Frankenstein è lo scienziato o il mostro?
Riflessioni attorno a Porto Alegre 2002
"Ero buono e benevolo: l’infelicità mi ha reso un demonio, fammi felice e sarò di nuovo virtuoso. Come posso toccarti il cuore? Nessuna supplica ti farà volgere benevolmente gli occhi verso la tua creatura, che implora da te bontà e compassione? Credimi, Frankenstein: avevo una disposizione benigna, la mia anima ardeva di amore e di umanità; ma non sono forse solo, miseramente solo? Noi non possiamo separarci, finché tu non avrai promesso di accondiscendere alla mia richiesta. Sono solo infelice: l’uomo non vuole avere nulla a che fare con me; ma un’alta creatura deforme e orribile come me non mi si negherebbe. La mia compagna deve essere della stessa specie e deve avere i miei stessi difetti. Questo essere tu me lo devi creare." Queste sono alcune delle espressioni particolarmente toccanti che il mostro (che dopo il film di J. Whale, del 1933, si cominciò a chiamare Frankenstein come lo scienziato che lo aveva costruito) rivolge al suo creatore, che aveva messo insieme pezzi di corpi umani morti ed aveva infuso loro la scossa vitale secondo i principi del galvanismo. Romanzo affascinante (Mary Shelley, Frankenstein, o il moderno Prometeo, 1918), innanzi tutto per gli studiosi di narrativa, che evidenziano in esso tre protagonisti che si esprimono in prima persona, i cui racconti costituiscono tre parti che s’incastrano in modo adeguato a creare un effetto unico. Nella prima parte Robert Walton (in genere trascurato dalle versioni correnti), esploratore e scienziato autodidatta, scrive a sua sorella Margaret una serie di lettere come diario di viaggio verso il Polo Nord per carpire alla natura il segreto dell’ago magnetico e delle stelle ancora ignote. Nella seconda Victor Frankenstein, lo scienziato naturalista, trovato assiderato nei ghiacciai del Nord, narra a Walton, che lo soccorre prima della morte, la sua storia, la passione per la scienza, la scoperta del galvanismo ed infine la costruzione-creazione dell’essere a cui dà la scossa, che si rivela, di fatto, un mostro orrendo che rifiuta. Nella terza parte è il mostro, frutto dell’ardita iniziativa di Victor, che narra come le sue intenzioni iniziali fossero di amore per sé e per l’umanità. Ma come dopo il rifiuto ed il dileggio di tutti per le sue forme abnormi e spaventose, decide di vendicarsi sui famigliari del "padre" e quindi sul "padre stesso", rincorrendolo sino al Polo Nord, dove questi, ormai assiderato e prossimo alla morte, racconta la sua storia a Walton ed il cerchio narrativo si chiude su se stesso come ad indicare l’impossibilità di una via d’uscita dal rapporto persecutorio padre – figlio. Tante sono le interpretazioni del romanzo a causa della sua ricchezza di contenuti e forme. I miei studenti diciottenni, come avviene spesso, mi hanno dato il gusto di questo capolavoro, considerato minore da molti che ne hanno letto solamente le riduzioni o visto le serie di film banali. Alcuni critici affermano che il romanzo riflette i drammi famigliari di Mary Shelley, che scrisse diciannovenne quest’opera. Altri parlano di un Edipo in versione romanzo gotico. Altri sottolineano come il libro voglia condannare la scienza senza regole ed i suoi danni. Altri ancora rilevano il conflitto tra il settecento razionalista, rappresentato dallo scienziato, e l’ottocento romantico, rappresentato dal mostro inizialmente buono e poi divenuto cattivo per il rifiuto del padre e di tutti gli umani che incontra. Altri infine, sottilmente, sottolineano come la scienza, quando genera senza il contributo della madre - la scienza al maschile – dà origine necessariamente a mostri. Alza la mano, durante la discussione in classe, Stefania, l’alunna che ha colto il significato della generazione maschile e maschilista della scienza e fa una precisa analisi del mondo contemporaneo, scienza, tecnologia, comunicazione, produzione commercio servizi, finanza, ecc., che genera mostri quali la globalizzazione gestita da pochi e sofferta da molti. Il fratello di Stefania, tutti i compagni lo sanno, è appena tornato da Porto Alegre ed ella ne ripete le analisi alle quali per altro non è nuova. Nei dibattiti in classe tra i miei studenti io in genere intervengo raramente. Qualcuno mi obietta di "tenermi fuori", di fatto sa che non voglio influire sul loro scambio di idee. La mia opinione è la seguente. Mi chiedo continuamente se è possibile spezzare la spirale viziosa tra padre e figlio per inserire un’altra possibilità di vita nella giustizia e nella pace. Può il mostro (intendendo con questo nome simbolicamente i quattro quinti dell’umanità che subiscono violenza dal primo quinto) essere educato diversamente e creare un tipo di vita per sé e per gli altri più felice? E se sì, qual è l’elemento terzo che andrà a rompere la spirale di vendetta, da dove potrà giungere, di che natura è? Le religioni annunciano una salvezza garantita dalla divinità, che però non influisce sull’andamento dei conflitti umani, anzi spesso, in nome della verità esclusiva che esse pretendono di possedere, hanno dato vita a guerre interminabili e sanguinose. Le ideologie dei due secoli passati hanno svolto un ruolo analogo. Sì, risponde la mia alunna, un altro mondo è possibile, e la speranza di costruirlo nasce dalle generazioni nuove, dai movimenti, stanchi di conflitti e desiderosi di costruire in modo diverso. Nei prossimi appunti farò qualche riflessione sul documento finale di Porto Alegre, frutto di 26 assemblee plenarie, 700 seminari (900 secondo il sito francese di Attac), diversi eventi speciali, forum paralleli, 50.000 o forse più partecipanti provenienti da ogni parte del mondo. Una marea umana che vuol suggerire al mostro del neoliberismo, creato dal mondo della modernità, come condividere la ricchezza tra tutti gli uomini, come condividere la terra, le materie prime, l’acqua e quant’altro costituisce gli elementi essenziali per la vita. E la cultura femminile può dare un forte contributo a questo mondo diverso. Non sto scordando le altre interpretazioni del romanzo di Mary Shelley, interpretazioni letterarie, narrative, poetiche, scientifiche, genetiche, pedagogiche (splendide le pagine in cui il mostro, nella prima fase della sua vita, vuol apprendere a relazionarsi con gli altri, vuol imparare la lingua degli umani, vuol poter leggere e scrivere, vuole una compagnia e poi una compagna). Sono interpretazioni che danno gratificazione agli specialisti dei vari settori ed anche a me. Semplicemente, oggi, Stefania, la mia alunna perennemente pungolante, viso dolce accompagnato da una grinta inesauribile, mi ha suggerito questo spunto attualissimo che non mi sono lasciato sfuggire. Esercizio preparatorio al prossimo "appunto di viaggio": leggere in parallelo il romanzo delle Shelley ed il documento finale generale del forum di Porto Alegre. (15 febbraio 2002) Mario Arnoldi |