2002. Natale blindato a Betlemme
A causa di un attacco avvenuto a Gerusalemme per mano di un attentatore di Betlemme, che lasciava sul terreno 11 vittime, fatto esecrabile ed ampiamente condannato, Betlemme veniva rioccupata il 22 novembre scorso dall’esercito israeliano. L’occupazione è pesante: coprifuoco, isolamento, fame, frustrazioni, perquisizioni, rastrellamenti si susseguono a tal punto da rendere impossibile la vita dei palestinesi e degli abitanti di Betlemme. Continuano inoltre gli arresti e le "esecuzioni mirate", analoghe a livello personale della "guerra preventiva", denunciata da diverse parti del mondo e dagli stessi movimenti pacifisti nordamericani. Arafat anche quest’anno, per la seconda volta, sarà impedito di giungere a Betlemme dalla sua sede di Ramallah, nella quale è assediato da mesi, dove usava consumare la cena coi francescani ed assisteva alla Messa nella Chiesa di S. Caterina, annessa alla Basilica della Natività. Indubbiamente anche l’accesso dei palestinesi è ostacolato. Un Natale blindato quindi! Giovanni Paolo II ha parlato, a proposito della situazione complessiva che evolve verso la guerra, di silenzio e di sdegno di Dio. Don Vitaliano della Sala ha aggiunto, pur nel rispetto delle parole del pontefice, un’interessante distinzione. Il Dio che tace e si sdegna è quello delle crociate, mentre il Dio che parla ai cuori degli uomini è sempre ricco di suggestioni di bene. Parole che, intese nel loro significato simbolico del dio del cuore di ogni uomo di buona volontà, suggeriscono speranza per credenti e laici. E’ simmetrica la situazione israelo palestinese, con un’accentuazione di responsabilità dei terroristi palestinesi, come i mass-media cercano di farci credere? Fatta la debita distinzione tra ebrei e sionisti, più volte ho affermato, e non ho elementi nuovi per smentirmi, che il bandolo della matassa comincia con gli acquisti fraudolenti dei territori palestinesi a partire dalla metà dell’ottocento. Da allora, come ribellione alla prevaricazione, cominciano le prime opposizioni, le estromissioni ed i primi campi profughi palestinesi. Quando questi chiedono che si ritorni alla situazione del ’67, rivendicano una piccolissima parte di quanto loro spetterebbe. E’ una richiesta che già si è arresa alla violenza irreversibile storica del più forte. Tuttavia, meglio questa domanda che il nulla. Due sono gli atteggiamenti nei confronti della soluzione del conflitto israelo palestinese ed in particolare, oggi, della situazione di Betlemme. Il primo, minimalista, che pur tuttavia condivido, sostiene che sin quando non saranno liberati i territori occupati dopo il ’67, non si potranno riaprire le trattative per la pace in quella zona del Medio Oriente tanto martoriata e tanto strategica per i prossimi capovolgimenti geopolitici. Questa posizione è sostenuta non solo dai palestinesi e filopalestinesi, ma anche dai riservisti obiettori dell’esercito israeliano e da organizzazioni ebraiche sparse in Europa e nel mondo ed a volte in Israele stesso. Segnalo, per fare un ennesimo esempio, una dichiarazione dei giorni scorsi - la comunicavano i mass-media, non molti in verità, attorno alla fine di novembre - che mi ha particolarmente colpito, diffusa da nove organizzazioni ebraiche europee per la pace, dal titolo "Contro l’occupazione, per uno stato palestinese". Nel documento dapprima è svolta un analisi della situazione. "Esprimiamo la nostra solidarietà con il popolo palestinese nel suo perseguire la creazione di uno stato nei territori occupati. Da quando ha conquistato i territori nel 1967, Israele ha tentato di modificare la composizione demografica, attraverso l’occupazione e progressiva creazione di insediamenti; questo costituisce una violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU n. 242,338 e 465. Attualmente esistono 157 insediamenti con una popolazione di 358.000 israeliani in Cisgiordania, nella striscia di Gaza e Gerusalemme Est. Gli insediamenti israeliani, le terre interdette, le strade di collegamento ed altra terra controllata dall’esercito israeliano, comprendono il 56% dell’area. La vita quotidiana del popolo palestinese è diventata insopportabile. Attacchi contro civili israeliani da parte di estremisti palestinesi non possono essere giustificati, ma essi sono il risultato della lunga occupazione, dell’espansione degli insediamenti e della frustrazione causata dalle rinnovate prevaricazioni israeliane sotto Sharon, in modo particolare le ‘esecuzioni mirate’ " Continua il documento chiedendo la fine dell’occupazione, la cessazione delle "esecuzioni mirate" e la risoluzione del problema dei profughi palestinesi. Il documento conclude con le sigle delle nove organizzazioni ebraiche progressiste e pacifiste e cioè quella del Belgio, Francia, Olanda, Italia (Jews for Israeli-Palestinian Peace, JIPF), di due organizzazioni svedesi, Svizzera, UK, Danimarca. La seconda posizione sulla soluzione del conflitto israelo palestinese è diametralmente opposta e può essere sinteticamente detta con le parole: "sin quando i palestinesi non smetteranno di compiere azioni terroriste, noi non tratteremo la pace." L’opinione capovolge la priorità delle responsabilità storiche, confonde la causa con gli effetti, è sostenuta da Sharon e da tutti i sionisti che non ammettono il principio e la possibilità pratica che il popolo palestinese realizzi i propri diritti territoriali - ben precedenti storicamente alle immigrazioni degli ebrei - e che procedono imperterriti nei loro programmi d’occupazione abusiva e di testa di ponte dell’imperialismo statunitense verso il Sud Ovest Asiatico. Affinché il Natale di quest’anno non sia blindato nella realtà di Betlemme e nel cuore delle istituzioni nazionali e mondiali e delle singole persone, che assistono silenziosi ed indifferenti allo sterminio dei palestinesi, l’auspicio è che Gesù, segno di speranza che continuamente rinasce, operi una trasformazione antropologica dall’ "uomo lupo all’altro uomo" ad una realtà dove il segno di Maria, della madre, della donna, della cultura della pace, della civiltà non maschilista e patriarcale possa affermare lo scorrere continuo della vita. (Natale 2002) Mario Arnoldi
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