. D’Alema, nel suo discorso in Parlamento, sotto la sollecitazione della sinistra più radicale, è riuscito a dire solamente che la reazione di Israele è stata sproporzionata all’attacco del sud del Libano. Anche la Russia vigila senza prendere posizioni aperte, perché attenta all’evoluzione della violenza di parte dell’Islam, presente sia in Libano che in Siria ed in Iran, che si infiltra nella resistenza La situazione diplomatica è paralizzata, ma non sono paralizzate le azioni di guerra, che superano ogni immaginazione. Non solo militari, ma anche civili, donne e bambini soprattutto, sono le vittime di una violenza che nasce dal desiderio di possesso di un territorio fertile e ricco.

Non mi soffermo sulla cronaca, perché i media hanno informato abbastanza sugli avvenimenti più gravi. Dirò solo della cronaca di oggi, decimo giorno di guerra: cannonate dell’esercito israeliano sul quartier generale dell’Inifil in Libano e su una postazione di caschi blu piena di civili in fuga; battaglia al confine con gli hezbollah; raid nel centro di Beirut, colpiti i quartieri cristiani; ancora 60 vittime, 700mila in fuga; i tank attaccano i campi profughi di Gaza e Nablus, è strage di civili.

Interessante è la riflessione di T. Di Francesco in un suo articolo dal titolo “Medio Oriente, un uso sproporzionato della menzogna”. “Non se ne può più dell’uso sproporzionato della menzogna. Adesso tutti cadono dalle nuvole e Bush ha la faccia tosta di dire del G8 che ‘tutto andava bene, eravamo applicati alla pace, studiavamo la road map…’, ripetendo l’intercalare di bugie che ci vengono propugnate sul conflitto israelo palestinese, a cominciare dalla tempistica, che mette dopo quel che invece è accaduto prima: parliamo del terrorismo di stato, che dall’alto degli aerei F-16 bombarda spiagge e case civili nel centro di Gaza City uccidendo decine di bambini e alla fine, dopo, l’attacco hezbollah sulla frontiera libanese. Una escalation chiama l’altra e non viceversa….”. “E quando riaffermiamo la convinzione nei due popoli due stati, sappiamo o no che uno stato esiste ed è forte e internazionalmente riconosciuto, l’altro, quello palestinese, non c’è, ed è appeso ad un mucchio di pezzi di carta?” (il manifesto, 19 e 20 luglio 2006)

Theodor Hertz, iniziatore del sionismo politico, affermava ne Lo Stato Ebraico, 1896 Vienna, 1918 Italia: “Per l’Europa, noi costruiremo laggiù un avamposto contro l’Asia …Noi saremo l’avanguardia della civilizzazione contro le barbarie”. La frase richiede qualche aggiustamento dovuto alla situazione internazionale attuale, e, mutatis mutandis, rivela le grandi menzogne che si aggirano attorno a questo grave conflitto, come attorno al modo con cui ci vengono presentati tutti i conflitti del mondo”.

Ma c’è il primo refusnik, è il sergente Ytzik Shabbat che, intervistato da il manifesto, dichiara: “Fermiamo la follia di Olmert”. Riporto qualche battuta dell’intervista di Shabbat, 28 anni, che rifiuta l’ordine Otto, quello che mobilita i riservisti. Ha detto tra l’altro: “Stiamo seguendo il vecchio progetto di Ariel Sharon , che nell’82 invase il Libano con l’obiettivo di interferire negli affari interni libanesi. Stavolta vogliono che l’esercito libanese rimpiazzi Hezbollah al sud, che Hezbollah accetti il disarmo. Ma la maggior parte dei soldati libanesi sono sciiti, non potranno che solidarizzare con Hezbollah… Non avremo mai indietro i nostri soldati attaccando il Libano, ma soltanto negoziando con gli Hezbollah.” Uno spunto di speranza, o di ottimismo della volontà, tra tanto pessimismo della ragione.

(1 agosto 2006)

Mario Arnoldi