La vittoria dimezzata di Tony Blair
Momenti di verità attorno alla guerra in Iraq
Tony Blair vince le elezioni in Gran Bretagna. Ed è la prima volta che un leader Labour vince per tre legislature consecutive. Solo Margaret Thatcher era riuscita nella stessa impresa. Tuttavia il successo è dimezzato quanto ai risultati ed ai numeri. I commentatori sono concordi nel dire che le posizioni di sudditanza di Blair a Bush nella guerra in Iraq e le bugie dette per giustificare l’intervento in un conflitto unilaterale e senza motivazioni oggettive – le famose armi di distruzione di massa mancanti – sono la causa del calo. “Il prezzo politico pagato da Tony Blair per l’impopolare guerra in Iraq, e le annesse bugie per giustificarla, appare dalle prime proiezioni molto alto. Più alto del previsto. Quasi 60 deputati in meno, stando ai risultati ancora parziali. Questa perdita non gli impedirà nell’immediato di continuare a governare, ma rende fragile la sua posizione di primo ministro. Tanto fragile da compromettere la sua capacità di arrivare alla fine della terza legislatura. La sua maggioranza ai Comuni, che era di 161 seggi, scenderebbe, secondo le prime proiezioni, a 66. Sarebbe stata più che dimezzata. Ridotta al punto da rendere insidiosi i franchi tiratori della sinistra del partito (almeno 50, capaci di fare proseliti) annidati nel gruppo parlamentare laburista, e ansiosi di sbarazzarsi del primo ministro, alla prima occasione, appena i tempi saranno maturi… Si pensava che le imponenti manifestazioni contro la guerra non avrebbero pesato sul voto…La guerra non ha mobilitato soltanto i pacifisti, gli studenti, ampi strati delle classi professionali cittadine e le minoranze musulmane, che hanno abbandonato il Labour o addirittura le urne. Le elezioni si sono parzialmente trasformate in un referendum su quel preciso tema. L’impopolarità della guerra ha contato almeno quanto la salute, la scuola, l’economia, le tasse, la criminalità, i trasporti, l’immigrazione.” (B. Valli, la Repubblica, 6 maggio 2005). Nei giorni successivi i risultati definitivi confermavano le previsioni, con pochi aggiustamenti. Blair ha detto di aver ascoltato ed imparato. Nel nuovo governo, formato in meno di 24 ore, sono confermati quasi tutti i ministri precedenti, soprattutto il ministro del Tesoro, Gordon Brown, l’operatore principale dell’economia fiorente inglese e motivo forte della vittoria. Cambia invece il ministro Geoff Hoon, il segretario della Difesa, che ha gestito la stagione della guerra in Iraq e delle inchieste successive. Contemporaneamente in Italia Berlusconi riferiva alle Camere la posizione del governo italiano sugli esiti dell’indagine relativa alla morte del dirigente del Sismi, Nicola Calipari. Restano punti di vista divergenti dalle conclusioni della commissione americana, tuttavia nelle colpe Usa non c’è dolo e l’incompatibilità delle due versioni non toccherà l’alleanza “granitica” dell’Italia con gli Stati Uniti. L’opposizione si divide sul ritiro delle truppe. Fassino, per i DS, chiede le scuse degli americani. Le sinistre radicali rinnovano la richiesta del ritiro immediato delle truppe italiane. “Come si fa a considerare chiuso il caso della morte a Bagdad di Nicola Calipari – si chiede N. Tranfaglia -. La pretesa, esposta alla Camera, dal presidente del consiglio di riaffermare la divergenza di ricostruzione dei fatti tra Italia e Stati Uniti, ma di considerare chiuso l’incidente politico tra i due Paesi alleati sanzionato dai due rapporti… è del tutto inaccettabile… L’Italia non può chiudere il caso, se quella tra gli Stati Uniti e l’Italia è un’alleanza paritaria e leale, come Berlusconi ha ripetuto ieri… Ma possiamo dire che si tratta di una vera alleanza, o dobbiamo piuttosto parlare di una dipendenza e subalternità che ha già caratterizzato il rapporto Italia-Stati Uniti in mezzo secolo di guerra fredda e, anche dopo la chiusura di quel periodo storico segnato negli anni novanta dalla caduta del blocco sovietico e dal crollo del comunismo, da parte di una destra che non crede al processo di unificazione europea e privilegia, al di sopra di ogni altra cosa, il rapporto con gli Stati Uniti di G. W. Bush con la sua teoria della guerra preventiva e dell’esportazione con la forza della democrazia?” (N. Tranfaglia, L’Unità, 6 maggio 2005). Le polemiche sono continuate nei giorni successivi, lasciando tuttavia immutata la posizione di fondo. Una riflessione sulla sinistra italiana moderata, che, nei giorni di poco precedenti a quelli in cui si verificavano i due fatti di cui ho appena parlato, si esprimevano sui problemi della guerra e sull’uso della forza. Seguendo Gianni Vattimo su La Stampa dello stesso giorno, ripercorriamo le posizioni. “ Ha cominciato più in sordina Fassino, dichiarando qualche tempo fa alla tv che condivideva entusiasticamente il proposito di Bush di esportare la democrazia in tutto il mondo; e che la sola cosa su cui dissentiva era il metodo: non con le armi, ma con la politica. Ora D’Alema si spinge un po’ oltre: dichiara – realisticamente – che la diffusione della democrazia nel mondo non può escludere sempre e comunque l’uso della forza…. La sinistra moderata mostra qui tutta la sua obiettiva debolezza, illudendosi di poter restare sinistra senza mettere in discussione la nostra appartenenza all’Occidente egemonizzato dagli Usa. Se non c’è – ma non ne siamo sicuri – una ‘terza via’, una possibile politica internazionale diversa da quella di Blair e di Berlusconi, magari più vicina all’embrionale blocco dei Paesi terzi (Spagna, Brasile, India, Venezuela…), non c’è futuro della sinistra in Italia che non implichi l’accettazione di consolanti bugie. O che non obblighi a seguire un D’Alema sempre più acrobatico”. (G. Vattimo, La Stampa, 6 maggio, 2005). Intanto in Iraq è ormai emergenza. Ottanta morti in un giorno solo. Duecentocinquanta in una settimana, dal giorno in cui a Bagdad fu finalmente varato il governo. A Suwairah un kamikaze si è fatto esplodere in auto fra la folla di un mercato: 58 morti. Ad Amal presso Tikrit, un altro terrorista suicida la lanciato la sua vettura contro un minibus carico di poliziotti: 8 morti. A Bagdad sono stati trovati 14 cadaveri, tutti con le mani legate dietro la schiena e il foro di un proiettile nella nuca. Nel conflitto che devasta il paese arabo da più di due anni le vittime civili sono ormai 24.324. Lo dice Iraq Body Count, un’organizzazione che aggiorna quotidianamente le cifre della tragedia umana, come riferiscono i mass media del 7 maggio 2005. Per concludere questa pagina tragica, ricordo che su alcuni quotidiani degli stessi giorni c’è la foto, parte di un video, che mostra un marine sparare, a Falluja il 13 novembre 2004, su un uomo ferito, a terra, in una moschea. Anche lui è stato assolto. Se può consolare, il generale Janis Karpinski, responsabile delle torture di Abu Ghraib, è stata invece condannata e degradata a semplice colonnello dell’esercito americano. L’unica condannata… forse perché è donna, perfetto capo espiatorio! Quale democrazia possiamo aspettarci dagli Stati Uniti? Le posizioni della sinistra radicale, sulle quali diverse volte ci siamo soffermati, ribadiscono il loro progetto di ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq e di elaborazione di una politica autonoma da quella degli Stati Uniti, che tende alla composizione politica dei conflitti, alla creazione di un’economia che non discrimini, in collaborazione con chi condivide gli stessi intenti, presenti in Europa e nel mondo. (15 maggio 2005) Mario Arnoldi |