Donne dell’anno guida per il 2005

le due Simone ed il Nobel per la pace Maathai

A volte non so se sorridere, ridere o piangere di fronte ad alcuni riconoscimenti che la stampa o altre istituzioni danno a personaggi che si sono particolarmente distinti nell’anno trascorso. Dopo il sorriso il pianto, debbo purtroppo dire pirandellianamente: il riconoscimento viene abitualmente conferito non in base a valori particolari umanitari o politici tesi al bene comune, ma secondo la risonanza, le mascelle dei personaggi scelti.

La rivista statunitense Time ha eletto George W. Bush uomo dell’anno con la motivazione della coerenza, della tenacia nella lotta al terrore, ecc. Della guerra sbagliata che persino i cittadini medi e medio alti negli Usa vanno denunciando; dell’assenza delle armi di distruzione di massa, tanto sbandierate come giustificazione del conflitto; della guerra preventiva per la prima volta nella storia teorizzata, equivalente alla distruzione, poiché sono il più forte, di chi mi ostacola nei miei progetti di mercato e di profitto; del numero dei morti sia americani, sia alleati, sia iracheni, che sta superando ogni soglia di accettabilità; del fatto che il terrorismo si è moltiplicato a dismisura, invece di diminuire, da quando è cominciata la guerra; del rifiuto di firmare gli accordi di Kyoto, insieme con altri paesi conniventi, che porta il tasso d’inquinamento al di sopra della soglia di tollerabilità della salute del pianeta; di tutte queste situazioni deprecabili ci si è dimenticati quando si sono premiati i muscoli del personaggio.

Libero, il quotidiano italiano della cui libertà si può ampiamente dubitare, perché prevenuto e prevedibile in ogni sua affermazione, si è limitato ad eleggere l’ometto dell’anno, il 23 dicembre appena trascorso, Silvio Berlusconi. L’articolo di prima pagine di Renato Farina, illustre politologo, così esordisce. In America il settimanale Time ha scelto Gorge W. Bush come uomo dell’anno. Una faccenda da giganti. L’Italia è un Paese piccolo, Libero è un quotidiano, sempre meno, piccolo: ci è toccato eleggerne uno su misura, ma non abbiamo avuto dubbi. E’ lui, Silvio Berlusconi il vincitore del nostro concorso. Chi, se no? Saremo anche un’Italietta e il nostro capo di governo un premieretto, ma entrambi non sono poi mica male.

A me tornano immediatamente alla mente i rilievi che Ciampi ha fatto alla riforma dell’ordinamento giudiziario di Berlusconi e del suo governo di metà dicembre scorso. E’ palesemente incostituzionale, viola l’autonomia dei giudici, l’obbligatorietà dell’azione penale, mortifica il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura. I rilievi del Capo dello Stato non sono per nulla marginali e mettono in questione tutta la politica giudiziaria, la sola ad essere efficiente, quando tutti gli altri settori del paese, soprattutto l’economia, è in crisi e pesa sulle spalle dei cittadini che s’impoveriscono sempre più. Verrebbe da ironizzare sullo stile crepuscolare di Renato Farina, ma la realtà che si cela dietro quel linguaggio è tutt’altro che crepuscolare, è il grido degli operai che perdono il lavoro per la delocalizzazione delle fabbriche, dei giovani che hanno lavori cosiddetti flessibili ma di fatto precari ed a brevissimo termine che non permettono loro di vedere un futuro normale, delle donne e dei bambini che devono supplire spesso all’insufficienza del sostentamento con un lavoro in nero, per altro legittimato. Su quale pianeta vive Renato Farina?

Passo quindi alla parte costruttiva. Eleggo persone dell’anno tre donne, le due Simone e il premio Nobel per la Pace, l’ecologista Wangari Maathai. Mi preme sottolineare che scelgo delle donne che hanno offerto all’Italia ed al mondo gli spunti per una politica senza violenza, per un potere che non schiaccia ma eleva coloro con cui sono entrate in contatto.

da Il giorno.it, 3 dicembre 2004

(da Il giorno.it,
3 dicembre 2004)

Simona Pari e Simona Torretta

Delle due Simone hanno parlato a lungo a suo tempo i media. Vittorio Feltri avrebbe voluto, se fossero state sue figlie, prenderele a schiaffi quando sono state rapite e, poi, dare loro un calcio nel sedere quando sono state liberate. Le due volontarie meritano invece grande rispetto e ammirazione perché hanno saputo per anni dare il meglio della loro vita per l’innalzamento di un popolo che vive nell’oppressione della guerra, e precedentemente, sotto poteri schiaccianti. Il loro merito è doppio, perché la loro attività non consisteva tanto nel fare elemosina, carità e assistenzialismo, ma nel dare alla popolazione, e soprattutto alle donne ed ai bambini, gli strumenti per un’elevazione loro, secondo i metodi del miglior volontariato, che vuole rendere capaci di fare piuttosto che fare, quasi a soddisfare i desideri ed i sensi di colpa dei donatori stessi occidentali. Le due Simone si erano fatte in qualche modo irachene per essere stimolo alla promozione della cultura locale, alla creazione di infrastrutture, sia pure semplici data la situazione di guerra costante dei luoghi da loro frequentati. E forse anche questo loro atteggiamento, tipico dell’organizzazione della quale facevano parte, Un Ponte per, come di altre associazioni, ha permesso una contrattazione coi rapitori e la liberazione.

Le due ragazze hanno espresso, appena liberate, la loro intenzione di ritornare nei paesi in cui avevano sofferto per continuare il loro lavoro di solidarietà e cooperazione e questa volontà era il segno che non si erano lasciate intaccare dalla paura per gli ostacoli che si frapponevano al loro impegno, e soprattutto del fatto che la loro attività non era frutto della superficiale utopia giovanile che a volte prende e poi passa velocemente, ma piuttosto quasi una seconda natura che coinvolge con profondità l’animo sinceramente positivo.

da Corriere della sera, 8 ottobre 2004

(da Corriere della sera,
8 ottobre 2004)

Wangari Maathai

Il Nobel per la Pace Wangari Maathai, ecologista africana, da trent’anni ripopola le foreste del Kenya e di altre zone dell’Africa. La riforestazione si contrappone all’invadente azione di desertificazione progressiva operata dalle grandi aziende multinazionali, dà la possibilità di raccogliere legna e di acquisire terra, è quindi fonte di sussistenza delle popolazioni indigene e pone le condizioni per evitare i conflitti e le guerre per il possesso delle materie necessarie alla vita.

Nel 1977 ha fondato il Green Belt, cintura verde, organizzazione che ha piantato dal suo inizio 30 milioni di alberi. L’iniziativa successivamente dal Kenya si è estesa anche in Etiopia, Uganda, Tanzania, Malawi, Zimbawe, Lesotho. Questi paesi, distribuiti nella parte orientale dell’Africa, costituiscono appunto una cintura verde, che, nella misura in cui si estenderà, potrà abbracciare anche altre zone del continente. Combattendo la desertificazione si combattono la povertà ed i conflitti. Vorrei che passasse una legge che obbligasse tutti a destinare il 10% del terreno di proprietà alla crescita di alberi. Non è tanto, ma sarebbe sufficiente per raggiungere quella soglia del 10% del territorio nazionale coperto da alberi che le Nazioni Unite stimano essere il minimo necessario per lo sviluppo sostenibile. Soltanto l’ 1,6% del Kenya è attualmente coperto da alberi, disse in un’intervista rimasta famosa.

Maathai riceve diversi premi internazionali, è tra i 500 personaggi eminenti segnalati dall’Unep, l’agenzia per l’ambiente dell’Onu e tra le “100 eroine” del mondo contemporaneo.

Prevenire è meglio che curare, dice un noto adagio della nostra pubblicità occidentale, che in verità non ha una corrispondenza nella realtà economica, sociale e politica attuale. In modo nuovo e veritiero invece il principio della prevenzione, fatto di cooperazione tra le persone e tra queste e la natura, è stato applicato dalle due Simone e dalla Maathai e questo dovrà estendersi ulteriormente per la tattica e la strategia pacifista in ogni parte del mondo, soprattutto dove sono in atto dei conflitti. E sono delle donne che portano questa nuova visione della lotta per la giustizia e per la pace. Dalla differenza di genere nasce una differente interpretazione e conduzione della storia.

(1 gennaio 2005)

Mario Arnoldi