I diritti negati secondo Amnesty
"Mentre scrivo questo messaggio, nella mia mente è vivo il ricordo di Claudine, una bambina di sei anni che ebbi modo di conoscere durante una visita in Burundi. Era l'unica sopravvissuta di un massacro compiuto dall'esercito del Burundi, in cui, una decina di giorni prima del mio arrivo, erano state brutalmente uccise più di 170 persone. Claudine non ricordava il suo cognome, ma aveva davanti agli occhi i dolorosi, vividi dettagli del modo in cui il nonno, i genitori, le sorelle e il fratellino erano stati trafitti a morte con una baionetta. Claudine ha descritto il modo in cui lei stessa era stata ferita pur riuscendo a fuggire sgusciando carponi tra le gambe dei soldati. Quando sollevai il suo caso davanti al Presidente del Burundi, egli mi disse che l'esercito combatteva da dieci anni una guerra civile per rendere più sicuro il Paese dai ‘ribelli’. La sicurezza di Claudine pareva così non far parte della più ampia strategia sulla sicurezza nazionale". (Dalla Prefazione di Irene Khan, segretaria generale di Amnesty International) La mattina di giovedì 29 maggio u.s., Rai3 intervistava, durante i servizi del TG, Marco Bertotto, presidente della sezione italiana di Amnesty, che la sera prima aveva presentato, insieme con altri collaboratori, il Rapporto Annuale 2003 dell’associazione. Egli affermava che oggi il mondo, e gli Stati Uniti stessi, hanno paura non tanto del terrorismo dilagante e della guerra, quanto piuttosto per la progressiva negazione dei diritti umani viene attuata con la falsa motivazione della lotta al terrorismo stesso. Sono spinto a pensare che entrambe le motivazioni della paura sono valide, ma mi sembra giusto che Amnesty insista sui diritti negati e sui loro tristi effetti sulla persona e sulle comunità umane, dal momento che se ne parla così poco. Le violazioni dei diritti sono avvenute nell’anno scorso in 151 paesi. I numeri della violenza sono i 42 stati che hanno eseguito esecuzioni extragiudiziali, i 33 paesi in cui sono accertati casi di persone scomparse, i 106 da cui vengono segnalazioni di maltrattamenti o torture da parte delle forze di sicurezza, della polizia o di altre autorità, i 35 in cui ci sono prigionieri di coscienza, i 54 in cui si eseguono arresti arbitrari e detenzioni senza accusa né processo e i 28 in cui lo stato uccide, Cina, Iran e Stati Uniti stessi. I luoghi drammatici della negazione dei diritti sono purtroppo disseminati in tutti i continenti del nord e del sud del mondo. Mi soffermo sui due casi più recenti e drammatici. Durante la presentazione del Rapporto, Bertotto, appena tornato da Baghdad, raccontava che in Iraq regnano il caos e l’anarchia. I governi americano e britannico, che hanno sostenuto la necessità di colpire Saddam Hussein per le sue presunte, e a tutt’oggi mai trovate, armi di distruzione di massa, sembrano essersi dimenticati le loro dichiarazioni solenni. Affermavano, prima della guerra, di voler liberare l’Iraq per farne un faro di democrazia per tutto il Medioriente. Oggi, denunciava Bertotto, sono troppo impegnati ad accaparrarsi i pozzi petroliferi e a stipulare contratti miliardari per la ricostruzione. In Afghanistan la situazione è analoga, affermava Luca Lo Presti, sempre durante la presentazione del Rapporto. Lo stato delle donne rimane pessima: se è leggermente migliorata sulla carta, perché il governo di Hamid Garzai ha cancellato la legislazione degradante dei taleban, sul terreno le donne continuano ad essere discriminate: non hanno diritti sociali, non possono lavorare nei bazar, spesso non riescono a godere di cure mediche, tanto che muoiono di parto. La liberazione dell’Afghanista è solo virtuale: non solo i burqa continuano a imperare, ma ci sono stati casi di donne sfigurate a vita con l’acido, perché giravano in pose troppo "discinte". Peggiore che a Kabul è la situazione delle regioni periferiche. Qui regnano infatti i signori della guerra, con cui gli Stati Uniti hanno stretto e continuano a stringere alleanze, senza preoccuparsi minimamente della loro attitudine rispetto ai diritti umani. (vedi: Amnesty I., Rapporto Annuale 2003, ECP; www.amnesty.it; il manifesto, 29 maggio 2003) L’Afghanistan è ancora lì, come lo abbiamo lasciato. A ricordarcelo è un volume pubblicato dalle Donne in Nero, dal titolo Afghanistan nel cuore, illustrato a colori, di 64 pagine, Prezzo: 28 Euro. Raccoglie un centinaio di fotografie scattate da Mauro Sioli dell’agenzia Emblema, che tra novembre 2001 e marzo 2003 si è recato più volte in Afghanistan trascorrendovi diversi mesi. Francesca Flumeri e Ivana Stefani, che hanno preso parte alle delegazioni delle Donne in Nero, hanno contribuito con alcune loro fotografie. Il volume è frutto di un lavoro collettivo che ha visto la collaborazione volontaria di un gruppo di persone, alcune delle quali si sono conosciute proprio a Kabul. Riflette un po’ le loro emozioni e l’intenzione di continuare a coltivarle, ma soprattutto vuole onorare l’impegno contratto con le donne afghane incontrate in questi anni: continuare a far conoscere in Italia il loro lavoro umanitario e sociale e continuare a sostenerle. I ricavi delle vendite del volume saranno infatti integralmente devoluti alla campagna Nafas, promossa dalle Donne in Nero a favore di RAWA (Revolutionary Association of Women of Afghanistan) e HAWCA (Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan), due associazioni di donne da anni impegnate, con progetti di alfabetizzazione, sanitari e di microcredito, a fianco di altre donne, dei bambini e dei rifugiati afghani. Le immagini sono organizzate in cinque sezioni (situazione del paese, guerra afghana, donne e bambini, profughi, tradizioni) precedute da brevi introduzioni e corredate di didascalie. Il volume contiene inoltre due brevi schede che illustrano l’attività di RAWA e HAWCA; un’introduzione di Luisa Morgantini, europarlamentare e Donna in Nero; un intervento di Giuliana Sgrena, giornalista del "Manifesto", sulla condizione della donna in Afghanistan; un intervento di Barbara Laveggio, presidente dell’Istituto per la Cooperazione allo Sviluppo di Alessandria ed ex coordinatrice della Campagna contro le mine antipersona, sulla diffusione e sui devastanti effetti di queste micidiali armi. (Richiedere il volume a Laura Quagliuolo, e-mail: lauqua@tin.it, tel. 02-2828278 o all’ "Istituto per la Cooperazione allo Sviluppo, Alessandria", e-mail: icsal@tin.it, tel. O131-232640). Pur associandomi al pessimismo della ragione di Altan, penso che la lotta personale, dei movimenti, della società civile, accanto a quella delle istituzioni, laddove felicemente si realizza, possa progressivamente realizzare un mondo diverso. (1 giugno 2003) Mario Arnoldi |