Democrazia delle torture o della partecipazione operaia?
La documentazione fotografica e le notizie sulle torture inflitte agli iracheni da parte di militari americani ed inglesi hanno suscitato scandalo, orrore e cordoglio in tutto il mondo e purtroppo ogni giorno emergono elementi nuovi. Il peggio di questa storia, è stato detto, sembra debba ancora venire. Temo soprattutto le ritorsioni e l’acuirsi della spirale della violenza. I commentatori vicini alle posizioni dell’amministrazione statunitense, inglese e italiana tendono a relativizzare i fatti, ad affermare che la guerra è una cosa sporca e questi accadimenti avvengono ovunque ci sia conflitto, che i paesi belligeranti hanno sbagliato nel compiere torture così atroci ma hanno avuto il coraggio di rivelare e denunciare gli avvenimenti stessi dimostrando che la democrazia sbaglia ma sa pentirsi e correggersi, cosa che non avviene nei paesi guidati dalle dittature e non avveniva nell’Iraq di Saddam Hussein. Altri, io sono tra questi, condannano senza scusanti i fatti drammatici ed affermano che le torture, in qualsiasi situazione, degradano la persona umana e recano danno, anzi, mettono in forse la democrazia stessa ed i valori occidentali. La crudeltà delle immagini ha un solo precedente più forte nella foto della bambina vietnamita nuda consumata dal napalm ed avrà conseguenze imprevedibili sulla situazione dei paesi che la praticano e sulle prospettive geopolitiche future. (V. Zucconi, La Repubblica, 09.05.04). La tortura è da sempre il più terribile dei modi per ridurre il corpo umano ad un fascio di facoltà obbedienti, dice Domenico Starnone, (il manifesto, 09.05.04) ed aggiunge che Pietro Verri, nel 1776, in Osservazioni sulla tortura, lodava Maria Tersa d’Austria per aver avuto la grazia di abolirla e sottolineava che solo i popoli arretrati la usano. A soli poco più di due secoli di distanza, quella pratica criminale è ancora molto diffusa. Ma il fatto nuovo è che essa risbuca oggi, fissata da foto e video realizzati a mo’ di souvenir dopo una bisboccia sadomaso in un paese esotico, dall’interno della democrazia più opulenta, più orgogliosamente esibita del mondo, impegnata con gran dispiego propagandistico a portare con le armi un distillato del meglio dell’Occidente ai popoli retrogradi e per di più traviati da califfi e fanatici. Abbiamo raccomandato alla polizia militare Usa in Iraq l’introduzione dello stesso modello usato a Guantanamo per condurre gli interrogatori dei detenuti. Lo ha dichiarato il generale Geoffrey Miller, il nuovo responsabile del carcere di Abu Gharaib, e il militare inviato lo scorso agosto a settembre in Iraq per fornire raccomandazioni per la gestione dei detenuti, riferendosi proprio al risultato di quella missione cui avevano preso parte una trentina d’esperti. (Baghdad, 8 maggio, Adnkronos). Già da mesi, ampie e dettagliate relazioni erano stilate ed inviate alle autorità competenti dalle organizzazioni internazionali quali la Croce Rossa, Amnesty, l’Organizzazione per i diritti umani americana, Hrw, ed altre, ed affermavano la sistematica violenza sui detenuti, contravvenendo alle Convenzioni di Ginevra sui prigionieri di guerra. Tutte inascoltate, con la scusa che la realtà era meno grave di come fosse descritta. Altri commenti di condanna si susseguono di giorno in giorno, dei quali indico solo i titoli. L’ordine era fate vedere l’inferno; Rumsfeld si scusa ma non si dimette; Tony Blair ammette di essere a conoscenza; il governo italiano, benché neghi, non poteva non essere a conoscenza; il mondo si trova oggi di fronte a tentazioni totalitariste simili a quelle del secolo scorso; la democrazia dovrebbe garantire mondi migliori; l’impensabile si fa pensabile; si è giunti alla banalizzazione della crudeltà; bisogna salvare la democrazia nei nostri paesi accantonando l’idea di esportarla con la forza nei paesi del sud; la causa delle torture è la violenza della guerra stessa che deve quindi essere bandita; la guerra fa emergere il male profondo che inabita nelle persone umane invece di esaltare le parti migliori di collaborazione e aiuto reciproco; la favola dell’esportazione della democrazia è stata sbugiardata dalle torture dopo che aveva già perso ogni credibilità con i bombardamenti; dopo Lynndie più niente è come prima, ecc. Ancora, c’è chi afferma che è necessario lasciare l’Iraq per salvare l’occidente e fa un parallelo tra le immagini dei prigionieri torturati con il testo di Primo Levi Se questo è un uomo. L’Italia deve andarsene, deve compiere un gesto d’assunzione di responsabilità. L’Europa ha un compito grave da svolgere nel contrapporsi a qualsiasi tipo di tortura, deve rafforzarsi e riuscire ad essere il germoglio di una politica nuova, basata sulla soluzione concordata dei conflitti, tra l’occidente in declino e le nuove grandi nazioni in ascesa nel Medio ed Estremo Oriente. Anche i media esteri hanno ricalcato i commenti di relativizzazione e di giustificazione o di condanna senza attenuanti. La prossima visita di Berlusconi a G. W. Bush possa essere l’occasione per chiarire definitivamente che l’Italia è fuori da questa guerra, subito! I viaggi di Bush in Europa ed in Italia d’inizio giugno, per festeggiare la liberazione dal nazismo, possano essere un momento di resipiscenza per i torturatori di oggi e di sensibilizzazione verso prospettive più pacifiste. Ho fatto un paragone, nel titolo, con quanto è avvenuto a Melfi e all’Alitalia. Gli operai ed i dipendenti hanno lottato per il riconoscimento dei loro diritti attraverso metodi pacifisti, con lo sciopero, sancito dalla Costituzione stessa. A Melfi è successo qualcosa che non avveniva da tempo, gli operai hanno votato sul prato verde, senza distinzione di appartenenze sindacali o politiche, se abbandonare i picchetti oppure continuare nella lotta. Sia pure con alterne vicende si è giunti ad un accordo soddisfacente per gli operai e per l’azienda stessa. Anche all’Alitalia, per le lotte dei dipendenti, si è giunti all’accordo. Gli operai dovranno ulteriormente approvare con un referendum quanto è stato stabilito. Se per alcuni questo fatto è un ritorno al passato, ad una fase dell’industria che ora è in estinzione di fronte alla delocalizzazione globalizzata delle aziende, per altri e per me, quanto è avvenuto nei due casi è segno di democrazia, che dovrà essere sostenuta ed allargata. Gli operai non hanno voluto bloccare la produzione come tale, ma hanno preteso di gestirla in modo partecipato e convergente. Un auspicio per il futuro sicuramente più incoraggiante che non le torture e la degradazione di persone a bestie sottomesse da alte persone qualificabili non certo come umane. Se non la virtù, almeno la paura di una caduta dei valori e dell’autodistruzione umana possa portare ad una svolta nella gestione della cosa pubblica italiana, europea e mondiale. (12 maggio 2004) Mario Arnoldi |