La Moratti e la Gasparri

Due mezzi di diseducazione di massa

Si è tenuta a Roma, ierlaltro, il 28 febbraio, la manifestazione nazionale per la democratizzazione della scuola, contro la riforma Moratti, indetta dai sindacati Confederali, CGIL-CISL-UIL, alla quale segue lo sciopero oggi, 1° marzo, indetto dai COBAS. Alcune delle parole d’ordine così esprimevano ed esprimono oggi gli obiettivi di tanta protesta. Per il ritiro del decreto che cancella il tempo pieno e prolungato, istituisce il tutor e disgrega la scuola dell’infanzia, elementare e media. Per la cancellazione di tutta la controriforma Moratti, che appalta ai privati l’istruzione tecnico–professionale, separa gli studenti dei licei dagli apprendisti dell’avviamento professionale. Contro i protocolli firmati da MIUR e Regioni, che deportano gli studenti dei Tecnici e Professionali nella Formazione professionale regionale. Contro la privatizzazione e la precarizzazione della scuola.

Le manifestazioni del 28 scorso e di oggi sono un punto d’arrivo, e non l’ultimo, di una serie di attività alternative di singoli istituti, città, regioni, di ogni ordine di scuola, dell’infanzia, elementare, media e universitaria, frequentate dalla maggioranza degli studenti, professori, personale della scuola, genitori, cittadini. Un convergere di insoddisfazioni che hanno un fondo comune, la denuncia della scuola al servizio del mercato, e l’articolazione in richieste differenziate secondo il grado di scuola.

Mi soffermerò su due forme di agitazioni, tra le tante, che riguardano l’università e la scuola dell’infanzia.

Martedì 17 febbraio scorso si è svolto uno sciopero generale degli Atenei contro il riordino delle carriere, operato dalla riforma, che condanna i giovani ricercatori alla precarietà a vita e contro altri aspetti ugualmente dannosi alla formazione. Il successo è stato quasi completo nelle maggiori città universitarie come Roma, Torino, Trieste, Firenze, Napoli, Salerno, Cosenza. In prospettiva si profila l’ipotesi di bloccare tutti i rettorati d’Italia. Quindi non solo gli studenti, ma anche gli stessi ricercatori e docenti sono in agitazione, fatto abbastanza inusuale nel nostro ricordo e nel nostro immaginario che vuole spesso gli studenti come unici protestatori. I docenti sono in agitazione contro il disegno di legge delega del 16 gennaio scorso, ne denunciano i punti più penalizzanti, come l’esaurimento del ruolo dei ricercatori ed il restringimento del numero dei docenti. I precari dell’Università, dottorandi, assegnisti, docenti a contratto, ricercatori senza status, che garantiscono buona parte del lavoro didattico, organizzatisi nella Rete nazionale ricercatori precari (www.ricercatoriprecari.org), affermano: la legge delega chiude ai giovani l’accesso ai ruoli, cancella il diritto allo studio e impone un’università pubblica povera e debole. Contro l’attuale sistema basato sull’utilizzo massiccio del lavoro gratuito o sottopagato chiediamo una carta dei diritti e la garanzia di un reclutamento attraverso concorsi ciclici. Combattiamo la mercificazione dei saperi, il dilagare dei brevetti e l’ingerenza dei privati nell’università. A queste richieste specifiche se ne aggiungono altre, per esempio contro i tagli alla ricerca, che perpetuano la perenne fuga delle menti migliori all’estero.

Una seconda situazione ancor più dolorosa, senza nulla togliere alla precedente, è quella che riguarda la fascia più piccola di studenti, cioè l’infanzia, per la quale l’istruzione è contestualizzata nell’affacciarsi per la prima volta al mondo esterno. Consiglio a questo proposito il bell’articolo di Assunta Sarlo, apparso sul n. 7, 2004, di Diario, diretto da Enrico Deaglio, nel quale si parla di una visita agli asili di Reggio Emilia, tra i migliori, per vedere l’effetto che fa la riforma Moratti. Si tratta in particolare dell’asilo Diana, forse atipico perché sperimentale, direbbero alcuni, per dedurne principi generali, ma al contrario particolarmente significativo perché ci suggerisce come dovrebbe essere una vera scuola per l’infanzia. Il Diana, come molti altri della zona, è caratterizzato dall’interdisciplinarietà e dalla partecipazione allargata di bambini e bambine, maestre e maestri, genitori ed altre figure presenti nella scuola, e gli elaborati, prodotti dalla collaborazione di tutti i soggetti che affiancano i bambini, sono esposti, senza nulla di decorativo e superfluo, sulle mensole semplici del grande ambiente.

Si capisce quanto lontano si va dalla scuola Moratti che parla di competenze che il bambino/ragazzo si porta dietro per tutta la carriera scolastica, che, invece di privilegiare il gruppo che apprende, spezzetta la scuola in tanti modelli organizzativi che le famiglie scelgono à la carte, che al posto della pluralità delle maestre introduce la figura del tutor, che anticipa gli ingressi, ecc.

Il modello che è proposto è chiarissimo, sempre più abilità, sempre più competenza, per la scuola dell’infanzia è un vero problema, ci chiedono di accogliere bambini più piccoli, ma allo stesso tempo vogliono disciplinarietà. E poi c’è l’opzionalità, i genitori possono scegliere se anticipare gli ingressi, ma questo non tiene conto della natura della scuola dell’infanzia. Si insiste sempre più sulla performance, invece che sulla formazione del pensiero. Conclude l’autrice della visita e dell’articolo: una esce dall’asilo Diana pensando due cose: che le sarebbe piaciuto avere sotto casa un asilo simile e che il sapere è una cosa un po’ più grande e più complicata di tre semplici i, inglese, internet e impresa.

Nelle medie superiori, negli anni trascorsi, anche prima dell’attuale governo, le sperimentazioni, che avrebbero dovuto dare suggerimenti alla riforma nel senso di una maggiore formazione critica, accanto a quella professionale, hanno avuto fine analoga.

Un ultimo pensiero sulla legge Gasparri, che spero di poter sviluppare ulteriormente in seguito. Una legge che induce al pensiero massificato e passivizzato, che fa da copertura agli interessi del mercato unico, a chi già possiede ed impoverisce chi ha solo di che sopravvivere. Una legge che non deve far pensare e per questo induce lo scadimento delle programmazioni dei massmedia, che costituiscono la grande scuola permanente popolare. Con un salvataggio in extremis di Rete 4 e della pubblicità di Rai 3, dopo che il Presidente della Repubblica ha rimandato alle camere la legge stessa per incostituzionalità di alcune sue parti, presto questa sarà ripresentata con poche e risibili modifiche al Presidente che la dovrà finalmente firmare. E così si perpetua la terra bruciata che l’economia attuale, che ha sostituito la politica del bene comune, ed il pensiero che la accompagna e la giustifica, compiono quotidianamente.

Dalla voce dei movimenti, più che da quella delle istituzioni, nasce la speranza di creare crepe in questo mondo, per poterlo gestire in modo diverso e partecipato.

(1 marzo 2004)

Mario Arnoldi