25 aprile e 1° maggio 2004
La guerra e gli ostaggi
A volte, in situazioni gravi quale l’attuale, mi tornano alla mente, quasi inconsciamente per esorcizzarne la drammaticità, canzonette che hanno accompagnato la mia generazione. Apro il giornale e leggo che / di giusti al mondo non ce n’è, cantava Celentano qualche decennio fa e, dopo aver elencato i guai del suo tempo, aggiungeva forse il giornale è vecchio, ma concludeva poi a malincuore dopo aver verificato la data è di oggi! Jannacci, spesso supportato dalla collaborazione di Dario Fo, in Io e te ricorda dapprima con nostalgia gli entusiasmi degli anni giovanili, quando si facevano progetti a tutto campo e si rifiutavano i consigli delle persone più realistiche e sagge, ma poi conclude con rammarico pensando all’oggi sì ma qui / che l’amore si fa in tre / di lavoro non ce n’è / l’avvenire è un buco nero in fondo al tram! Sono solo canzonette, dice lo stesso Jannacci, ma queste a volte, come i motti di spirito, nella loro semplicità colgono aspetti veri. Nel titolo di oggi ho associato due date che ci ricordano momenti felici. La Liberazione del 25 aprile ’45 dalla guerra e dall’oppressione nazista e fascista è una data storicamente importante, benché si tenti oggi di attenuarne la portata con improbabili equazioni tra chi lottava per la liberazione e chi per mantenere l’oppressione. Mai più guerre s’era detto allora con un giuramento che sembrava dovesse essere eterno e che è stato successivamente suggellato dall’articolo 11 della Costituzione italiana. L’atra data, il 1° maggio, celebra il lavoro che permette alla persona umana di realizzarsi, di vivere dignitosamente e di partecipare attivamente all’attuazione del bene comune. E la stessa Costituzione ha consacrato questo valore con l’articolo primo che dice come l’Italia sia una repubblica democratica basata sul lavoro e con altri articoli, come il 39, che auspicano un’attività sindacale adeguata per permettere dignitose condizioni del lavoro stesso. Queste due ricorrenze, come tante altre, appaiono a volte oggi pura retorica e, con le due parole successive, la guerra e gli ostaggi, ne ho rilevato l’altra faccia oscura. Il giuramento che non si sarebbero fatte mai più guerre, avvenuto il 25 aprile di sessant’anni fa, è stato ripetutamente infranto ed in questo primo scorcio di secolo e di millennio tante nazioni hanno raggiunto il massimo della violenza. Le armi di distruzione di massa, a causa delle quali è esplosa l’ultima grave guerra contro l’Iraq, non sono state rinvenute e chi ha iniziato la guerra è il maggior detentore d’armi di distruzione di massa. Siamo sommersi di violenza e bugie, distruzione e negazione, morti nascoste e gravi ritorsioni per chi eventualmente le rivela! A questo ha portato il 25 aprile dell’Italia, dell’Europa e del mondo? Altre volte mi sono soffermato su queste tristi realtà. Il volto nero del 1° maggio è che il lavoro ha perso le caratteristiche indicate sopra ed è diventato una merce decentrata, delocalizzata, flessibile, precaria, senza previdenze per l’oggi e per il futuro, finalizzata al mercato ed al profitto. Sembra che i giovani, secondo alcuni sondaggi, ne siano meno preoccupati degli adulti, perché sono nati in questa situazione di precarietà e quindi, non avendone conosciute altre, si muovono con una certa serena inevitabilità. Nei giorni scorsi è esplosa in tutta la sua crudezza la realtà del lavoro precario, a livello nazionale ed internazionale, con l’evento tragico del sequestro di quattro italiani, dell’esecuzione di uno di loro e della prolungata detenzione degli altri tre. Quando appariranno queste note spero che i tre ostaggi godano già della libertà dovuta, anche se le situazioni si fanno più complesse di giorno in giorno. S’è parlato di eroi, pensando alle dignitose parole di Fabrizio Quattrocchi nel momento dell’esecuzione, e di mercenari, in riferimento al lavoro oscuro che i quattro italiani, come tante altre migliaia di persone, svolgevano in appoggio alla guerra, cioè la protezione di personaggi importanti, la scorta di convogli nelle zone ostili, la difesa di posizione chiave ed altre mansioni simili. Né eroi, né mercenari hanno commentato gli osservatori più attenti. In una nota particolarmente incisiva e chiara, Giorgio Cremaschi, del direttivo della Fiom, afferma che siamo di fronte a lavoro di guerra, con le caratteristiche negative del lavoro attuale elevate al livello massimo. Si viene spediti in Iraq, come in altre zone di guerra. A morire. Certo, si è ben più pagati di un migrante reclutato per qualche lavoro d’appalto, che si sfracella cadendo da un’impalcatura dopo 12 ore di lavoro. Ma il meccanismo è lo stesso. Ti pagano di più, ma sei sempre una merce. Una merce che serve ad una guerra. Una merce usa e getta come si vuol far diventare tutto il lavoro. Per questo ci sentiamo vicini a questi ostaggi, anche se non avrebbero dovuto essere lì. Perché anch’essi sono vittime della guerra e del liberalismo, della violazione del diritto internazionale e dei popoli e di quello del lavoro. E non è un caso che il nostro governo, sempre a ruota di quello degli Usa, mostri il peggio di sé su tutti questi fronti. Tutto si tiene, anche lo schifo. (www.liberazione.it, 17 aprile ‘04). Faccio mia la conclusione dello stesso Cremaschi. Per questo riportiamoli a casa tutti, senza distinzione tra truppe e appalti. Ora. Sottolineo inoltre la necessità di un’azione sindacale di supporto a queste forme di lavoro che spaziano oltre i confini nazionali. Non è più sufficiente lo sforzo di difesa del lavoro nell’ambito di una nazione o di un continente, dal momento che tante forze, come quelle di cui ci stimo occupando, provengono, agiscono e si spostano dall’Africa, dai paesi dell’Europa, dall’Est, dal sud del mondo. Attività sindacale e politica sia nel locale sia su scala mondiale, quindi. E’ opportuno riportare l’attenzione sulla qualità del lavoro, cioè del lavoratore e della persona umana, piuttosto che sostenere il primato dell’azienda, del mercato e della guerra. Mai come ora si fa attuale una sollecitazione alla collaborazione delle forze antagoniste di tutto il mondo, anticipata con preveggenza già nel secolo scorso durante la prima rivoluzione industriale. Nelle manifestazioni del 25 aprile e del 1° maggio dobbiamo rivendicare anche questi obiettivi. (1 maggio 2004) Mario Arnoldi |