Giorgio Napolitano presidente della Repubblica


Benvenuto Presidente

I titoli dei massmedia sull’avvenimento sicuramente nuovo per l’Italia dell’elezione di Giorgio Napolitano a Presidente sono stati diversi. Quelli stranieri hanno messo in risalto soprattutto il suo esser stato comunista. “Un ex comunista al Colle”. I titoli italiani di centrodestra hanno ripetuto per lo più lo stesso concetto, ma come un fatto tragico di cui rammaricarsi. Ed aggiungevano espressioni di disprezzo, a volte volgari, come Libero di Vittorio Feltri che titolava: “Comunismo coi pannoloni”. E nel sottotitolo: “Napolitano rappresenta un’ideologia vecchia e fallimentare, ma mai rottamata. Bene ha fatto il centrodestra a non associarsi”.

I quotidiani di centrosinistra hanno evidenziato il positivo di quest’elezione, sottolineando soprattutto la legittimazione di una tradizione – PCI, PDS, DS -, che, liberatasi della sudditanza novecentesca dall’URSS, aveva messo in primo piano la sua ispirazione più vera di impegno in favore delle fasce sociali più deboli e di lotta antifascista.

“La fine del fattore K”, titolava Filippo Ceccarelli su la Repubblica di giovedì 11.05, giorno successivo all’elezione. E sullo stesso quotidiano Ezio Mauro, nell’editoriale “Il secolo nuovo della sinistra” elencava gli aspetti positivi dell’elezione: nell’omaggio a Giorgio Napoletano c’è prima di tutto la consapevolezza di aver… scelto un uomo adatto, “super partes”…; poi c’è la coscienza di aver compiuto il destino della sinistra, per troppi anni monco per l’anomalia comunista e la sua legittimazione parziale; ancora c’è la presa d’atto che il centrosinistra ha non solo una maggioranza autonoma, ma la capacità di esprimere una politica per le istituzioni, con gli uomini giusti, ecc…; e concludeva l’articolo affermando che, con ritardo, l’elezione di Napoletano chiude il Novecento politico italiano, una storia che non sapeva chiudersi. L’applauso a un Presidente che viene dalla storia del PCI significa che anche la politica è entrata nel secolo nuovo e la sinistra finalmente attende ora l’inizio di una nuova storia.

Apprezzabile anche la stima espressa da Pietro Ingrao, in un’intervista rilasciata a La Stampa, sempre lo stesso giorno, verso il compagno di lotte dure di mezzo secolo, pur da sponde interne diverse dello stesso PCI, Ingrao da sinistra, Napoletano da destra. “Mi fa molto piacere, dice Ingrao, che Napolitano sia stato eletto, e non solo per le vicende che ho vissuto con lui in un’intera vita, ma anche per la stima che nutro per Giorgio. Lo ritengo una figura forte: sì ecco esattamente questo è l’aggettivo, forte, per fare il Presidente della Repubblica. Eppoi, diciamolo, che un uomo con la sua storia, passato attraverso quelle grandi e gravi lotte della sinistra italiana, salga a quel soglio è una novità politica che non può essere oscurata.”


Voglio ridare serenità e riforme all’Italia.

Al Presidente spetta l’incarico di essere garante della Costituzione, sia con alcuni atti delimitati ma precisi, quale il rimandare alle Camere le leggi ritenute incostituzionali, sia con la persuasione morale, affinché lo spirito e la lettera del testo (il bene comune e non l’interesse di pochi) possa essere interpretato correttamente e possa generare attività di governo sempre più adeguate ai tempi nuovi. Alcune frasi del neo Presidente, che, non avendo ancora fatto il giuramento e il discorso d’insediamento, hanno valore privato, fanno pensare ad una finalizzazione del suo lavoro nella direzione auspicata del bene comune. “Cercherò di contribuire ad una maggior serenità nella vita del paese”, dice brevemente recandosi al Senato appena dopo l’elezione.

In un colloquio informale con il Corriere della Sera, ad una domanda dell’intervistatore, ha precisato che sulle riforme (il 25 giugno si vota il referendum sulla nuova Costituzione varata dal centrodestra) eserciterà la “sola moral suasion”. Tuttavia vede con favore l’apertura tra i poli di una vera “fase nuova”. “ E’ difficile dire ora tempi e modi, ha affermato, ma comunque vadano le cose chiudersi in una reazione conservatrice sulle riforme costituzionali sarebbe un errore”. Avendo analizzato a lungo gli atti dell’Assemblea Costituente, ricorda: “I costituenti videro tutti i problemi ma non potevano dare soluzioni adeguate a tutto, a cominciare dalla stabilità del governo”. Dunque, “avanti con gradualità e con i piedi per terra”, com’è nel suo stile. E non manca un’indicazione dei punti dolenti per le istituzioni, che a suo giudizio sono già ben individuati in un recente libro di Leopoldo Elia: aumentare i poteri del primo ministro, rivedere il sistema bicamerale, riformare le competenze stato-regione (il farraginoso titolo V approvato a maggioranza dal centrosinistra nel 2001) e rafforzare le garanzie dell’opposizione”. Se non è un programma riformatore poco ci manca. (riportato da il manifesto, 12. 05).

In molti inoltre hanno sottolineato il suo “spirito europeista”, non solo teorico, ma esercitato praticamente sia nel passato sia più recentemente sedendo al Parlamento europeo, segno di una sensibilità alla soluzione dei problemi reali pensando non solo al proprio piccolo orto, ma ad un quadro ampio dell’Europa e del mondo quale attualmente si impone.

E’ già emerso il suo “spirito laico”, espresso nel dialogo immediatamente successivo all’elezione, con papa Benedetto XVI, il quale gli ha augurato “Dio benedica lei e l’Italia, ma attenzione ai valori cristiani dell’Europa”. Il papa inoltre ha indicato alcuni nodi aperti oggi tra Stato e Chiesa e la distinzione dell’ ”amore forte” della famiglia dall’ “amore debole” delle unioni di fatto sia omo che eterosessuali. La risposta del neo Presidente è stata sobria ma significativa. “Traggo dal suo richiamo ai valori umani e cristiani del popolo italiano motivo di incoraggiamento nell’impegno che mi accingo ad assumere”. Parole cortesi, dietro le quali sembra celarsi il saldo principio: ognuno al suo posto.


Presidente facci sognare

Concludo con qualche richiesta più radicale rispetto alla “serenità e riforme” di cui ho parlato. Certamente entro nel campo dei “postulati” e non in quello delle realtà immediatamente possibili. Tuttavia è bene avere fini alti per non impantanarsi nella grettezza del quotidiano.

Gabriele Polo titola l’editoriale de il manifesto del 12.05 con l’espressione che ho posto a capo di quest’ultima riflessione ed ipotizza che si azzeri il calcio professionale, tanto corrotto, sostituendolo con il calcio vero dei campetti di periferia, su terreni magari fatti di cunette e dossi, ma dove domina il vero spirito, pur nella giusta conflittualità, del gioco. Sembra una boutade, ma, come dice Polo stesso, il calcio è la metafora della corruzione che va sempre più estendendosi ed è il segno del fatto che l’Italia, come tanti altri Paesi, abbia interpretato il nuovo corso liberista basato sul mercato allargato e mondiale come una possibilità allargata e mondiale di impoverire maggiormente i poveri ed arricchire i già ricchi.

Altro fatto interessante è la lettera scritta ed inviata al neo Presidente dai rappresentati dei migranti residenti in Italia, nella quale, dopo avergli espresso le felicitazioni per l’elezione ed avergli ricordato di esser stato, insieme con Livia Turco, l’autore della legge sull’immigrazione che ha dato vita al CPT (centri di permanenza temporanea), successivamente criticata dallo stesso centrosinistra, invocano l’attuazione più vera dei principi fondamentali della Costituzione, in particolare ove, all’articolo 4, enuncia: “La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove condizioni che rendano effettivo questo diritto…”. Oltre i cittadini anche gli immigrati svolgono ogni giorno il proprio dovere… Ed io aggiungo al Presidente il ricordo dell’incipit della Costituzione stessa che afferma che l’Italia è una Repubblica basata sul lavoro, un lavoro che sia veramente tale e non una semplice ragnatela di spezzoni di lavori sempre interrotti …

Per ultimo, riprendendo il colloquio riportato da La Stampa, ricordo la conclusione di Pietro Ingrao che, se potesse farlo, dice, esorterebbe il neo Presidente all’attuazione dell’articolo 11 della Costituzione che bandisce la guerra dalle relazioni internazionali dell’Italia.

(15 maggio 2006)

Mario Arnoldi