Mondi che s’incontrano
Quello che durante l’inverno non si trova il tempo di dire
Quale rapporto può esserci tra due film, il primo, Film Rosso, fratellanza, uscito dieci anni fa, di Kieslowski, polacco, con una carriera lunga ed encomiabile di regista, e l’altro prodotto lo scorso anno, La Finestra di Fronte, del turco Ferzan Ozpetek, considerato bello ma non eccezionale, che segue ad un solo suo film di cui s’è parlato, Giona che visse nel ventre della balena? Tralasciando la teoria delle analogie allargate d’inizio novecento, pur apprezzabile, penso si possa dire che i punti di contatto tra le due pellicole siano molti. In Film Rosso l’azione fa perno sul rapporto stabilitosi occasionalmente tra Valentine, un’ottima Irène Jacob, ed uno scorbutico giudice in pensione, un’eccezionale Jean-Louis Trintignant, che perversamente spia le telefonate dei suoi vicini, ma che, intravista nella ragazza e nel suo generoso impegno verso il prossimo, un’occasione di uscire dal tunnel della sua misantropia, si autodenuncia. Al di là del suo splendore figurativo, del fascino sonoro e dell’eccellente interpretazione dei due protagonisti, il film ha la qualità della leggerezza anche nella dialettica tra caso e necessità. E’ un ottimo esempio di cinema antiautoritario che lascia libero lo spettatore nella lettura e nell’interpretazione di un testo intessuto di rime interne, coincidenze, ripetizioni, rimandi simbolici (vedi kataweb cinema). La casualità che si contende il campo con la storia principale è data dall’incidente iniziale in cui Valentine investe con la sua auto un cane, trova nome e indirizzo del suo proprietario inciso sul collare, lo porta al pronto soccorso per una prima medicazione, rintraccia la casa del padrone, il giudice scontroso e, con gran meraviglia, trovata la porta aperta, passo dopo passo entra nel "sancta sanctorum" dove il protagonista ha le pareti della stanza coperte di sofisticare apparecchiature per intercettare le telefonate degli abitanti del palazzo dei quali sa evidentemente ogni dettaglio della loro storia. Valentine rimane stupefatta e attratta da quell’ambiente, chiede "cos’è", "perché", quando capisce accusa il giudice di disonestà, ritorna a trovarlo perché è attratta dall’uomo e dalla strana storia che dev’esserci dietro quell’atteggiamento inconsueto. I dialoghi hanno un’attrazione magica sia per la bravura degli attori, sia per la suspence che la storia comporta. Dialoghi che continuano con una certa periodicità, perché Valentine non riesce a non tornare a parlare con quel personaggio misterioso ed attraente. Ho visto più volte quel film, accompagnato da amici diversi, lunghe discussioni, chi coglieva un aspetto, chi un altro, ho scritto molte pagine di commento, ho acquistato il testo della sceneggiatura e quei dialoghi tra il vecchio distrutto dalla vita e ricostruito dalla giovinezza e dalla grazia di Valentine - Jacob rimangono impressi nella mia commozione di sempre. Nel secondo film, La Finestra di fronte, l’inizio è ugualmente affidato al caso. Un giorno Giovanna (Giovanna Mezzogiorno) e Filippo, giovane coppia, incontrano per strada un signore molto anziano e distinto (Massimo Girotti) che ha perso la memoria, non sa più chi è né da dove venga e chiede loro aiuto. Giovanna dapprima è perplessa più di Filippo ad occuparsi di quel signore, a portarlo a casa, soprattutto a causa dei due figli ancora piccoli che non avrebbero compreso il senso della nuova presenza e si sarebbero sentiti trascurati dall’attenzione dei genitori. Di fatto sarà poi Giovanna ad interessarsi del vecchio e comincia a stabilire un dialogo con lui. A poco a poco emergerà dall’animo profondo dell’anziano signore che la smemoratezza, accompagnata da una grave depressione con improvvise crisi deliranti, è la rimozione di un grave senso di colpa, insopportabile e dilacerante, di qualcosa che è successo molti anni prima, la notte del 16 ottobre 1943, quando i nazisti rastrellarono gli ebrei romani e li portarono nei campi di concentramento. Il vecchio, che si saprà dopo chiamarsi Davide, all’arrivo dei nazisti s’ era trovato di fronte ad una dilacerante alternativa, quella di segnalare a tutti gli ebrei del ghetto l’arrivo dei nazisti, oppure di salvare, preavvisandolo per primo, Michele, il grande amore della sua vita. Informò per primi gli altri ebrei ed il compagno Michele non si salvò. Il dolore atroce per quella perdita d’amore lo portò a rimuovere e dimenticare tutto della sua vita e l’unico nome che pronunciava ogni tanto era appunto Michele. Le due circostanze, di ebreo ed omosessuale, danno al personaggio la valenza doppia di perseguitato. Il dialogo con la giovane donna, il fine parallelismo tra la storia della stessa Giovanna e di Filippo, dapprima in crisi e poi rianimatasi, la parentesi affettiva con Lorenzo della finestra di fronte - che dà il titolo al film cogliendone solo un aspetto periferico - la comune passione della giovane protagonista e del vecchio per le torte e la pasticceria diventano nel film, saggiamente dosati, gli elementi stessi del dialogo fatto non tanto di parole quanto piuttosto di consonanze e di stimoli fortissimi e permetteranno di togliere quella cappa della rimozione di Davide ed a portarlo ad una vita di normali relazioni. Ancora una volta, come nel film precedente, è il dono del sentire femminile che ha la capacità taumaturgica di far elaborare i traumi antichi, non certo cancellandoli, e riportare ad una vita di attiva accettazione i personaggi che hanno vissuto e sofferto – portatori del dolore della storia – restituendoli al dono dell’amore che il dolore aveva tolto loro. Ed allo stesso tempo chi salva è salvato. Sia Valentine e soprattutto Giovanna ritrovano se stesse, uscendo dalle loro giovani crisi e ritrovano l’amore coi loro compagni. Dopo le interminabili discussioni sui film indicati, un’amica del gruppo m’incalzava con l’interrogativo: "Vorrai forse attribuire alla donna la funzione di lenire le sofferenze storiche degli uomini, camuffando il solito maschilismo? Chi allora allevia il dolore delle donne che nel corso del tempo hanno sofferto quanto o più degli uomini?". Ma subito aggiungeva con autoironia, rivolgendosi a se stessa: "Simbolizza, simbolizza!". Se in prima battuta si tratta di donne che leniscono il dolore degli uomini che hanno vissuto a lungo, nella sostanza più profonda i film parlano, data anche la caratura dei registi, di "funzioni". La funzione di lenire il dolore umano è della donne come dell’uomo, così come la triste eredità di soffrire nella vita è della donna come dell’uomo. Sono reciprocità tra persone umane, tra differenze di genere non fissate nelle loro maschere da commedia dell’arte. Sono entrambi esseri viventi della tragedia della vita e, come tali, chiamati alla fratellanza che fa rinascere. (15 agosto 2003) Mario Arnoldi |