25 aprile e 1° maggio 2006
Dalle liberazioni operate e mancate al diritto al lavoro
Le manifestazioni del 25 aprile, per la Liberazione dal giogo fascista e nazista, hanno visto affluire gente in tante piazze d’Italia con una vivacità maggiore degli anni scorsi. Segno forse di speranze nuove per il futuro? Alcuni gesti condannabili e condannati da autorità e popolo, come il rogo delle due bandiere israeliane e la contestazione a Letizia Moratti, nonostante accompagnasse il padre che fu “deportato”, sono segni di un estremismo politico ed umano sterile, controproducente e di fatto marginale. Apprezzabile la presenza del Presidente Ciampi che il 25 indicò la Costituzione italiana, nata dalla lotta di Liberazione, come la “Bibbia civile”, ed il giorno successivo, nel commiato al Consiglio Superiore della Magistratura, esprimeva il suo rammarico per la giustizia lenta ed esortava al rispetto dei giudici che si possono criticare ma non delegittimare. Alcuni giorni prima del 25 aprile ho ascoltato in conferenza ad Alessandria, come per altro avvenne in molte altre città, Giuliana Sgrena che presentava il suo libro Fuoco Amico, Ed. Feltrinelli 2005, terza edizione 2006, e raccontava della tremenda esperienza del sequestro e della prigionia, che abbiamo seguito in qualche modo tutti, chi con trepidazione, chi con perplessità, chi con parole a dir poco volgari. Come dice la Sgrena nell’introduzione al libro, ed ha ripetuto quella sera alla conferenza, all’incubo di quattro settimane di prigionia ad opera di mujaheddin che sostengono di combattere contro l’occupazione dell’Iraq, è succeduta la gioia per la liberazione violentemente interrotta dal fuoco delle truppe americane che uccide Nicola Calipari, l’agente che l’aveva salvata dai rapitori. Due volte vittima quindi del “fuoco amico”. I ricordi del rapimento, le sensazioni quotidiane vissute in una stanza chiusa al buio, gli incubi del sequestro si intrecciano con i temi della realtà irachena (guerra, sequestri, profughi, resistenza, terrorismo, religione, la condizione delle donne, il progressivo processo di libanizzazione del paese, ecc.) e con i richiami al passato regime, a Saddam, all’embargo e alla vicenda delle mai rinvenute armi di distruzione di massa. Una realtà insidiosa che pone, tra i tanti altri, il problema di come fare informazione su un terreno di guerra senza essere “embedded”, imbavagliati cioè dalle varie truppe di occupazione. Mentre ascoltavo la Sgrena, scorreva in me un ordine di pensieri paralleli alla sua tremenda esperienza personale, come un film, suggerito dalle sue parole e dalle notizie non certo consolanti che purtroppo ogni giorno ci giungono. Le vittime in Iraq sono in continuo aumento: i militari caduti della coalizione sono 2.386 degli Stati uniti, 104 della Gran Bretagna, 105 di altre nazioni; le vittime irachene sono circa 5.000 militari, e circa 35.000 civili (fonte Reuters). Inoltre, accanto alle promesse di alcuni settori Usa di un imminente ritiro dall’Iraq, il governo Bush ha chiesto un finanziamento di 1,1 miliardi di dollari per le nuove costruzioni militari ed il ritiro di fatto dall’Iraq ora è impossibile, infatti i politici iracheni, mentre danno vita al loro nuovo governo, sembrano lieti di una presenza americana a lungo termine. Il conflitto tra le opposte fazioni religiose si è particolarmente inasprito negli ultimi mesi, quasi superando la guerriglia antiamericana, e molti iracheni sanno che nell’immediato futuro non vi è alternativa ai soldati americani. Fonti USA continuano a negare che l’America abbia intenzione di costruire basi militari permanenti, ma di fatto ne sono in costruzione una decina. Sotto la motivazione di prevenire la guerra civile tra le varie fazioni etniche, c’è la preoccupazione di proteggere i contratti del petrolio, oggi sempre più richiesto e quindi più prezioso. Occupazione e liberazione. Dialettica che entra in corto circuito e che non trova la via d’uscita della liberazione per i grandi interessi delle parti. In Italia ed in Europa la liberazione del 25 aprile ’45 avvenne grazie ad un lavoro di convergenza di forze diverse tese all’interesse comune e non a quello privato. La storia sembra non solo voler ripetere gli errori, ma tornare indietro allo stadio dei primitivi. Significativa in questo contesto la nuova apparizione di Osama Bib Laden di Al Qaeda e le sue dichiarazioni sulla Palestina, uno dei nuclei del conflitto Occidente-Islam. Egli afferma che il taglio dei soccorsi ad Hamas è il segno della volontà di distruggere l’Islam da parte dell’Occidente; inoltre aggiunge che Hamas non deve partecipare alla competizione elettorale del potere poiché questo viene solo da Dio. Nel Darfour, regione occidentale sudanese, continua Bin Laden, sono in corso una guerra occulta tra Ciad e Sudan, appoggiato quest’ultimo da Francia e Stati Uniti che hanno forti interessi energetici nella zona e parallelamente un secondo conflitto di respiro più ampio tra Cina e Russia per analoghi interessi petroliferi. E conclude con l’anatema contro gli Usa e gli Stati Europei che hanno solidarizzato con la Danimarca nella vicenda delle vignette blasfeme. (la Repubblica, 24.04) Queste alcune sequenze di un film che di giorno in giorno si va aggravando e rimanda la sperata liberazione, che non può nascere da guerre occidentali e dal terrorismo islamico, ma richiederebbe un lungo apprendistato alla prassi di pace da parte dei popoli interessati. Un giovanissimo ascoltatore ha chiesto alla Sgrena quanto può essere utile il pacifismo per cambiare il senso dello sviluppo storico, cogliendo così il nodo da cui effettivamente può ripartire una rifondazione pacifista della storia. La Sgrena ha sottolineato l’importanza del pacifismo, per ora ancora ai suoi primi passi. Quanto al ricordo e alla celebrazione del lavoro, a Genova si svolge in questi giorni la mostra “Tempo Moderno. Da Van Gogh a Warhol. Lavoro, macchine e automazione nelle Arti del Novecento”. I curatori hanno accolto l’occasione del centenario della Cgil per rilanciare il tema sul piano dell’immaginario – cent’anni di arti figurative, di cinema e di fotografia scorrono di fronte allo sguardo dell’osservatore - offrendo allo stesso tempo l’occasione di riflettere sulla situazione contemporanea del lavoro. Nell’epoca antica il lavoro si era presentato nella nostra cultura come un disvalore, un’attività servile, una maledizione dettata dal bisogno di procurarsi il necessario con il biblico “sudore della fronte”. Il lavoro ha avuto una valutazione positiva solo nella modernità,:dal Settecento esso diventa uno strumento d’emancipazione che dimostra come la nostra specie non abbia una natura immutabile, ma possa autosovvertirsi. Il lavoro si trasforma così gradualmente in fattore di autocreazione, di dignità dell’uomo, in soggetto ed oggetto di diritti, in misura di valore di tutte le cose, in categoria non solo economica e giuridica, ma anche morale. Il lavoro ha innescato da allora rivoluzioni e riforme, modificando la storia di tutti. La liberazione del lavoro non ha però coinciso con la liberazione dal lavoro. Come scrive Simone Weil ne La condizione operaia, il lavoro difficilmente può essere privo di elementi alienanti, perché la fabbrica “occorre ripetere movimento su movimento a una cadenza che, più rapida del pensiero, impedisce di dar corso non soltanto allea riflessione ma anche semplicemente alla fantasia. Questa situazione fa sì che il pensiero si raggomitoli, si ritragga come la carne si ritrae di fronte al bisturi. Non si può essere liberi”. Nell’ultimissima fase, il lavoro flessibile, ritenuto da alcuni necessario per lo sviluppo e la crescita dell’economia e quindi del benessere della popolazione, spinto a forme numerose, variegate ed estreme, è divenuto lavoro precario che produce ben altri effetti di quelli auspicati. La precarietà rischia di ricondurre l’ “uomo flessibile” ad una condizione psicologica di libertà limitata simile a quella dell’età preindustriale. L’assenza di sicurezza economica, di contro all’arricchimento di chi predica l’aumento della produttività, l’impossibilità di progettare un futuro, una famiglia, un avvenire per i figli fa di questa società una delle più barbare che la storia abbia conosciuto (Il Sole 24 ore, 16.04) Questi ed altri pensieri scorrevano nel film della mia mente pensando al 25 aprile ed al 1° maggio. Le parole di Giuliana Sgrena, dette con una voce flebile ma sicura, erano il segno dell’ ”elaborazione della paura” di un’esperienza che l’aveva messa a dura prova ed erano per noi che l’ascoltavamo la garanzia della possibilità di raggiungere in prospettiva brandelli di liberazione e di lavoro dignitosamente umano. (25 aprile - 1 maggio 2006) Mario Arnoldi |