La politica perduta
III parte - La politica del futuro e la nonviolenza
Marco Revelli, nella relazione della quale ho riferito nei due precedenti appunti di viaggio, ha ripercorso i temi del suo ultimo libro La politica perduta in sintesi ampie ed efficaci. E’ seguito un intenso dibattito che cercherò di esporre soprattutto in quelle parti che riguardano la nonviolenza di cui tanto si discute a proposito dei movimenti, cioè dei principali portatori della politica nuova. Riferirò ancora in forma diretta. Domanda. La nonviolenza è una realtà spinosa da affrontare, quando si parla di politica nuova, riferendosi ai movimenti ed al popolo delle formiche. Di fronte alla violenza del sistema oggi imperante ed alla guerra, come ci si può contrapporre in modo nonviolento? Quali mezzi si debbono scegliere per raggiungere il fine di un mondo diverso e migliore? Revelli. Il nodo del problema credo sia nel rapporto tra mezzi e fini. Intorno a questo nesso ruotano le soluzioni che i movimenti sono chiamati a dare sia nei tempi brevi sia sui tempi lunghi delle soluzioni strategiche. Mezzi e fini e questione del conflitto sono elementi fondanti del nostro orizzonte politico. Il conflitto distruttivo è qualcosa che non possiamo più permetterci. Non ho dubbi su questo. Il conflitto inteso come scontro di forze, di potenze armate, che tende a distruggere l’avversario, esce dall’orizzonte che s’identifica con le ragioni del genere umano, dalla prospettiva di chi non intende il proprio interesse personale ma l’interesse per la specie. I mezzi che utilizziamo non possono entrare in conflitto con la natura dei fini che ci proponiamo. Se il fine è quello della sopravvivenza di un’umanità pacificata, il mezzo non può essere l’uso della violenza come pura tecnica di trasformazione delle cose. Il movimento, da Seattle, Genova, Firenze sino ai giorni nostri, deve assumere il metodo della nonviolenza senza se e senza ma. Questo non significa passare ad una posizione di conciliazione con l’oppressore, non è rinuncia all’antagonismo ed alla contrapposizione con chi é ostile verso la sopravvivenza della realtà. La nonviolenza ha delle tecniche particolari, anche più efficaci di quelle che sono state tradizionalmente praticate dal movimento operaio. Essa ha uno straordinario vantaggio sulle altre forme, infatti impone a chi la impiega un forte controllo su se stesso e una forte determinazione nelle cose che si fanno. E’ molto più facile farsi prendere da un momento d’ira e lanciare le pietre che mettere in atto una vera azione nonviolenta che espone a rischi e sofferenze da parte di chi vuole sopraffare. Significa un di più di consapevolezza, di controllo su se stessi, di solidarietà con gli altri e, come si accennava poc’anzi, è più compatibile con il fine che ci siamo proposti. Oggi la riflessione non può essere solo analisi della situazione, stesura di un programma e indicazione dei fini. Il nuovo paradigma non può che mettere al bando l’uso della forza e della violenza di tecniche che producono la distruzione dell’avversario e dell’ambiente. L’elemento della distruzione creatrice, tipico della modernità e del modello capitalistico, soprattutto nella fase attuale neoliberista, è un atteggiamento che chi si batte per la sopravvivenza del pianeta non si può più permettere ed in questo sta il salto qualitativo col passato. Domanda. Un modello di questo comportamento può provenire dalle lotte delle donne, dalla nonviolenza femminista, che si batte per costruire rapporti con gli altri per tendere al fine proposto. Purtroppo tuttavia il contributo delle donne poi scompare nel momento decisionale, dove prevale ancora il modello maschile dell’organizzazione politica ed una forte discriminazione di genere. Revelli. E’ verissimo. Se un nuovo paradigma della politica nasce o sta nascendo ha un debito forte col movimento delle donne. E’ il primo movimento, forse l’unico, che, senza nessun livello di violenza neppure minimo, ha determinato una trasformazione profondissima delle persone ed ha messo al centro del proprio discorso e dei propri obiettivi il problema della relazione. Quindi il debito è fortissimo, ma anche la responsabilità in prospettiva è grande. E’ necessario che l’esperienza delle donne apprenda a raccontarsi in un linguaggio che possa essere recepito dai nuovi movimenti, che non rimanga patrimonio esclusivo di un movimento di genere. Domanda. Dobbiamo essere pessimisti od ottimisti di fronte alla situazione attuale, sia locale che mondiale, tanto precaria e intessuta di violenza, sia pure attenuata dalla speranza degli spunti nuovi dei movimenti? Revelli. I due atteggiamenti del pessimismo e dell’ottimismo non sono incompatibili. Da un lato c’è un giudizio pessimistico sullo stato delle istituzioni nazionali ed internazionali. La democrazia rappresentativa si sta estenuando, sta cambiando di segno. Lo vediamo nella trasformazione mediatica della politica tradizionale, nello spettacolo desolante dei leaders politici delle grandi nazioni, Stati Uniti, Gran Bretagna, i quali rappresentano una scena che non è la loro, infatti le grandi decisioni sono prese altrove, nei circoli economici, nelle transnazionali, nei poteri nuovi non elettivi. Nel nostro paese l’altrove dove si prendono le decisioni è insediato nello stesso premier politico che gioca come un attore il doppio potere, economico e politico. Ma sempre di crisi di rappresentanza e di partecipazione si deve parlare. D’altro lato molte persone riprendono l’iniziativa e fanno domanda di partecipazione e di ripresa di spazio nei propri territori, soprattutto a livello municipale, secondo il modello della democrazia partecipativa di Porto Alegre. E questo è motivo d’ottimismo. Non si può chiedere a questi movimenti soluzioni organizzative di programma globale, ma forme di azione diretta ed alternative di consumo e di produzione. Non ha senso parlare di un partito dei movimenti o del volontariato od ecologista. Ha più senso immaginare forme di azione trasversale per gestire i propri bisogni fondamentali e per scegliere cosa e come e quanto consumare, quali forme di energia utilizzare, quali relazioni nuove intessere tra noi. Il dibattito quella sera non è terminato qui. Ma io mi fermo, poiché le ulteriori applicazioni dei principi esposti saranno riprese volta per volta nei prossimi appunti. (3. fine). (1 febbraio 2004) Mario Arnoldi |