La deriva del costituzionalismo
Di grande importanza sono gli avvenimenti di fine ottobre ed inizio novembre, a livello internazionale, europeo ed italiano. Procederò dal locale al globale. In Italia il 15 ottobre scorso è stata votata gran parte della riforma della Costituzione e si analizzeranno ora, prima dell’approvazione definitiva, alcuni emendamenti, che, se dovessero passare, cambierebbero il volto alla prima Costituzione, nata immediatamente dopo la II Guerra mondiale, preparata dall’Assemblea Costituente, nella quale erano rappresentate tutte le forze politiche che avevano contribuito alla sconfitta del nazifascismo, che affermava chiaramente i principi base del costituzionalismo moderno, come la divisione e l’autonomia dei tre poteri dello Stato, legislativo, esecutivo e giudiziario, il lavoro come fondamento dello Stato stesso e, nell’articolo 11, il rifiuto della guerra come strumento di composizione dei conflitti. Già disattesi nei fatti dalla politica dell’attuale governo, che, facendosi forza di una maggioranza assoluta in base alla legge maggioritaria sia pure corretta, ha approvato leggi tendenti alla salvaguardia dei privilegi delle classi più abbienti e dello stesso primo ministro, ora quei principi base stanno per essere negati dalla riforma in atto, nell’impotenza delle forze d’opposizione decisamente minoritarie e nell’indifferenza comune. Raniero La Valle, in un articolo apparso su Liberazione il 27 ottobre scorso, dal titolo Ma che Costituzioni sono?, afferma: “In Italia il costituzionalismo della Repubblica parlamentare e democratica fondata sul lavoro si rovescerà, secondo la riforma in corso, nell’autoritarismo di un regime personale del Primo Ministro, senza Parlamento, ridotto a un salotto di Arcore, senza Presidente della Repubblica, ridotto a concedere onorificenze ma non grazie, e a firmare leggi che non dovrebbe neanche leggere, e soprattutto senza un popolo dotato di soggettività e di agibilità politica, ridotto a dare un’investitura a un re elettivo, insindacabile, dotato di tutti i poteri a cominciare da quello di sciogliere la camera a suo piacimento. Non resta che bloccare questo disegno col voto: se non in Parlamento nel Paese”. La Costituzione Europea, a lungo elaborata, è stata votata a Roma, il 29 ottobre scorso, dai rappresentanti dei paesi appartenenti all’Unione. Gli avvenimenti che hanno preceduto questa firma sono stati particolarmente turbolenti. Infatti, solo alcuni giorni prima della firma, il presidente della Commissione europea Barroso ha ritirato dal Parlamento la votazione della sua squadra di ministri, perché sicuro di andare incontro ad una sconfitta. Il maggior soggetto del contendere è stata la candidatura di Buttiglione, che nei colloqui di verifica della preparazione all’incarico di ministro della giustizia, sia pure dopo la distinzione kantiana tra la legislazione, che deve rispondere agli interessi comuni, e le opinioni personali che sono ininfluenti allo scopo, ha pronunciato la parola “peccato” a proposito dell’omosessualità ed espressioni simili sulla moralità delle madri sole e su analoghe questioni tuttora in discussione. Il Parlamento non ha gradito. Il governo italiano insiste sulla sua candidatura e si profila quindi uno scontro istituzionale di grave portata. Ma questo è solo il contesto. Riguardo al testo della Costituzione stessa, La Valle con acutezza dice nello stesso articolo citato: “Per quanto riguarda l’Europa, quella che si sta per firmare non è una vera Costituzione che in pochi ed essenziali articoli proclami i diritti inalienabili dei cittadini europei, i principi fondamentali dell’Unione e ne istituisca l’ordinamento e i poteri. In realtà si tratta di un Testo Unico che riproduce e riunifica tutti i Trattati europei vigenti che dettano le leggi per la vita economica degli Stati dell’Unione. Si tratta perciò di un libro di 300 pagine che assomma tanti articoli e norme che non si possono nemmeno contare e che regolano minuziosamente tutti gli aspetti della vita economica e produttiva, intesa come una totalità che sovrasta e confisca la politica e si identifica con la vita stessa. I principi supremi di questo ordinamento sono la competitività, la concorrenza, lo scambio, la produttività, il profitto, cioè i principi del mercato capitalistico nella sua forma neoliberale e postkeynesiana; ed è la prima volta nella storia che non un popolo o una comunità politica si dà una Costituzione, ma è un regime economico che si dà le sue leggi, è una forma di capitalismo che si fa ordinamento, si assume un continente, si fa Stato. E’ un manuale di economia liberale, pur integrato, come vuole il genere, da un sommario di diritti. Qui è in gioco l’esistere dell’Europa”. La Valle conclude nel suo articolo che oggi è in crisi lo stesso “costituzionalismo”, che significa garanzia di democrazia, in favore del potere dei più forti, cioè dei più ricchi. A livello internazionale siamo in trepidante attesa del risultato delle elezioni presidenziali americane. Abbiamo seguito con interesse le elezioni in Afghanistan, in Kosovo ed in altri paesi reduci da conflitti antichi e nuovi. Prossimamente vedremo il risultato delle elezioni in Iraq, se si riusciranno a svolgere. Ma le elezioni americane sono la “madre” di ogni situazione internazionale, poiché gli Usa sono la potenza più forte che può determinare la vita di ogni altro luogo del mondo. Auspico, come tanti, che il successo vada al democratico Kerry, che non potrà certo dare una svolta totale alla politica interna ed internazionale, ma potrà alleggerire l’oppressione della guerra pretestuosa all’Iraq e dell’appoggio palese o sotterraneo a tanti altri conflitti nel mondo. Il presidente Clinton, che appoggia Kerry, non è stato certo un campione di giustizia distributiva e di pace, ma aveva dato un periodo di maggior benessere economico e non aveva fatto della guerra il suo unico scopo di Capo di Stato. Ricordo la foto storica del ’93 della stretta di mano tra Arafat, che oggi versa in gravi condizioni di salute, e Rabin, che pagò con la vita quel gesto, con sullo sfondo Clinton che si faceva garante della pacificazione dei due popoli, sia pure per tappe successive, con il definitivo riconoscimento di uno Stato Palestinese accanto a quello Israeliano e con i relativi benefici effetti. Il 30 ottobre si è svolta a Roma una manifestazione per la pace nel mondo e soprattutto per quei luoghi intaccati da conflitti endemici. Tra gli slogan prevalevano: “No alla guerra”. “Via le truppe dall’Iraq”, “Diritti e giustizia sociale per tutti”. Il cammino per un’Italia, un’Europa ed un Pianeta diversi e migliori è ancora lungo, ma, se le manifestazioni si trasformeranno in impegno quotidiano personale, collettivo, sociale e politico nuovo, spiragli di speranza si apriranno all’orizzonte. (1 novembre 2004) Mario Arnoldi |