Luci ed ombre sulle Olimpiadi

Leggo dalle enciclopedie che le Olimpiadi erano feste religiose quadriennali che si tenevano ad Olimpia, in onore di Zeus, un mese dopo al solstizio d’estate. Per permettere a tutti i greci di prendervi parte, si proclamava una tregua sacra che interrompeva le contese e le guerre. Dal 776 a.C. alle celebrazioni religiose si aggiunse quella dell’unità nazionale espressa con manifestazioni di carattere sportivo riservate agli uomini liberi di stirpe greca. L’importanza delle olimpiadi nel mondo greco era tale che quella del 776 a.C. fu presa come data di riferimento nel computo del tempo. Inizialmente la gara era una sola, la corsa nello stadio; si aggiunsero progressivamente lotta, pugilato, pancrazio (misto di lotta e pugilato), pentathlon (corsa, salto in lungo, lancio del disco, e del giavellotto, lotta), diaulo (gara di mezzofondo, corsa in armi, corsa a cavallo, corsa delle quadriglie). Sospese dal 227 al 369 d.C., furono definitivamente abolite dall’imperatore Teodosio nel 393.

Furono riprese in seguito ad un congresso internazionale tenuto a Parigi nel 1894 su iniziativa del diplomatico Pierre de Coubertin e dal 1896 sono tenute regolarmente ogni quattro anni, salvo le interruzioni dovute alle due guerre mondiali. Nel 1924 furono svolte le prime Olimpiade invernali. Risorte quindi nell’epoca dello sport moderno, connesso all’uso del tempo libero anche da parte delle classi borghesi, le Olimpiadi hanno subito un processo di commercializzazione, specie in seguito all’avvento della televisione. Capaci di richiamare l’attenzione del mondo intero, sono state spesso usate come palcoscenico per dimostrazioni politiche o terroristiche, per esempio, la protesta degli atleti neri statunitensi nel 1968, l’attacco di terroristi arabi alla squadra israeliana nel 1972, il boicottaggio degli USA nel 1980 in seguito all’invasione sovietica dell’Afghanistan.

La campagna promossa dalla Rete di Lilliput, in occasioni delle Olimpiadi che si svolgono ad Atene dal 13 al 29 agosto, porta il titolo di "Gioca pulito alle Olimpiadi".

Il mensile Mani Tese spiega il senso dello slogan mettendo il dito nella piaga di queste gare, affermando che, accanto alle riflessioni sugli azzardi economici rappresentati da strutture sempre più faraoniche e costose, si fa strada la consapevolezza della necessità di garantire che i lavoratori delle industrie coinvolte nelle forniture sportive siano trattati equamente. Infatti, pur non essendo ancora cominciate, era il luglio appena trascorso, avevano già fatto registrare un primato ben triste: undici persone morte in incidenti sul lavoro nei cantieri dei giochi. A rendere ancora più pesante la situazione è il fatto che molti degli impianti sportivi e degli edifici pensati per i giochi resteranno inutilizzati dopo le due settimane di gare, mentre per le città e per gli stati che hanno ospitato le Olimpiadi non c’è mai stata una ritorno di maggiore ricchezza o afflusso di turismo, ma piuttosto di danni ambientali, inquinamento e perdite secche da ripianare con denaro prelevato direttamente dalle tasche dei contribuenti.

I grandi eventi sportivi sono al centro di enormi interessi economici che vanno dalla speculazione edilizia, ai diritti televisivi, alle forniture di beni e servizi, a pubblicità e sponsorizzazioni. Sono manifestazioni commerciali colossali da cui traggono vantaggio èlite private e grandi imprese, che realizzano grandi profitti ma scaricano gran parte dei costi, in termini di deficit di bilancio e di danni ambientali o sociali, sulle spalle della collettività. I cittadini di Grenoble, dopo le Olimpiadi invernali del 1968, hanno finito di pagare tasse maggiorate nel 1998, trent’anni dopo! Quelli di Montreal, che le hanno ospitate nel 1976, estingueranno definitivamente i debiti nel 2006! D’altra parte il Comitato Olimpico Internazionale ha ricavato oltre un miliardo di dollari dai contratti di licenza e commercializzazione.

Inoltre, s’interroga Mani Tese, quale idea di sport diffondono i raduni internazionali. Alla base ci sono concetti fortemente negativi: nazionalismo, individualismo e competizione, profitto economico, violenza, pensiamo alle tante discipline mutuate dall’arte della guerra, culto della celebrità. La vittoria spettacolare, la costante ricerca del primato, al di là dell’umanamente possibile, sono funzionali all’impresa economica che tiene in vita il ciclo dello sport. Ecco perché il doping non è un fenomeno da "mele marce", ma il lubrificante che mantiene in esercizio gli ingranaggi di un meccanismo che solo nell’abbattere record in tempi sempre più ravvicinati può produrre denaro a palate.

Nel mondo dello sport c’è anche un altro tipo di doping. "Il titolare voleva che lavorassimo di continuo per due giorni di seguito, senza dormire. Così ci dava da bere acqua mescolata ad anfetamina", racconta un ex lavoratore della Bed and Bath Prestige, fabbrica tailandese che produceva, prima di chiudere nel 2002, per conto di noti marchi come Nike, Levi’s, Adidas. L’industria delle calzature e dell’abbigliamento sportivo, che nel 2002 valeva più di 58 miliardi di dollari, è il partner commerciale privilegiato dei giochi olimpici, come di tutti i grandi eventi sportivi. Da alcuni anni a questa parte, gli atleti hanno un dovere in più: oltre a difendere il proprio nome e il prestigio della bandiera nazionale, sono chiamati a difendere i colori del marchio che li sponsorizza o che veste la loro squadra, in cambio di una lauta ricompensa economica. Conclude Mani Tese informando che Adidas è il fornitore ufficiale delle divise per le Olimpiadi di Atene, mentre Mizuno veste il personale del Comitato Olimpico Internazionale e del Comitato Organizzativo di Atene 2004 (Mani Tese, luglio/agosto 2004).

Il quotidiano Avvenire del 6 luglio appena trascorso espone riflessioni di maggior ottimismo, che vorremmo corrispondessero a realtà. Il grande titolo della pagina interamente dedicata all’argomento dice: "Sul podio di Atene un sogno di pace" e gli articoli sottolineano che, per chi vive in paesi funestati dalla guerra o da conflitti sociali sanguinosi, la partecipazione alle Olimpiadi diventa occasione di riscatto personale e collettivo. Per esempio, "L’Iraq, si afferma, torna in pista dopo lo stop imposto da Saddam". E, più sotto, "Palestinesi ed Israeliani sono in un’unica squadra". Seguono altri esempi analoghi. (Avvenire, 6 luglio 2004).

Quale giudizio esprimere, combattuti da un lato dalla Campagna "Gioca pulito alle Olimpiadi" e d’altro lato dal messaggio di speranza di Avvenire? I dati della Campagna della Rete di Lilliput sono incontestabili, le riflessioni di Avvenire abitano piuttosto il luogo della speranza e sono proiettate in un futuro possibile ma senz’altro lontano. Non rifiuto nessuno dei due messaggi, anche se il secondo appartiene all’ottimismo della volontà ed il primo al realismo delle dure situazioni geopolitiche attuali.

(15 agosto 2004)

Mario Arnoldi