Stragi a Baghdad e Gerusalemme

L’effetto boomerang

La guerra in Iraq, e le guerre in generale dell’ultimo decennio, si presentano non tanto come guerre coloniali o imperialiste vecchia maniera, e neppure come "golpe dell’impero", quanto piuttosto "come guerre dove il fattore temporale ha il primato sul fattore spaziale. Le guerre tendono al controllo militare di aree territoriali solo per l’arco di tempo in cui esse risultano strategiche per i pozzi di petrolio, per il controllo delle vie energetiche e dei movimenti della forza lavoro, per la dislocazione sociale delle contraddizioni proprie del processo di valorizzazione del capitale su scala mondiale, per il rafforzamento delle alleanze a geometria estremamente variabile nella zona, ecc." Più avanti: "Fin dall’inizio degli anni Novanta la guerra è combattuta just in time, è cioè una guerra leggera, non per questo meno devastante, che ha lo scopo di sfruttare il territorio dove serve e solo nell’arco temporale in cui è utilizzabile: deve essere quindi dotata di caratteristiche di grossa mobilità e velocità di spostamento, l’esatto contrario dei pesanti apparati di occupazione. Le aree coinvolte vengono poi date in subappalto ai potentati locali, tradizionali e/o religiosi, affinché garantiscano l’ordine di tutto ciò che non rientra nel business strategico che ha motivato l’intervento." (DeriveApprodi, n.23, giugno 2003, p. 2- 3).

Il brano riportato fa un’analisi efficace della situazione delle guerre degli ultimi dieci anni, non solo per la chiarezza teorica del discorso, ma anche per l’indicazione degli effetti pratici delle guerre sui paesi sconfitti, ai quali gli USA concedono la gestione del potere, riservandosi semmai per un breve periodo il controllo militare per effettuare i contratti delle materie prime cui aspirano. C’è un filo di continuità da questo punto di vista tra la prima guerra del Golfo e le "operazioni" in Kosovo e Afghanistan.

L’attentato di Baghdad, 25 vittime, di martedì 19 agosto, e quello di Gerusalemme, 21 vittime tra le quali molti bambini, che ci hanno risvegliato dal relax delle vacanze in modo brusco, sono da leggere nella stessa linea. In Iraq, dopo la guerra di USA e Gran Bretagna per il petrolio, sunniti, sciiti e curdi si combattono per la gestione del potere senza trovare un punto di incontro e quindi gettano il paese nell’instabilità e nell’insicurezza. In Israele, dove gli Usa hanno interessi che riguardano le risorse, come l’acqua del Giordano, e la situazione strategica di baluardo contro l’Oriente, le due parti contendenti non trovano punti d’accordo e la road map, come tutti gli accordi di pace precedenti, rimangono pure aspirazioni sempre smentite.

Ma c’è un fatto nuovo, l’effetto boomerang verso USA e Gran Bretagna stesse, che l’editoriale della rivista DeriveApprodi non aveva ancora previsto e che con gli attentati di Baghdad e Gerusalemme, seguiti ogni giorno da altri attentati di portata minore ma pur sempre devastanti, è emerso in modo chiaro. I popoli vinti come in Iraq od espulsi come in Palestina, non solo si scontrano tra loro per la conquista del potere, ma si oppongono con le loro azioni terroristiche contro i vincitori stessi, ritenuti la causa dei loro disagi nuovi. Le guerre di potere e d’interesse non portano certo democrazia nei paesi vinti, ma povertà, oppressione, rancore, ritorsione, uso di strumenti impropri ma eguali a quelli usati dai vincitori. Si può comprendere, anche se non giustificare, che ad un bombardamento operato senza motivazione e senza avallo di nessun paese terzo, ed alla distruzione delle strutture di uno stato senza cause vere, si contrappongano atti di terrorismo dettati dalla ribellione, dalla rabbia e dalla disperazione, uniche armi rimaste in mano ai vinti. L’attentato di Baghdad si è riversato sul quartier generale dell’ONU ed ha ucciso uno dei suoi rappresentati più significativi ed efficaci. Il torto dell’ONU è stato di non aver avuto la forza di contrapporsi alla guerra e "di aver appena cancellato l’embargo e fatto del petrolio iracheno vietato un petrolio americano permesso". (Roberto Zanini, 20.08.03).

In Palestina la realtà è più antica e complessa, ma, a grandi linee, ci troviamo di fronte allo stesso scenario. I due contendenti si combattono da 150 anni, cioè da quando Sir Moses Montefiore, nel 1855, acquistò in modo ambiguo se non fraudolento il primo pezzo di terra palestinese dai latifondisti locali spesso assenti. I Palestinesi, che pensavano di vivere sul proprio territorio all’interno dell’impero Ottomano periferico, dalla sera al mattino si trovarono espropriati dalla terra, casa, lavoro, ecc. Da allora cominciò la dilacerante storia, con diverse variazioni sul tema nel corso del tempo, della contesa della terra palestinese tra sionisti, soggetti ben diversi dagli ebrei maggioritari, e palestinesi espulsi. In Palestina la latitanza degli USA e dell’ONU va ad acuire il contrasto dei contendenti, ed anche lì l’assenza si ritorce contro gli Stati Uniti stessi che mantengono aperta quella posizione di conflitto perché funzionale alla propria politica internazionale. In questo clima è da interpretare l’attentato a Gerusalemme, il più grave tra i tanti, contro gli Israeliani occupanti e indirettamente contro Bush che li sostiene più o meno tacitamente.

Ho letto e sentito il 25 agosto dai mezzi di informazione che la popolarità di Bush è scesa al 44%. Quella di Tony Blair è già compromessa da qualche tempo per le motivazioni inconsistenti della guerra e per le gravi relative conseguenze. Non ho mai gioito per le ascese e le cadute delle persone, però per le cadute o le riforme dei governi dittatoriali sì. Non m’illudo sui tempi delle trasformazioni delle amministrazioni che fanno della guerra il mezzo per dirimere i conflitti creando gli effetti boomerang del terrorismo e delle stragi dei kamikaze. Penso tuttavia ai morti delle guerre ingiuste e dei controattentati, soprattutto ai bambini ed alle donne, agli invalidi delle bombe, delle mine antipersona, alla distruzione delle infrastrutture dei paesi colpiti, penso ai movimenti antagonisti che tanto avevano lottato contro la guerra e che sono in parte riassorbiti dal riflusso dopo lo scatenarsi del conflitto e spero che a poco a poco l’effetto boomerang possa convincere i paesi guerrafondai ad assumere altre metodologie di potere più giuste.

(1 settembre 2003)

Mario Arnoldi