Il secondo mandato di Bush
La morte di Yasser Arafat
I due candidati, il repubblicano uscente Bush ed il democratico Kerry, dato troppo presto per vincitore da chi scambia i desideri con la realtà, sino all’ultimo momento erano alla pari. Ha vinto infine Bush ed è cominciata la ridda degli interrogativi e dei commenti. Quali prospettive si sarebbero aperte nel secondo mandato? Chi ipotizzava che un presidente rieletto in genere è più riflessivo, perché non ha ulteriori chance per ricomporre gli eventuali guasti compiuti. Chi affermava che la politica aggressiva di Bush 2 e quindi degli iracheni non sarebbe mutata in nulla. A togliere ogni dubbio su quale delle due ipotesi fosse quella vera, i massmedia pochi giorni dopo l’elezione informavano che i bombardamenti su Falluja continuavano e non si poteva prevedere l’esito dell’operazione. “L’assalto finale a quello che è ritenuto il covo del terrorista Zarqavi è sempre più vicino. Il Pentagono prepara i piani per l’offensiva di terra e il presidente americano Gearge Bush promette: terminerò il lavoro iniziato, dobbiamo essere uniti contro il terrorismo” (La Repubblica, 7 novembre ’04). Il giorno seguente lo stesso quotidiano titolava: “Iraq, scatta la legge marziale. Nuova strage di poliziotti. Gli Usa: assalto finale a Falluja”. Ancora oggi la situazione è solo apparentemente risolta. L’auspicata fase nuova, basata sulla politica e la contrattazione, rimane un auspicio nobile e riprende invece il botta e risposta delle armi. Un altro interrogativo veniva posto. Chi sono stati gli elettori del vincitore e che cosa li ha spinti a tale scelta? “Maschio, bianco, religioso, abitante di una piccola città preferibilmente in campagna: è l’elettore medio di Bush”, titolava Manuel Castellas, La Vanguardia, Spagna, riportato da Internazionale, 12/18 novembre ’04. Nel corpo dell’articolo Castellas affermava: “Parte di quest’appoggio si deve ai ceti ricchi, favorevoli alla riduzione delle tasse, Bush è stato aiutato anche da un’opinione pubblica favorevole alla guerra in Iraq: ancora di poco inferiore al 50 per cento, grazie ad un misto di nazionalismo e paura del terrorismo. A decidere è stato comunque il voto di chi considera Bush il paladino dei valori religiosi e morali. Gli exit poll e le analisi degli esperti concordano nel sostenere che le elezioni si siano giocate sull’affermazione di un sistema di valori cristiani e conservatori, soprattutto negli stati del sud. Gli argomenti più importanti in questo senso sono stati il rifiuto dell’aborto e della sperimentazione sulle cellule staminali, la difesa della famiglia tradizionale e soprattutto il no ai matrimoni gay. Il ruolo della religione è sempre più decisivo nella politica americana. Mentre per il resto del mondo le elezioni si giocavano sulla guerra in Iraq e per i democratici sull’economia e la sanità, per almeno un quarto degli elettori americani, in particolare per evangelici e cattolici, la questione chiave era la difesa dei valori religiosi. Ed è stato questo sentimento religioso, che Bush ha esplicitamente scelto di difendere, a spingere un numero significativo di persone delle zone periferiche di tutti gli stati e con un basso reddito a votare per il paladino della loro fede”. Quali deduzioni per gli Stati Uniti, per l’Europa e per le altre regioni del mondo si devono trarre dalle circostanze appena indicate? E’ ancora presto dirlo. Appare preoccupante tuttavia che la paura, l’insicurezza ed il rifugio nei valori religiosi e morali, intesi nel loro aspetto di rassicurazione, prevalgano sulle preoccupazioni delle reali condizioni di vita, sullo sforzo di migliorare la convivenza umana sul pianeta, sul rifiuto della guerra come soluzione dei conflitti. La morte di Yasser Arafat, oltre ad essere una coincidenza cronologica, è l’occasione per ricordare un conflitto vivo da almeno mezzo secolo, ma con antiche premesse a metà dell’ottocento. Th. Herzl, fondatore del Sionismo, nel passaggio dall’ottocento al novecento, proponeva per gli ebrei in diaspora il ritorno nella terra di Palestina, contrariamente ad altri ebrei che indicavano territori più ampi, più liberi e meno conflittuali, come Argentina, Canada, Africa. Herzl vinse la sua battaglia affermando che era opportuno creare una testa di ponte dell’occidente verso l’oriente minaccioso. Queste prime intenzioni di Herzl, tuttora valide a giudicare dai fatti, spiegano meglio di tanti discorsi falsi il perdurare del conflitto israelo palestinese e la non volontà di risolverlo da parte dell’occidente e la conseguente resistenza ad oltranza, divenuta deprecabilmente a volte terrorismo, da parte del popolo palestinese. Arafat, pur tra tanti errori, quali quello di non aver saputo fare scelte precise e decise tra azione di pace ed attività di lotta armata, e quello di non aver saputo prevedere che la severità tattica nel non accettare compromessi portava alla strategica perdita progressiva di territori, è stato l’uomo che per mezzo secolo ha combattuto per dare coscienza di sé al popolo palestinese. Senza Arafat oggi i palestinesi sarebbero probabilmente estinti, come i Mapuche, gli Inca, gli Atzechi, i Maja del Sudamerica e tanti altri popoli di cui si è persa addirittura la memoria storica. La partecipazione popolare al corteo della salma di Arafat a Ramallah è il segno del ruolo riconosciuto di promotore indiscusso della causa palestinese ed i suoi successori, finita questa prima fase durata mezzo secolo, potranno dare vita, questo è l’auspicio, ad una fruttuosa trattativa per uno Stato palestinese accanto allo Stato israeliano. Il futuro è assolutamente incerto, ma le attese della parte sana dei contendenti e del mondo intero si dirige verso questa direzione più felice. Bush e Blair, come se Arafat fosse stato l’unica causa dell’impossibilità di raggiungere la pace, appena terminati i funerali ufficiali al Cairo, hanno promesso di appoggiare la nascita dello Strato palestinese e di indire elezioni entro sessanta giorni per formare un governo democratico. Gli avvenimenti che seguiranno diranno se i loro proclami sono sinceri o se si tratta ancora una volta di “parole scritte sulla sabbia”. Inoltre si dovrà fare i conti con le ali estreme delle due parti. Il mondo ha assistito nei giorni scorsi a conferme drammatiche, ma allo stesso tempo a spiragli di nuove prospettive. L’augurio è che prevalgano queste ultime. (15 novembre 2004) Mario Arnoldi |