L’altra faccia dello tsunami
Una decina d’anni fa, in una città capoluogo di provincia del Piemonte, avvenne un’alluvione disastrosa: diversi morti, molte abitazioni sommerse dalle acque, le infrastrutture urbane per lo più inagibili. Il caso volle che straripasse uno solo dei due fiumi che contengono l’abitato. Altre volte, nel lontano passato, quando entrambi i fiumi esondarono, tutta la città fu sommersa. Catastrofe naturale si disse subito. Il dolore dei parenti delle vittime, senz’altro affranti, era tuttavia più pacato di altre volte, quando le disgrazie erano avvenute per errore umano. Gli stessi cittadini, colpiti negli affetti e nei beni, ricominciarono la ricostruzione con una certa rassegnazione, infatti al destino non ci si oppone. Effettivamente la natura ha le sue leggi imperscrutabili alle persone, alle istituzioni, e, quando queste esplodono deviando dal loro andamento statisticamente abituale, non badano alle altre realtà che possono essere travolte e distrutte. Tuttavia, a poco a poco, su quella sciagura si vennero a sapere diversi retroscena, altre verità nascoste, che, per strano atteggiamento, sono risapute ma vengono celate anche a se stessi. Lo straripamento del fiume era stato segnalato poco prima dalla città a monte tramite fax, ma dato che gli uffici pubblici erano chiusi perché il disastro avvenne in giorno festivo, nulla potè essere fatto per mettere in moto le emergenze. Ma al tempo dei fax, prima della benefica e malefica fiumana dei cellulari, non avrebbe dovuto esser presente in sede un addetto dell’ente pubblico per le urgenze? Tralascio per ora l’interrogativo e continuo la serie degli aspetti nascosti. Percorrendo le sponde del fiume in modo più attento, a danni avvenuti, si rilevava che questo, decenni addietro, era stato deviato nel suo corso, proprio nel punto in cui uscì, per dare spazio ad insediamenti umani ed industriali. Ancora, si notò la cementificazione diffusa sulle due sponde che impediva il defluire delle acque nella campagna circostante, che, nel passato, aveva reso meno drammatici eventi analoghi. Non solo, gli archi dei ponti sul fiume in questione, che permettono l’ingresso e l’uscita dalla città, non erano sufficientemente larghi per la nuova cementificazione realizzatasi col tempo, o risultavano in parte intasati da detriti e da rami d’albero che scendevano dalle colline circostanti, poiché non erano stati puliti nel recente passato. L’elenco del volto oscuro degli eventi sarebbe ancora lungo, ma aggiungo solo un fatto di solidarietà positiva e negativa. Mentre le squadre di volontari, accorsi dalle città circostanti o da luoghi lontani, porgevano i primi aiuti alle persone e svuotavano cantine ed appartamenti nell’attesa dell’arrivo degli aiuti istituzionali, molti dei cittadini rimasti incolumi dalla disgrazia, perché abitanti dell’altra metà della città illesa, compivano l’abituale passeggiata domenicale per la via centrale, quella non alluvionata, ignari, o fingendo di esserlo, della sciagura avvenuta a poche decine o centinaia di metri. Mi sono soffermato su questa sventura locale, perché, in scala decisamente minore, ha in sé tutti gli aspetti della catastrofe dello tsunami avvenuta nel sud est asiatico.
Umberto Galimberti, il 27 dicembre scorso, il giorno dopo la sciagura, in un articolo molto interessante apparso su la Repubblica, ricorda che la natura ci sovrasta nella sua grandezza e potenza ed è folle l’umanità che presume di poterla dominare con sua tecnica. Ma che ne facciamo della sapienza noi, uomini della tecnica, che pensiamo, con i nostri dispositivi, di dominare il mondo? Questo delirio di onnipotenza ci rende immemori e ci fa dimenticare che le sorti dell’uomo non sono nelle sue mani e neppure sono protette dallo sguardo benevolo di un Dio (un Dio tappabuchi, direbbe D. Bonhoeffer, n.d.r.), ma custodite nel segreto inaccessibile di una natura che Goethe, in un suo saggio del 1783 descrive come una folle danzatrice che nella sua danza sfrenata perde gli uomini che le sono aggrappati senza fedeltà e senza memoria. Un sano pensiero che mette nella giusta collocazione l’uomo con la sua grandezza, ma anche con i suoi limiti di fronte al tutto. Altri hanno ricordato i pensieri di Leopardi, che non cessa ad ogni passaggio significativo di sottolineare la grandezza dell’Universo e l’infinitesimale piccolezza della persona di fronte ad esso e alla natura a volte madre a volte matrigna, cioè lontana e indifferente all’ordine dei pensieri umani. Come la “Ginestra” dignitosa ed odorosa vive sulle pendici del Vesuvio, costantemente minacciata da una prossima eruzione nella quale verrà bruciata come ogni realtà, ogni fiore e ogni traccia umana, così dovrebbero essere tutte le persone, consapevoli dei propri limiti e proprio per questo solidali.
Al puro dato di realtà della piccolezza umana, una seconda riflessione viene espressa da Galimberti, e già lo aveva fatto Leopardi, più dolorosa della precedente, sul concorso umano nel rendere più grandi le disavventure con l’aggressività e la distruttività che a volte o spesso dilaga. La terra per noi è diventata materia prima e niente di più, il suolo crosta da perforare per estrarre energia dal sottosuolo, la foresta legname da utilizzare, la montagna cava di pietra, il fiume energia da imbrigliare, il mare riserva da esplorare per futuri sfruttamenti, l’aria spazio ove scaricare veleni rarefatti dalle nostre opere. Il trattato di Kyoto attende ancora molti paesi, tra cui l’Italia, al rispetto della natura. Migliaia di morti, soprattutto tra i dannati della terra, i più indifesi, semplicemente perché più poveri, perché hanno per casa quattro assi inchiodate e per vivere un dollaro al giorno. Sono sempre più i deboli che la natura elimina seguendo il suo principio della selezione. Ma se oggi la debolezza non è decisa dalla biologia, ma dalla ricchezza e dalla disponibilità economica, che complicità abbiamo con la ferocia della natura? Queste sono le due domande che il maremoto del Sudest asiatico ci pone: 1. Che rispetto abbiamo della natura noi, uomini della tecnica che la visualizziamo solo come materia prima?; 2. Che rispetto abbiamo degli altri uomini, e che soccorso diamo a loro noi, ricchi della terra, che ammiriamo la loro natura nel passatempo delle nostre vacanze? Se sapremo rispondere a queste due domande con serietà, non fermeremo né i terremoti né i maremoti, ma eviteremo almeno che, per gran parte dell’umanità, ogni sussulto della terra sia strage. La moratoria del debito dei paesi toccati dalla sciagura, invece della cancellazione, come viene invocata da più parti, non è altro che un rimandare il saldo degli interessi dei prestiti, probabilmente a tassi più alti. I prestiti ai paesi poveri non sono altro che una restituzione di quanto è stato loro tolto attraverso lo sfruttamento ad ogni livello e quindi non dovrebbero percepire interessi. Né nel Sudest asiatico, né in altre regioni del Sud del mondo colpito da ogni forma di indigenza indotta. La vergogna mascherata dell’occidente ricco non ha limiti! (15 gennaio 2005) Mario Arnoldi |