Forum Sociali dell’Asia, dell’Africa e della Palestina
Aspettando Porto Alegre 3
Il Forum Sociale dell’Asia si è svolto a Hyderabad, India, nei giorni scorsi dal 3 al 7 gennaio. I partecipanti sono 15 mila, delegati di circa 40 paesi del continente asiatico. L’India, come paese ospitante, ha il maggior numero di rappresentanti, ma anche il resto del continente ha la sua visibilità. Una folla immensa, quindi, disseminata sulla spianata del Nizam College, il campus universitario che ha ospitato il Forum. Si sono visti gli "ultimi" delle varie società portare le loro istanze drammatiche. Mi riferisco ai servizi di Marina Forti, inviata de il manifesto, riportati nei giorni del Forum dallo stesso quotidiano, che invito a leggere. Anche su internet i navigatori potranno trovare altre notizie. Tra i tanti convenuti si evidenziano "il gruppo di adivasi (tribali, le popolazioni indigene dell’Asia meridionale) che veste panni e turbanti rossi con cuciti infiniti piccoli sonagli cosicché ogni passo diventa una danza; i contadini di un certo villaggio di questo stato, l’Andra Pradesh, che, con cartelli dai testi assai elaborati spiegano come diversi anni di siccità, l’arrivo delle sementi Monsanto e la liberalizzazione delle importazioni agricole abbiano congiurato per buttarli sul lastrico; gli indonesiani di Business Watch Indonesia volantinano schede di denuncia di scandali e corruzione; organizzazioni di dalit (una volta erano chiamati "intoccabili", fuoricasta, il gradino più basso della gerarchia sociale hindu) indiani o nepalesi trovano inaspettate fratellanze con i barakumin giapponesi (anche il Giappone ha i suoi paria); studentesse birmane in esilio; rappresentanti della fragilissima "società civile organizzata" del Turkmenistan; gli attivisti del "Consiglio internazionale della salute popolare", movimento partito dal Bangladesh ma esteso sino al Nicaragua che si batte per l’accesso universale alle cure di base". E poi ogni tipo di persona, attivisti, sindacalisti, film-makers, artisti popolari, artigiani, lavoratori, intellettuali, teatranti. Due conferenze plenarie il mattino, miriadi di seminari il pomeriggio ed un’assemblea permanente scandiscono i lavori del Forum. I temi trattati riguardano le scottanti problematiche del grande continente: la guerra che incombe, la pace, la sicurezza; i diritti sociali nel contesto della globalizzazione; i saperi indigeni; la biodiversità; la lotta all’Aids; il lavoro infantile; i diritti degli intoccabili, i fuori casta; il problema delle dighe; come purificare l’acqua a prezzi accessibili; il diritto all’acqua e il Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio); la guerra e i fondamentalismi; la guerra e il dominio globale dell’economia; la guerra e il controllo delle risorse; metodi tradizionali di raccolta e conservazione dell’acqua piovana; chi spiega come la Coca Cola (che qui imbottiglia e vende anche acqua purificata) depaupera le falde acquifere alle quali attingevano interi villaggi; economie alternative; gestione forestale; debito e aggiustamenti strutturali; disarmo nucleare; e tanti altri argomenti collegati, come il seminario su "globalizzazione e rifiuti" e quello su "strategie per eliminare la pratica della pulitura manuale delle latrine". E poi mostre fotografiche, rassegne di film, stand di librerie, ecc. Rimando alle fonti per gli interventi dei relatori. Negli stessi giorni, dal 5 al 9 gennaio, a Addis Abeba il II Forum Sociale Africano svolgeva i suoi lavori. Geraldina Colotti (v. Alias, supplemento settimanale de il manifesto, 04.01.03) ha intervistato Aminata Taoré, una delle organizzatrici del Forum, ex ministra della cultura del Mali, voce d’Africa alternativa al neoliberismo, che è stata in Italia per un ciclo di conferenze organizzate dal centro Pio Manzù e per presentare L’immaginario violato (Ponte alle Grazie), un volume di analisi sui meccanismi che privano l’Africa delle sue risorse. E’ nota a tutti la tragica situazione dell’Africa, con forti diversificazioni nei vari paesi. "Il 70% dei finanziamenti, dice Aminata Taoré, ottenuti attenendosi ai dettami del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), raggiunge uffici, esperti, fornitori e anche certe Ong (Organizzazioni non governative), ma non la povera gente. Il resto è speso male. Siamo come un meccanismo che gira a vuoto nelle mani delle istituzioni nate dopo gli accordi di Bretton Woods. Per questo 1 africano su 5 vive in un paese in guerra, un quarto dei 10 milioni di rifugiati nel mondo è africano. Così si spiegano i conflitti in Nigeria o in Costa D’Avorio. Seguendo il diktat americano, continua la Taoré, i soldi saranno impiegati per la lotta al terrorismo, condannabile ma frutto di disperazione per lo sfruttamento senza fine, e non verranno spesi per sconfiggere la povertà" Alla domanda come si possa progettare un via africana alla giustizia e alla pace, ha detto ancora: "Il nuovo modello di sviluppo dell’Africa dovrà tenere conto della "memoria" del passato indigeno del nostro continente, antecedente all’ingerenza coloniale e poi americana, quando si mangiava tutti e non si moriva di fame, di sete, di malattie e vigeva la solidarietà reciproca. Inoltre bisogna ripensare il sistema agricolo, la sanità, l’ambiente, partendo da noi. Creare noi stessi beni e servizi senza aspettare i resti dei paesi ricchi. Smontare il discorso egemonico con l’informazione dal basso. Sviluppare contropotere su scala planetaria e usarlo come elemento contrattuale. Premere perché i nostri governanti siano obbligati a rendere conto. Passare dal profitto all’umano. Gli ingredienti sono gli stessi per tutti. Anche al nord si parla di mettere al centro la persona e non il profitto". Infine Anna Schiavoni riferisce su Carta, n. 1, 2003, del Forum Sociale in Palestina ed Israele, al quale ha partecipato. In Israele a fine gennaio ed in Palestina entro l’anno si terranno le elezioni. (15 gennaio 2003) Mario Arnoldi |