Tra i cherubini alla Scala

Domenica 28 ottobre, ore 20, puntuale, se tardi un solo minuto sei ammesso in sala al secondo tempo, ero alla Scala coi miei amici per assistere ed ascoltare il primo converto, seconda delle tre repliche, della stagione sinfonica 2001-2002 in abbonamento. Dopo tanti anni di vita milanese gli amici mi coinvolgono ancora e mi permettono di fruire di questi momenti di godimento musicale. Purtroppo l’accesso alle opere liriche è più raro, perché è difficile ottenere i biglietti, se non a costo di code interminabili per giorni e giorni, e gli abbonamenti sono ormai quasi tutti tramandati di generazione in generazione in famiglie italiane e straniere. In anni precedenti portavo con me al loggione, luogo privilegiato di ascolto e di pubblico scelto e pretenzioso, 10, 20, 30 alunni di 16-19 anni e mi colpiva vedere quanto la musica classica, di buon livello, ascoltata nel luogo adatto, affascinasse quei giovani. Era per me una doppia gratificazione.

In programma, domenica scorsa, di Luigi Cherubini, la Messa solenne in re minore per il principe Esterházy, per soli, coro e orchestra. A dirigere la filarmonica della Scala ed il suo Coro il maestro Riccardo Muti, cherubiniano fedelissimo. Irrepetibili le emozioni, irraggiungibile il linguaggio tecnico degli specialisti, mi affido alla relazione giornalistica. "A due soli giorni dalla "Missa solemnis" di Beethoven al Dal Verme, un altro capolavoro sacro ci avvince con la sua potenza e la sua spiritualità. Quasi coevo eppure così lontano. Il mondo cambia: nella sua Messa, anni 1819-1822, Beethoven concentra e purifica una vita di tormento e di furore, guardando alla Parola sacra e alla polifonia antica come a un terreno di romantica innovativa conquista. Cherubini, anni 1810-1811, assolve alla norma di un omaggio feudale rispettando le forme del tempo. Alla Messa dell’uomo nuovo si contrappone la Messa del principe. Alla conquista l’eredità. Al sublime eroico, la nobile semplicità del più puro spirito classico. Riverenza, vostra Altezza. Se l’impiego presso il Principe sfumerà (sul quale Cherubini aveva di fatto reimpostato la sua vita), per nostra fortuna la Messa resta. C’è tutta la sua misteriosa bellezza. Dov’è Cherubini? In alto, in un empireo irraggiungibile, o qui accanto a noi, tra i piccoli disagi della nostra umanità? E’ su questi imperscrutabili crinali che trascorre l’enigma fascinoso sulla Messa in re minore. Tra continui rimandi haydniani (i lievi moti come di danza sacra, l’intermezzo leggiadro del "Gratis agimus", che ricorda l’Andante della Sinfonia n. 104), astratti rigori mentali (i temi delle doppie fughe); e indimenticabili estroversioni, quasi stupefacenti in quest’autore; la trionfale saldezza del "Gloria", l’aristocratica inesorabilità di quel "secundum Scripturas"; l’eterea purezza dell’ "Et incarnatus". Vero canto di cherubini, ecc." (G. M. Benzing, Il Corriere della Sera, 27.10.2001).

A tutti succede di vivere forti esperienze "estetiche", sia in campo musicale, sia in altri settori della vita. Ricordo quando, costretto all’immobilità per qualche tempo, mi procurai un lettore ad alta fedeltà di CD e cuffie professionali, e ripercorsi alcuni dei miei autori preferiti e ne colsi sfumature mai percepite precedentemente. Quasi rimpiango, se non fosse per il disagio fisico, quelle audizioni perfette. Con gli occhi chiusi ero alla Scala.

Quando vidi per la prima volta l’altra faccia del mare, abitualmente nascosta, con un paio di occhiali da sub, alle isole Eolie e precisamente al largo della spiaggia nera di Vulcano, verso i faraglioni, mi si aprì di fronte agli occhi, all’udito, al tatto, all’olfatto un mondo nuovo inaspettato, profondo, con i pesci che guizzavano via per la presenza del mio corpo estraneo. I colori limpidi, dalle sfumature ineguagliabili, facevano da cornice ad una scena meravigliosa e per certi aspetti tremenda. La profondità mi faceva paura, vedevo il mio corpo che faceva tutt’uno con la superficie dell’acqua e, sotto, lo spessore profondo del mare. La prima volta fuggii velocemente a riva, poi, successivamente, ritornai più volte sott’acqua, là dove la trasparenza permetteva la visione, rischiando a volte, perché ero attratto da quell’esperienza ogni volta inedita e coinvolgente.

Potrei elencare altre esperienze e voi sicuramente ne avreste nel ricordo tante quanto me: un paesaggio di montagna, il mar Egeo con le sue isole viste dall’aereo, uno spettacolo teatrale, una liturgia grandiosa, un volto di donna dagli occhi particolarmente espressivi, il viso di un bimbo, ecc.

Terminata l’emozione dell’esperienza estetica, che in verità si vorrebbe non finisse mai, dopo aver ripreso terra, mi tornano alla mente, quasi a rovinarmi la festa, tutti quegli interrogativi che sin dai tempi del liceo erano inculcati dai libri e dai professori. Di che natura sono l’esperienza estetica ed il "bello" che ne è l’oggetto e l’arte che lo crea? Che rapporto ha quell’esperienza con le altre forme d’esistenza, economica, sociale, politica, culturale, religiosa? A volte l’arte libera ed astratta è stata condannata perché distoglie dai problemi più concreti e veri della vita, altre volte è stata fortemente raccomandata. I regimi forti e dittatoriali in genere consigliano od impongono un’arte realistica, perché la fantasia senza briglie potrebbe portare verso lidi troppo alternativi. Ecco un altro nome collegato con l’arte, la fantasia: in che cosa consiste? E’ uno strumento di conoscenza oppure è puro diletto, svago, evasione? In un’ennesima interessante discussione, Don Chisciotte, il curato, il farmacista con gli altri intellettuali del posto si ponevano il problema se il romanzo potesse essere di pura fantasia, oppure in qualche modo dovesse avere un ancoramento con la realtà. Il nostro eroe difendeva la libertà della fantasia, il curato, riflettendo l’andamento della Chiesa cattolica controriformista del tempo, sosteneva invece che il romanzo dovesse essere veritiero. Arrivarono, dopo interminabili ed immaginabili discussioni ad un onorevole compromesso: il romanzo doveva essere verosimile! Di tali riflessioni il mio cervello è invaso dopo un’esperienza artistica. Mi verrebbe voglia di amputarlo, momentaneamente s’intende, sino a che la tempesta delle idee non si sia calmata. Non ultima la questione dell’utilità, e quindi della moralità, dell’arte. Sapientemente Manzoni, secondo la mentalità del tempo, proponeva l’utile e il dilettevole come doppio fine. Oggi si tende a proporre fini autonomi, perché l’arte è categoria a sé stante, valida in sé, mezzo di conoscenza e d’arricchimento della persona. Anche in tempi di gran tormento, quali quelli che stiamo vivendo, ci si può concedere l’esperienza artistica prescindendo dalle crude realtà che i mass media ci mostrano?

Credo ci sia qualcosa di vero in tutti gli interrogativi che ho posto precedentemente: l’arte ed il bello ci propongono un’anticipazione di quello che dovrà essere la vita quando si sarà purificata dai conflitti, e "tanatos", che è nel nostro cuore, avrà ceduto il passo ad "eros". "Odio" ed "amore" combattono un conflitto si direbbe interminabile. Concediamoci, quando ci è offerto, di assaporare quei momenti anticipatori ed estendiamoli al maggior numero di persone possibili.

I prossimi cinque concerti, tre repliche l’uno, si svolgeranno da febbraio a luglio del 2002 al teatro Arcimboldi, progettato dall’arch. Gregotti, alla Bicocca, perché la Scala sarà ristrutturata e riaprirà il 7 dicembre 2004. Vendono qualche ultimo biglietto all’ingresso, l’ultima ora prima dell’inizio di ogni concerto.

(1 novembre 2001)

Mario Arnoldi