Auschwitz. Memoria di un solo giorno?

Il "presente del passato" possa generare il "presente del futuro"

Il 27 gennaio 1945, l’esercito sovietico abbatteva i cancelli di Auschwitz e il mondo veniva a conoscenza, nel modo più agghiacciante, dell’aspetto più tragico e folle della dittatura nazista. Per questa ragione il Parlamento Italiano, nel 2000, ha deciso di dedicare la ricorrenza del 27 gennaio alla memoria della deportazione e dello sterminio degli ebrei, dei rom, dei testimoni di Geova e degli omosessuali, operato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale (legge 20.07.2000, n. 211; G. U. n.177, 31.07. 2000). Il Parlamento suggerisce iniziative soprattutto nelle scuole…

Mi auguro che la memoria e le relative iniziative non siano state dimenticate.

A Rimini il 22-23 novembre 2001 si è svolto un "Convegno Nazionale di Studi e aggiornamento sulla storia" intitolato "Mappe della Storia", organizzato da un cartello di Case Editrici. Tema centrale del Convegno era l’approfondimento dei fatti e delle interpretazioni del Novecento, che tanto interessano gli storici di ogni provenienza, a causa della ferocia degli avvenimenti realizzatisi nel secolo appena terminato, definito in diversi modi (secolo breve, secolo lungo, secolo violento più di ogni altro, ecc.).

In un’intervista allo storico Krzysztof Pomian, che partecipava al convegno, è stato chiesto perché l’opinione pubblica segue con tanto interesse le dispute a sfondo storico. Ha risposto: "In realtà le passioni sono scatenate soprattutto dal dibattito sul totalitarismo nelle sue diverse varianti, nazista, fascista e comunista…Discutendo delle opzioni e delle scelte operate negli anni Trenta e Quaranta, in realtà parliamo delle scelte da fare oggi…" (La Repubblica, 22.11.2001)

Tra i materiali preparatori del Convegno era compreso il testo di Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, 1951-1958, Ed. di Comunità, Milano 1997, pp.481-486, di cui riporto una frase significativa. "I lineamenti o le caratteristiche fondamentali che noi pensiamo siano generalmente accettati come comuni delle dittature totalitarie sono sei. La sindrome, o complesso di peculiarità interdipendenti, della dittatura totalitaria consiste in una ideologia, in un partito unico tipicamente guidato da un solo uomo, in una polizia terroristica, nel monopolio degli armamenti e in una direzione centralizzata dell’economia…"

" ‘L’insonnia vendicatrice è sostituita dalla calma, vigile, dell’uomo libero’: riferendosi all’ ‘Orestea’ di Eschilo, Barbara Spinelli sigla con queste parole il senso profondo della ‘Giornata della Memoria’ che si celebra in Italia il 27 gennaio, data della liberazione di Auschwitz, assunta come momento simbolico non solo della Shoah ma di tutta la tragedia della deportazione. Sono parole importanti, di fiducia: che la memoria, agostinianamente, continui ad essere ‘il presente del passato’. Per riflettere, con i nostri lettori, sulla necessità del ricordare come difesa dalle violazioni di ogni tipo, abbiamo chiesto a dieci personalità, filosofi, storici, scrittori, quale sceglierebbero come ‘loro’ libro della memoria. Primo Levi con ‘Se questo è un uomo’ e con ‘I sommersi e i salvati’ risulta compagno di strada di tutti, anche di quelli che non lo hanno espressamente citato, e struggente è l’immagine del bambino ebreo rimasto senza nome, nato e assassinato in un ghetto. Ma l’orizzonte si allarga: dal ‘Mondo di Ieri’ di Zweig alla ‘Storia del terzo Reich’ di Shirer, da ‘La banalità del male’ della Harendt al ‘Libro del buio’ di Ben Jelloun, al ‘Tempo ritrovato’ di Proust, alla lezione immortale dei greci.. Affinché ‘Il presente del passato’ possa generare ancora ‘Il presente del fututo’ " (Appiotti Mirella, ttL, inserto de La Stampa del 19 gennaio 2002).

Il 14 e 15 gennaio u. s. Rai Uno ha trasmesso il film "Resurrezione" dei fratelli Taviani tratto dal romanzo di Tolstoj. Un breve cenno alla trama. Il principe Dimitrij riconosce nella giovane prostituta imputata di omicidio Katijusa, la ragazza che viveva presso le zie come cameriera e dama di compagnia, che egli aveva sedotto dieci anni prima ed alla quale, prima di lasciar la casa, aveva messo in mano una manciata di denaro come compenso per il suo atto di passione. Katijusa rimane sconvolta per quel denaro e, per vicende diverse, finisce nel mondo della prostituzione e della malavita, che la porta al processo indicato. Dimitrij si rende conto della responsabilità che ha avuto nell’indurre Katijusa alla vita disastrata, ne sente la colpa, la segue in tutte le tappe della sua prigionia sino alla condannata ai lavoro forzati in Siberia e promette di redimerla e salvarla. Il film, come il romanzo, ha un finale inaspettato. Katijusa , pur apprezzando il principe per i suoi sacrifici, sposerà un ragazzo che è prigioniero come lei, dal quale sente di essere amata di un amore sincero, mentre l’interessamento del principe era dettato puramente dalla volontà di redenzione della ragazza. Significative le parole finali: "tu lo fai, dice Katijusa a Dimitrij, per redenzione e non per amore. Non c’è felicità senza amore". In conclusione il principe, esprimendo un desiderio durante la festa per l’anno nuovo di quelle persone semplici benché condannate, dice "Vorrei imparare ad amare come voi vi amate". La resurrezione di Katijusa e Dimitrij avviene ascoltando la propria coscienza, secondo i principi di Tolstoj per uscire dal male di vivere. Un omaggio alla recitazione di Stefania Rocca nella parte di Katijusa.

Ed il film si conclude con l’inquadratura della scritta "XX secolo". L’augurio di Tolstoj-Taviani per il secolo a seguire è di un amore sincero, paritario, non solo a livello personale, ma tra tutte le persone e tutte le genti. L’augurio è stato smentito da tutto quanto è avvenuto nel secolo delle due guerre mondiali, della shoah, della guerra fredda, delle guerre etniche …

Che ne sarà del XXI secolo? La guerra totale iniziata da Bush contro tutto il resto del mondo per l’instaurazione dell’impero degli Usa indica fosche prospettive, peggiori probabilmente di quelle del secolo scorso. L’unica speranza è nei movimenti alternativi accanto ai quali ci impegniamo.

Concludo col testo di Guccini, cha ha commosso la mia generazione e quelle successive e del quale faccio mio l’auspicio finale.
Chi può segua le parole ed il canto contemporaneamente.




Auschwitz

di Francesco Guccini

Son morto ch'ero bambino
son morto con altri cento
passato per un camino
e ora sono nel vento

Ad Auschwitz c'era la neve
il fumo saliva lento
nei campi tante persone
che ora sono nel vento

Nei campi tante persone
ma un solo grande silenzio
che strano non ho imparato
a sorridere qui nel vento

Io chiedo come può un uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.

Ancora tuona il cannone
ancora non è contenta
di sangue la bestia umana
e ancora ci porta il vento.

Io chiedo quando sarà
che un uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà

(1 febbraio 2002)

Mario Arnoldi