Referendum senza quorum
Nuovi percorsi per gli obiettivi della difesa dei diritti
Indico brevemente i risultati dei referendum ormai noti a tutti. Percentuale dei votanti: 25,7%, quorum mancato. Articolo 18: SI 87,3% (voti 10.322.598); NO 12,7% (voti 1.517.043). Elettrodotti: SI 86,3% (voti 10.195.606); NO 13,7% (voti 1.648.142). I promotori dei referendum hanno chiaramente sottolineato la sconfitta senza cedere a scoramenti particolari, che sarebbero stati speculari al giubilo enfatizzato dei vincitori, cioè di coloro che si erano espressi contro i referendum stessi o in favore dell’astensione. Non s’è persa infatti una guerra, ma solo una battaglia ed il problema di fondo è continuare la lotta per i diritti. Il Partito di Rifondazione Comunista (PRC) e Bertinotti, tra i promotori del primo referendum, riconoscono la sconfitta ed affermano che "non siamo riusciti a far diventare senso comune la fondatezza e l’importanza della difesa e dell’estensione dei diritti dei lavoratori, a trasformare il quesito in strumento per un pronunciamento generale contro il governo Berlusconi e le sue politiche neoliberiste". E pensano ad un futuro confronto con l’Ulivo portando la domanda di unità dei movimenti. Ci sono motivazioni esterne, come il quasi totale oscuramento mediatico e la convergenza politica di parte della sinistra sull’astensionismo, ma la sconfitta in ogni caso è netta. La GCIL, che si è associata al SI dopo una lunga riflessione, si pone il problema di come far pesare i 10 milioni e mezzo di SI nel futuro dell’alleanza di sinistra. Perciò pensa di poter trovare appoggio nei partiti che hanno sostenuto il referendum per allargare il tavolo del centrosinistra prossimo venturo anche ai movimenti. In un’intervista lasciata a Loris Campetti, Tom Benetollo, presidente dell’ARCI, che ugualmente ha aderito al SI, afferma che le persone che hanno combattuto la battaglia per l’articolo 18 hanno il merito di aver tenuto aperto il confronto sui diritti. "Abbiamo fatto discutere centinaia di migliaia di persone e questo è il sale della democrazia. Io penso, aggiunge, che chi ha scelto l’astensionismo, rivendicando il suo impegno a continuare la battaglia per i diritti con altri mezzi, possa incontrarsi con chi si è battuto per il SI. Troviamo il modo per riprendere un cammino comune mettendo al centro i diritti del lavoro. L’Arci è a disposizione, fuor di polemiche, recriminazioni e discriminazioni. Ripartiamo dagli oltre 10 milioni di SI". Paolo Cagna Ninchi, presidente del Comitato per il SI, è più perplesso sulle prospettive. "Adesso che il governo ha rimosso l’ostacolo del referendum, come faranno a fermarlo quelli che a sinistra hanno partecipato di buon grado all’ammucchiata astensionista? Noi ci abbiamo provato e non ci siamo riusciti. Adesso tocca a quelli più bravi di noi. Ci provino Fassino e Cofferati a fermare la riforma Biagi e l’ 848 bis. Il Patto per l’Italia, che comprende l’ 848 bis che toglie l’ articolo 18 a chi ce l’ha, la CGIL non l’ha firmato. Contro la riforma Biagi ha già dichiarato uno sciopero. La CGIL è sotto attacco da un pezzo, non da oggi. Anche per lei 10 milioni abbondanti di SI sono un patrimonio da utilizzare". Uno studio dell’Istituto Cattaneo, oltre ad altre riflessioni, rileva che l’incidenza dei SI nel centrosinistra è stata maggiore laddove c’è maggior precariato sul lavoro, nelle aree economicamente più arretrate e a più elevata disoccupazione. In queste zone, secondo l’Istituto citato, il referendum è stato percepito come un mezzo per l’uscita dalla precarietà e per il rafforzamento delle garanzie del lavoro. Tanto che la penetrazione del SI nell’elettorato di centrosinistra presenta livelli minimi in situazioni di forza della sinistra e dell’economia. Ho ascoltato parole accalorate da un rappresentante dei lavoratori. "Siamo ormai arrivati alla totale precarietà del lavoro, stiamo attivandoci per far conoscere nel dettaglio ai lavoratori la nuova organizzazione del lavoro, incontreremo rappresentanti di forze sindacali e politiche per cercare di varare iniziative comuni a favore dei diritti dei lavoratori, che sono contrari ad ogni forma d’ulteriore precarizzazione del lavoro e si opporranno alla legge delega in ogni sede. Ne va dei diritti e della dignità di milioni di italiani. Preoccupazioni sono diffuse per come si evolveranno pratiche come quella del "job sharing", del "job on call", ma anche la possibilità del vaucer per il lavoro. Inoltre si temono effetti negativi dall’aumento di flessibilità per contratti già esistenti come il part time, con l’Italia che diventa il Paese più flessibile d’Europa". Concludo con parole di speranza, anche se sui tempi lunghi. "Ripartiamo da 11 milioni di SI". Sottolineando soprattutto, per combatterlo, quale sia il vero oscuramento d’informazione che attanaglia l’Italia. Si occulta quale sia la causa prima della precarizzazione del lavoro, cioè la mobilità imposta dalle grandi multinazionali che guidano l’economia del mondo, per poter realizzare il più possibile la produzione decentrata a livello nazionale, europeo e mondiale, al fine di raggiungere i maggiori mercati e profitti possibili. Si occulta cosa significhi esistenzialmente la precarietà del lavoro, cioè una situazione che induce una corrispondente precarietà nell’impostazione della propria vita, impedendo la possibilità di progettare lavoro, famiglia, tempo libero ed ogni altro aspetto della vita umana. Si occulta la grande piaga della probabile instabilità, per molti, dell’ultima parte della vita, quando il corpo è meno forte ed ha bisogno di maggiori soccorsi e lo spirito, che si fa più acuto, non ha più la capacità di realizzare in autonomia pratiche di vita per sé e per gli altri. In altre parole si occulta il rischio che si perda la pensione e che la vecchiaia sfoci, per molti, in una miseria pesante, dopo una povertà già subita nelle età precedenti. Mi fanno sorridere i sociologi e gli psicologi che sentenziano sui giovani d’oggi che non escono da casa se non in età superadulta! Non si chiedono il perché? Forse non rientra nella loro specificità! Analoghi discorsi hanno fatto gli ambientalisti sul secondo referendum. Si chiude una strada, se ne aprono altre per ottenere un mondo più vivibile. Molti italiani sembrano tuttavia contenti. Aspettano sempre il peggio per accorgersi che i germi della dissoluzione erano già presenti da tempo. Poco meno di un secolo fa tanti italiani erano contenti, dicevano che, in fin dei conti, se non ci fosse stata la guerra al seguito della Germania, le cose non sarebbero finite poi così male. I treni infatti arrivavano e partivano in orario! Oggi il lavoro è precario, ma una TV spazzatura che ti allieta la vita la trovi sempre! (25 giugno 2003) Mario Arnoldi |