La politica ed i cuori si riaprono alla speranza
Vittoria del centrosinistra per un’Italia democratica
Poche decine di migliaia di voti alla Camera e due senatori in più. Quanto basta per poter far dire a Prodi: governerò per cinque anni. Berlusconi da parte sua non ha ancora riconosciuto la sconfitta, propone la Grande Coalizione per poter avere ancora una parte nel governo dell’Italia, chiede ripetutamente la revisione di migliaia di voti sia degli italiani sia dei residenti all’estero, nonostante le istituzioni preposte abbiano affermato che la revisione già avvenuta non ha spostato l’esito delle votazioni anzi ha confermato la vittoria. Il presidente Ciampi precisa i termini di legge con cui avverranno le procedure istituzionali per formare il nuovo governo. Nonostante l’urgenza di evitare una lunga “vacatio”, un lungo vuoto di potere, il nuovo governo non potrà essere completato se non entro la fine del mese di maggio. Questa è la storia esterna che ci attende. Nei due giorni successivi i risultati del voto, i commenti dei media televisivi e dei quotidiani sono stati molti e variegati, e solo di alcuni potrò riferire. I giudizi più duri sull’Italia vengono da alcuni paesi d’Europa e soprattutto da una parte della Gran Bretagna. Il Financial Times ed il Times svolgono una dura critica non solo a Berlusconi ma a tutta la classe politica italiana, che non ha saputo gestire il paese in modo proficuo in questi due ultimi decenni. Un paese, anche se non ha una schiacciante maggioranza, ma ha un’economia che cammina bene, come è avvenuto per gli Stati Uniti, può essere governato adeguatamente. Ma così non è per l’Italia, perché l’intero sistema ha bisogno di essere aggiustato soprattutto per quanto riguarda la condizione finanziaria del paese, la sua competitività in declino e poi la nuova caduta della moralità pubblica e la minaccia della criminalità organizzata che è tornata alla ribalta con la notizia della cattura di Provenzano. Insomma la prospettiva di uno stallo a lungo termine è molto pericolosa per l’Italia, peggiore di quanto sia stata negli Stati Uniti nel 2000. Probabilmente Prodi riuscirà a formare il nuovo governo, ma ci vorrà molto tempo e sarà un governo molto fragile. Poco realistica la prospettiva, aggiunge il Financial T., di una grande coalizione a causa della polarizzazione molto forte dell’Italia. Fragile anche la possibilità di nuove elezioni. Anzi pericolosa, perché potrebbe portare ad un nuovo pareggio. Altri giudizi ancora più duri del Finacial T. sono che Prodi “l’utile idiota” e Berlusconi “l’ubriacone”, riprendendo alcuni termini usati durante la battaglia elettorale, hanno raggiunto la parità di insulti durante l’agone elettorale e adesso la coalizione di Prodi ha vinto con un margine talmente ridotto da far sì che il vero sconfitto di queste elezioni sia il paese, che è il terzo debitore al mondo, e rischia la paralisi politica con un debito pubblico del 109% del prodotto interno lordo, con la crescita zero del 2005, e così di seguito. Mi sembra che gli aspetti appena indicati siano veri, ma allo stesso tempo siano generalizzazioni erronee, quasi che tra Berlusconi e Prodi non ci fossero diversità di metodi e programmi e anche di comportamenti ed i due schieramenti avessero quindi le stesse responsabilità nella catastrofica situazione attuale dell’Italia. La stampa di altri paesi d’Europa riesce a fare questa distinzione ed anche i media italiani, tra i quali ora spigoleremo, a seconda della loro appartenenza, sanno dare una diversa valutazione delle parti avverse. Prendendo spunto da Gabriele Polo, mi riferisco ai quotidiani sino al 12 aprile, è opportuno sottolineare una carenza di metodo ed una di merito nel centro sinistra. La destra farà a sua volta le sue revisioni. Quanto al metodo è da segnalare il fatto della mancata rappresentanza dei problemi veri della nazione da parte dei leader politici del centrosinistra. La campagna elettorale è stata giocata in modo mediatico, la televisione ha avuto un ruolo maggiore di quel che si pensasse. Sembrava si fosse attenuato il suo influsso sulle persone, invece non è stato così. Chi ha avuto più dialettica ed aggressività nel discorso, Berlusconi evidentemente, ha saputo risalire la china della perdita di consensi in neppure un mese di preparazione al voto. Le organizzazioni - politiche, sociali, sindacali - non controllano più i gruppi che rappresentano e dei quali dovrebbero essere i portavoce. Non li rappresentano nei momenti significativi, come le elezioni, perché hanno perso i contatti con loro, ed i loro problemi veri, giorno per giorno, anno dopo anno. La base, a causa di questa frattura, percorre altre vie per esprimersi, che spesso non riescono a convergere in azione politica organizzata ed anzi diventano centrifughe e dispersive. La ripresa del dialogo tra base e rappresentanza dovrebbe iniziare dall’ascolto operativo dei problemi di massa. Un certo ruolo di cerniera tra base e rappresentanze politiche, sociali e sindacali lo hanno svolto i movimenti. La domanda tuttavia è, dice Pierluigi Sullo su Carta: se cinque anni fa la destra vinse le elezioni e questa volta è riuscita a tenere con sé metà dell’elettorato, i grandi movimenti di questi anni (per la pace e per i beni comuni, contro le grandi opere e contro il lavoro precario…) quanto hanno contato? Quanto hanno spostato il senso comune? Quanto hanno saputo offrire un’alternativa ai conflitti “orizzontali”, alle guerre tra i poveri che sono invece il marchio della Lega nord, un tempo, e oggi del berlusconismo? La tentazione sarebbe di dire: hanno contato ben poco. Quando si tratta di schierarsi alle elezioni, quell’immenso patrimonio di idee e fatti si scioglie. Ma la risposta è che i movimenti hanno contato e sono i soli che hanno realizzato, sia pure in parte, quel collegamento tra base e politica. Solo che lo fanno secondo la loro natura: reticolare e altalenante, capace di grandi imprese politiche in certi momenti e invisibile in altri. Qui si deve innestare la capacità recettiva da parte dei poteri deputati ad accogliere le istanze di base per dar loro efficacia di trasformazione. Le organizzazioni deputate alla rappresentanza sono impegnate troppo spesso nella loro autoconservazione. Questo per quanto riguarda il metodo della politica. Ma c’è un secondo passo da compiere, di più lungo respiro, ritornando a Gabriele Polo e completando la sua riflessione. Il centrosinistra dovrà smarcarsi nel merito dall’incombere del fantasma berlusconiano. Sulla politica estera (guerra, Medio Oriente, rapporti con gli Usa), sulle scelte sociali (scuola, sanità, beni comuni), sui nodi dell’economia e del lavoro (ruolo del pubblico, tasse, precarietà), sul vivere civile (immigrazione, laicità, diritti), su tutto questo è necessario uno scarto. Quello chiesto dal voto di domenica e lunedì, quello su cui – rovesciando la logica liberista e individualistica del berlusconismo – il centrosinistra si gioca il suo consenso. Il lavoro da svolgere è tanto più arduo se si pensa che la spaccatura dell’Italia non è solo tra il 50 e 50% della popolazione, ma è tra i milioni di piccoli interessi e di microscelte individuali ed ognuna provvisoria e persino aleatoria che sottostanno a quella grande spaccatura. E’ la riflessione di Franco Carlini, che, oltre ad osservatore politico, è esperto scientifico di tante trasmissioni radiotelevisive e come tale sa guardare la microstruttura dei problemi. Non si tratta solo di unire i divisi, dice Carlini, come semplicemente si va dicendo, ma piuttosto di disarticolare per problemi e riunificare per soluzioni entrambe le confuse metà. L’Unione, malgrado le sue debolezze è chiamata a farlo. Speriamo ne sia in grado, la monetina glielo ha chiesto. I prossimi giorni ci daranno altre evoluzioni degli eventi. I tempi sono più lunghi del previsto. Ma la vittoria su Berlusconi ed in prospettiva sul berlusconismo ci riapre la speranza. (15 aprile 2006) Mario Arnoldi |