Sussulti dall’Europa
La sconfitta di Schroeder nel Nordreno-Westfalia
I massmedia dei giorni scorsi titolavano a caratteri cubitali sulla sconfitta di Schroeder e della coalizione rosso-verde alle elezioni del Nordreno-Westfalia. “Dalla fortezza rossa della Ruhr l’ultimo schiaffo al cancelliere”, affermava un titolo forte. Secondo i risultati ufficiali dello spoglio, non definitivi, i socialdemocratici sono scesi al 37.1 per cento - dal 42.8 per cento che avevano cinque anni fa -, mentre la Cdu di Angela Merkel ha ottenuto il 44.8 per cento dei consensi - aveva il 37 per cento. I liberali della Fdp hanno subito un ridimensionamento, passando dal 9.8 al 6.2 per cento, affiancando i Verdi, che sono scesi dal 7.1 al 6.2 per cento. Il Nordreno-Westfalia è il più popoloso dei sedici Länder tedeschi con 18 milioni di abitanti. Motore del Land resta il bacino della Ruhr, uno dei grandi poli economici strettamente legato al processo di industrializzazione di tutta l’Europa. Ancora oggi la Ruhr resta una delle maggiori aree industriali dell’Unione, con un pil che supera Austria e Olanda. Con non poche contraddizioni, da considerarsi concause della sconfitta, visto che per rendimento economico pro-capite, Il Nordreno è dietro ad Assia, Baviera e Baden-Württemberg. Una delle probabili ragioni di tale situazione va individuata nel persistente processo di trasformazione strutturale dell’economia del Land, dove trent’anni fa oltre 800mila persone lavoravano nel settore minerario e siderurgico, mentre oggi in questo settore ne restano solo 130mila. Oggi domina invece il comparto chimico, con la Bayer al primo posto, seguito dal settore servizi. Il tasso di disoccupazione, più alto che in altri Länder come Baviera e Baden-Württemberg, è al 12.1 per cento, secondo la media nazionale. I commenti sono diversi, secondo la sponda economico politica da cui provengono. La volta scorsa abbiamo parlato della vittoria sia pur dimezzata di Tony Blair e affermavamo che ciò che avrebbe salvato il premier britannico di fronte all’opinione pubblica sarebbe stata la sua apertura in economia. New Labour è il nome dato alla politica economica di Blair e sta ad indicare appunto come piuttosto che alla tradizionale prassi del partito laburista, che decisamente si schierava su posizioni di opposizione al libero mercato, ha dato vita a riforme nel senso del neoliberismo e del mercato mondiale. Quest’economia ha portato frutti positivi per il benessere del paese ed ha fatto dimenticare presso gli elettori gli sbagli operati a proposito dell’ingresso nella guerra unilaterale americana in Iraq e le bugie dette per giustificare tale ingresso. Inevitabilità dell’adeguamento all’economia di mercato? Non per tutti la conclusione è di questo genere. La politica economica di Schroeder si direbbe opposta a quella di Blair e per questo avrebbe perso. Una politica che concede meno al libero mercato, e questo spiega i minori immediati successi economici, che ha rifiutato di partecipare alla guerra di Bush, che non ha trovato conferma presso il consenso dei votanti, disposti si direbbe a dimenticare la purezza della posizione sulla guerra ma non disposti a perdonare i minori progressi in economia, anzi gli arretramenti. Come ha reagito Schroeder. Il cancelliere sconfitto sceglie le elezioni anticipate. “E’ un gesto di responsabilità, risparmiati 18 mesi di agonia”, dice Giovanni di Lorenzo, direttore del settimanale Die Zeit. In un’intervista rilasciata a questo settimanale ed a la Repubblica, il cancelliere annuncia la possibilità per l’Spd di nuove alleanze di governo dopo il voto. “Le elezioni non saranno un addio, i tedeschi vogliono le mie riforme… Voglio e posso vincere. Chiedo agli elettori un sì alle mie riforme, alla Germania aperta e tollerante, che sulla scena mondiale sa decidere da sola… E’ un bene per il Paese, è la chance di dire che abbiamo bisogno del consenso di una vasta maggioranza per la nostra politica: l’economia di mercato, ma anche una società aperta e sulla scena internazionale il multilateralismo e una decisa politica di pace…Vogliamo un rinnovamento sociale ed economico, siamo stati noi a rendere questa società più aperta, una società in cui si può essere diversi senza averne paura…con Angela Merkel al potere oggi saremmo in Iraq…lo diremo agli elettori. E c’è una quantità di differenze con la Merkel in politica interna. Parliamo dei diritti dei sindacati? Io ho sempre detto che il sindacato deve cambiare, ma lo deve fare da solo e lo ha anche fatto. E’ obiettivo dichiarato dell’opposizione eliminare per legge il ruolo centrale di negoziatore del sindacato…” (copyright Die Zeit – la Repubblica 25.05.05). R. Rossanda, con la sua abituale lucidità e radicalità che condivido, dice: “Ogni fedeltà all’elettorato vacilla quando gli sono imposte scelte insopportabili, come la riduzione di fatto dei salari diretti e indiretti e delle pensioni… In Germania come in Italia nessuno finora propone un’alternativa socialmente compatibile in grado di far fronte al declino della crescita e del tenore di vita non meno che degli equilibri di bilancio…Né si può far passare per politica economica la dichiarazione di pentimento di Tiziano Treu e dei sostenitori della sinistra della Legge 30, benevolmente raccolte da Cesare Damiano dei Ds: non si tratta che di auspici di alleggerimento della preoccupazione devastante che il pacchetto Treu e il povero Biagi avevano voluto e creato nella convinzione che liberando l’impresa da lacci e laccioli, in verità da ogni obbligo e controllo, essa avrebbe portato alla crescita per virtù proprie. In regime di capitali liberi volanti verso le regioni dove il lavoro non costa nulla e nell’ambito di un Wto che li favorisce, il risultato è quello che sta davanti ai nostri occhi e fa vacillare tutti i governi europei…La Carta d’Europa deve essere ridiscussa dalle fondamenta…è necessaria una politica che persegua ragionatamente il pieno impiego a livello continentale (cioè uno spazio di mercato non da poco), che si dia una spesa pubblica in grado di qualificare capacità e tenore di vita dei cittadini e in parallelo una politica delle entrate attraverso un controllo dei movimenti di capitali che ne penalizzi la delocalizzazione, e una tassazione progressiva delle rendite finanziarie e patrimoniali, bacino dove si è rifugiata la crescita esponenziale della ricchezza privata. Tutto il resto sono chiacchiere” (il manifesto, 24.05.05). Alle incognite sin qui descritte della vecchia Europa si aggiunga, rimanendo nel quadro delle notizie di questi giorni, il Referendum sulla Carta dell’Unione del 29 u. scorso, in Francia, di cui non conosciamo ancora i risultati. In caso di probabile vittoria dei “no”, la Carta UE potrebbe essere riscritta, per esempio nel senso indicato da R. Rossanda, ma le sinistre avranno la forza di ottenere un tale traguardo? In Italia non ha salvato il governo attuale né la partecipazione acritica alla guerra di Bush, dovuta come sempre per l’Italia alla speranza di godere dei frutti del reggere la coda al più forte, né l’economia attuale della quale le varie agenzie preposte ogni giorno ci danno notizie sempre peggiori di ogni altro paese d’Europa. Dopo le regionali perdute, Berlusconi non s’è dimesso, non ha chiesto elezioni anticipate…troppo coraggio e dignità ci sarebbe voluta. Per l’Europa dell’Est, l’inaugurazione del primo tratto del mega-oleodotto che porterà il petrolio del Caspio dal porto di Baku in Azerbaigian, del quale il 25 maggio l’Indipendent di Londra ha pubblicato una cartina, a quello turco di Ceyhan, sottraendolo al controllo strategico della Russia, non creerà certo stabilità nella zona. Di questi ultimi problemi, e di altri, parleremo più dettagliatamente nei prossimi appunti. (1 giugno 2005) Mario Arnoldi |