Memorie ed amnesie
In molti paesi d’Europa si è celebrata il 27 gennaio scorso la giornata della "memoria". In quel giorno, infatti, nel 1945, i Sovietici entrarono nel campo polacco di Auschwitz e liberarono i superstiti. Lo scorso anno, nei miei appunti di viaggio, concludevo il ricordo di quell’avvenimento con il canto di Guccini, particolarmente commovente, che porta il titolo del campo di sterminio polacco. Suggerisco di rileggerlo o di ascoltarlo accompagnato dal canto. Lo faccio spesso. Anche questo è un modo di pregare. Segnalando il libro di Guido Knopp, Olocausto, Corrado Augias ne cita un passaggio. "Ci hanno lasciati in piedi, nudi, da mezzogiorno sino alla sera. Infine è venuto un kapò del lager, ha scelto quattro di noi e abbiamo dovuto trasportare sul piazzale una forca. Poi la squadra comandata per il lavoro interno è venuta trascinando un carretto sul quale c’era un uomo legato che hanno impiccato sotto i nostri occhi. Quello fu il saluto di benvenuto: così abbiamo saputo dov’eravamo finiti". Aggiunge Augias. "Così raccontò Norbert Lopper, ebreo viennese, sopravvissuto all’inferno di Auschwitz. La sua testimonianza è all’interno di un libro molto duro, molto documentato, molto ben raccontato di Guido Knopp che ha un nome breve e terribile: Olocausto. Knopp è un giornalista tedesco, è nato nel ‘48 e si chiede se un tedesco venuto al mondo tre anni dopo la fine dell’orrore possa sentirsi responsabile ci ciò che accadde. No, risponde, però ricadono su di noi la responsabilità e il dovere del ricordo". (Venerdì di Repubblica 24.01.03) Il 1945 fu la fine di un incubo che, sin dall’ 800 e dall’inizio del ‘900, prese le mosse dalla pretesa d’espansione dei governanti della Germania e, dal ’33, di Hitler al quale si accodarono i governanti dell’Italia e del Giappone. Una volontà di dominio senza eguali, che, per completare lo sfruttamento dei popoli colonizzati, voleva risolvere in modo definitivo il problema dei concorrenti cancellandoli. L’eliminazione si rivolse in modo particolare verso Ebrei, stella ebraica, circa 6 milioni di morti; verso i deportati politici, triangolo rosso, circa 4 milioni e mezzo; gli omosessuali, triangolo rosa, circa 7.000 morti; gli zingari, triangolo nero, circa 500.000 uccisi; i testimoni di Geova, circa 2.000 morti. "I nostri padroni effettivi, dice Primo Levi, sono i triangoli verdi, i criminali, i quali hanno mano libera su di noi." La giornata della memoria guarda al passato ma è rivolta al futuro ed è una prospettiva di vita più che una commemorazione. Mai come in questo periodo è opportuno e necessario ricordare come la storia sia maestra di vita. La guerra preventiva, di cui il governo USA e Bush in particolare si fanno paladini, è la negazione della memoria, il rifiuto di leggere la distruttività della storia passata in favore di una conversione antropologica tesa all’ascolto e alla collaborazione con gli altri popoli che hanno gli stessi diritti sulle risorse della terra, il petrolio, l’acqua ed ogni altro bene comune. Si afferma che tale guerra sarebbe legittima solo se l’ONU la approvasse. Se ci fosse il benestare delle Nazioni Unite il disastro dell’umanità sarebbe maggiore se non catastrofico, infatti sarebbe il segno della partecipazione delle grandi potenze, cioè di tutta l’umanità cosiddetta civilizzata, al progetto imperialistico di un’unica nazione che può agire in modo distruttivo solo perché è la più forte per una serie di congiunture storiche favorevoli. Ricordo ora due fatti dolorosi. Recentemente nell’alessandrino è stato devastato e profanato il Sacrario della Benedica che conserva il ricordo dei militanti antifascisti uccisi in un’imboscata pochi giorni prima della liberazione. L’odio nazifascista non cessa mai di agire in modo criminale. Ed infine un ultimo pensiero per il comandante partigiano Giambattista Lazagna, nome di battaglia Carlo, morto il 22 gennaio scorso. La divisione Pinan Cichero, che egli guidava, operò sull’appennino a cavallo tra le province di Alessandria, Genova e Pavia e creò già nel 1944 una zona liberata comprendente buona parte delle valli Borbera e Curone e fu determinante nella liberazione di Genova. Ha firmato la resa del presidio tedesco di Tortona il 25 aprile del ’45 ed ha giustamente meritato la medaglia d’argento della Resistenza. Negli anni ’70 la sua vita fu tormentata perché ingiustamente accusato di collusione con le prime Brigate Rosse e di amicizia con Giangiacomo Feltrinelli. Fu assolto con formula piena dopo aver pagato le false incriminazioni col carcere sino al ’75 e con il confino ad Urbino, fra il 1975 e il 1981, dove, apprezzato avvocato, insegnava filosofia del diritto all’Università. Infine si trasferì definitivamente con la famiglia a Rocchetta Ligure, nel cuore della Val Borbera che lo aveva visto combattere negli anni giovanili. Notevole la sua attività di studioso e di scrittore. Del suo libro più famoso, Ponte Rotto, 1946, che prende il nome da una località dalla valle in cui ha combattuto, Cesare Segre e Clelia Martignoni, nel volume Testi nella Storia, Ed. Bruno Mondadori, vol. IV, 1996, nella sezione dedicata alla letteratura della Resistenza, dicono: "Ci si può soffermare a titolo d’esempio sul Ponte Rotto di Lazagna, che si pone volontariamente all’estremo del documento, fornendo una cronaca referenziale, puntigliosamente attenta ai fatti: descrizioni delle azioni militari, con dettagli tecnici (stato delle armi, bilancio dei morti e dei feriti - Lazagna stesso rimase ferito da una pallottola alla base del cranio – ore di marcia) e descrizione dei luoghi. E’ notevole che l’istanza del documento resti programmaticamente primaria e invalicata in certi testi; in altri, dovuti a letterati, si pone pure come essenziale punto di partenza, ma la scrittura interviene spesso a trasfigurare e alterare la pura volontà di cronaca". L’ultima intervista è dell’anno scorso: La mia Resistenza non finirà mai. Personalmente, oltre al combattente indomito, piango un grande amico. (1 febbraio 2003) Mario Arnoldi
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