Antiamericano? No!
Antiterrorista, antimperialista e pacifista!
Alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica undici registi di undici paesi diversi raccontano per l’11 settembre il dolore del mondo, in un film collettivo, che comprende undici brevi film di 11 minuti, 9 secondi e un’immagine. Un film interessante, che però ha ricevuto da alcuni l’accusa di antimericanismo e la causa di questa critica sarebbe che la maggior parte dei registi ha esplorato non solo il dolore degli americani in quella dilacerante circostanza, ma anche le varie forme di sofferenza esistenti ovunque. Mi dissocio da questa critica negativa, infatti, rinnovando sinceramente il cordoglio già espresso un anno fa per gli americani, sia i morti sia i vivi, e riprendendo l’accusa senza nessuno sconto al terrorismo, ritengo che, giustamente, a distanza di un anno, si possa allargare lo sguardo sulle dilacerazioni dovunque esse siano. Pensare di essere gli unici a soffrire e gli unici ad aver diritto alla vita è il massimo dell’egocentrismo e, per fare un esempio vicino nel tempo, il fallimento di tanti progetti a Johannesburg nei giorni scorsi ne è il segno. Non tutti gli americani sono uguali. I mezzi di comunicazione c’informano delle manifestazioni pacifiste, che tanti singoli e movimenti stanno facendo con grande visibilità proprio in occasione dell’anniversario dell’11 settembre e contro la prospettiva di una guerra che vuol raggiungere l’Iraq per motivi non certo nobili, ma per le materie prime, soprattutto il petrolio, che là sono in abbondanza e per impedire che sorga una nuova potenza atomica che faccia da contraltare a quella degli Stati Uniti. Due esempi degli 11 film. Ken Loach fa ricordare ad un esule cileno un altro tragico 11 settembre, quello del ’73, quando con l’appoggio americano fu fatto cadere il governo democraticamente eletto di Allende, trucidato dall’esercito di Pinochet e si sente Kissinger dichiarare "non possiamo lasciare un paese in mano ai comunisti a causa dell’irresponsabilità di un popolo". Il bosniaco premio Oscar Danis Tanovic ricorda la strage di musulmani a Srebrenica perpetrata dai serbobosniaci l’11 luglio 1995: ogni 11 del mese le donne, madri figlie mogli di massacrati, si riuniscono per ricordarli. E quell’11 settembre decidono di andare in piazza per loro e per noi. (Natalia Aspesi, La Repubblica, 6 settembre 2002). Ugualmente coinvolgenti gli 11 racconti di 11 scrittori per l’11 settembre. Nomi noti: Vittorio Zucconi, Gay Talese, Cathleen Shine, Alessandro Baricco, Evgenij Evtushenko, Gabriele Romagnoli, Patrick McGrath, Margaret Mazzantini, Salman Rushdie, Alexander Stille, Tahar Ben Jelloun, Antonio Scármeta. Il brano di Evtushenko, dal titolo Le torri di Babele andate in pezzi, termina con la protagonista, Golda, una ragazza di Odessa – le torri di Babele crollate sono da un lato l’URSS e d’altro lato le Torri gemelle – che grida: "Fellini, Fellini!". "Ma il Fellini di quale film?, la interrogai io". "Di quello che non ha fatto in tempo a girare, rispose Golda, sull’Inferno di Dante!". Ed il brano di Ben Jelloun, dal titolo Il bambino tradito, racconta del fanciullo che è nel corpo di chi ha ucciso, non precisando di che parte sia, che abbandona sdegnato quell’involucro corporeo, perché non gli appartiene più, che si era macchiato del maggiore dei delitti, l’omicidio: "Io ti rinnego per l’eternità". Un abbandono radicale e definitivo dallo spirito e dalla bocca del bambino, cioè dalla parte che è ancora sana in ciascuno di noi. Ed ancora, "Vision of hope", la mostra dell’11 settembre, dell’Istituto Italiano di Cultura e della rivista il "New Yorker", a Manhattam, espone sedici fotografie di volti di ogni parte del mondo che esprimono parole di vita molto semplici, materiali, come avviene in epoche di grave bisogno. E tutti i visi hanno gli occhi chiusi, quasi a voler andare oltre le scene di degrado e di morte per ipotizzare la speranza. Ecco alcune frasi. "Vorrei che i miei figli potessero compiere dei buoni studi e trovare un buon lavoro. Devono poter essere istruiti e non dipendere da nessuno". "Vorrei poter viaggiare nel tempo dentro me stesso per rivivere i momenti belli che ho avuto e farli durare per sempre". "Chi ha tempo per pensare a queste cose? Le persone qualunque non hanno cibo". "Vorrei abolire le sofferenze del mondo". "Vorrei non avere brufoli e andare in paradiso quando morirò". (La Repubblica, inserto di domenica 8 settembre 2002). L’arte, nelle sue forme di cinema, racconto e fotografia, ci ha aiutato a meditare su una materia tanto preoccupante. Una riflessione terra terra da "uomo medio" mi viene alla mente. Se l’Iraq ha veramente le armi chimiche, biologiche ed atomiche, come altre tre o quattro nazioni nel mondo, e se gli USA, forniti essi stessi per primi in massimo grado di quelle armi, l’ attaccano, possono succedere tre conseguenze: o un cataclisma atomico cosmico distruggerà tutto "e chi vivrà ricomincerà dalla clava", come diceva Einstein; o si giungerà ad un patto di non aggressione, tipo guerra fredda, che ben conosciamo nei suoi effetti tampone ma che è incapace di risolvere i problemi di fondo; o i signori della guerra si decideranno a passare, per gradi evidentemente, dai rapporti "amico nemico" a quelli "amico amico", come auspicano, con modalità diverse, le varie forme di pacifismo realistico. Il mio desiderio, ad occhi chiusi, è sicuramente il terzo! (15 settembre 2002) Mario Arnoldi |