Don Chisciotte muore. Lunga vita a don Chisciotte

Pensieri attorno al terrorismo ed alla guerra

Ho avuto qualche perplessità a citare la figura del Cavaliere senza macchia e senza paura del romanzo di Cervantes, perché, quand’ero ragazzino, di quel magnifico testo circolavano a scuola delle riduzioni a dir poco dementi, che mi avevano lasciato l’impressione che si trattasse di un personaggio da ridere. Suppongo che la stessa sorte sia successa ad altri. Ho riletto successivamente il libro in edizione integrale, come penso tanti di voi abbiano fatto, l’ho commentato e discusso coi miei studenti, ho consultato la critica e ne ho tratto gran giovamento e, con meraviglia, scoprivo che i miei giovani adulti capivano che sotto la scorza della comicità c’erano nobili valori. E’ il primo grande romanzo moderno, sostengono gli spagnoli (con qualche perplessità ed invidia degli inglesi e dei francesi che vorrebbero fosse attribuita loro la palma di quel primato), che fa da cerniera tra i valori del passato e quelli successivi. Don Chisciotte sostiene la validità di principi umani universali, oserei dire, al di sopra della storia contingente, il mondo non lo capisce ed egli muore. Molte variazioni su quest’interpretazione sono fatte da critici illustri, non rinnegando tuttavia il motivo principale cui ho accennato.

Propongo una citazione dal capitolo 38 (1° parte, Einaudi Tascabili 1994, p. 431). Don Chisciotte si trovava in una delle tante locande frequentate, con lui c’erano personaggi diversi tra cui il solito curato, e comincia a sentenziare sulle armi da fuoco. "Benedetti quei fortunati secoli cui mancò la spaventosa furia di questi indemoniati strumenti d’artiglieria, al cui inventore io per me son convinto che il premio per la sua diabolica invenzione glielo stanno dando nell’inferno, perché con lei diede modo che un braccio infame e codardo tolga la vita a un prode cavaliere, e che senza saper né come né da dove, nel pieno del vigore e dell’impeto che anima e accende i forti petti, arrivi una palla sbandata (sparata da chi forse fuggì, al bagliore di fuoco prodotto dalla maledetta macchina), e recida e dia fine in un istante ai sentimenti e alla vita d’uno che avrebbe meritato di averla per lunghi secoli. E quindi, considerando ciò, sto per dire che mi duole nell’anima d’aver abbracciato questa professione di cavaliere errante in un’età così odiosa qual è quella che oggi viviamo; perché sebbene a me non ci sia pericolo che faccia paura, ciò nonostante, mi esaspera il pensare che della polvere e del piombo abbiano a negarmi la possibilità di rendermi noto e famoso per il valore del mio braccio e il filo della mia spada, per tutto quanto il mondo conosciuto. Ma faccia il cielo ciò che crederà, che se riesco nel mio proposito, sarò maggiormente stimato, per aver affrontato ben maggiori pericoli che non quelli ai quali si esposero i cavalieri erranti dei passati secoli."

La chiarezza del testo, l’atteggiamento reverenziale per Cervantes e la fiducia che ho dei miei dieci lettori mi trattengono dal commentare quanto don Chisciotte ha recitato nella sua pseudo follia. Citerò piuttosto, per associazione, due interventi di questi giorni. Il primo di Pietro Ingrao sul disarmo, fatto poco dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre scorso. "Com’è lontana, perduta, cancellata nei pensieri (e persino nei sogni) quella parola ‘disarmo’, che, circa un secolo fa, Jaurés pronunciava come una speranza, anzi come una necessità del mondo nuovo. Ci saranno ragioni profonde per questa scomparsa. Io mi limito ad annotare che a questa data del 2001, e dopo l’evento di Manhattam, quelle sillabe – disarmo – non sono ormai più sulla bocca di nessuno. O quasi. Vedete come i vocaboli cambiano vorticosamente." (Il Manifesto, 16.09.01).Leggo in queste parole lo sgomento dell’uomo politico, condivisibile o meno nelle sue posizioni, che ha speso la vita per quei valori che sono il fine stesso della politica, intesa non tanto come interesse di bottega, quanto piuttosto come raggiungimento del bene comune. Vedo lo stesso rammarico e dolore, espresso da don Chisciotte nel costatare che gli uomini non tengono in conto la vita, il rispetto e l’onore che essa merita, valori sommi per l’uomo civile.

La seconda citazione. "Dopo due notti di missili e attacchi aerei sull’Afghanistan, e con la prospettiva già ufficialmente annunciata di tante altre notti così, è inutile continuare a nascondersi dietro le parole e le sottigliezze semantiche. Questa è una guerra…Questo è un conflitto che non ha riferimento alcuno di quelli che lo hanno preceduto… E’ una "netwar", secondo la definizione di due analisti della Rnd Corporation, ripresa ieri sull’ "Herald Tribune" da David Ignatius. Nella "netwar" il nemico non è un esercito tradizionale, né un movimento politico omogeneo, e neppure una guerriglia organizzata. Ma sono gruppi che operano come poli interconnessi di un "network" elettronico… Nella "netwar" il motto dei moschettieri della NATO – uno per tutti, tutti per uno – non funziona, anzi può essere deleterio.... In altre parole, se l’America e i suoi alleati avanzano in formazione dentro l’Afghanistan contro un nemico sparpagliato e invisibile sono destinati a perdere". (Paolo Galimberti, La Repubblica, 09.10.01). Con un atteggiamento meno accorato del precedente, ma altrettanto realistico e partecipe, lo scrittore rileva la natura della guerra in atto ed evidenzia la possibilità, anzi l’inevitabilità, della sconfitta, elemento non irrilevante, accanto ad altri, per esprimere un giudizio di condanna della guerra stessa.

Un ultimo accenno ai don Chisciotte sparsi in ogni parte del mondo che si oppongono sia al terrorismo sia alla guerra. Le ragioni del pacifismo possono apparire deboli di fronte alla pseudo razionalità dell’uso delle armi per sconfiggere il male. Ascolto le fonti d’informazione e mi rendo conto che quanti sostengono la necessità della soluzione concordata e diplomatica dei conflitti appaiono all’opinione pubblica dei tipi con un elmo in testa ricavato da un vecchio catino, che cavalcano un cadente Ronzinante ed impugnano una vecchia spada arrugginita, che si accompagnano ad un rotondotto contadino ignorante, che si prendono pietre in faccia ogni volta che chiedono di andare a rendere omaggio alla bella Dulcinea del Toboso.

Ho visto sfilare in ogni parte del mondo tanti don Chisciotte che chiedevano la pace ed a questi mi associo, nonostante l’apparente virilità e forza di chi vuole la guerra, spirale di violenza che non risolve i problemi, anzi ne crea dei nuovi.

Caro vecchio Cavaliere errante! Da quattro secoli percorri le strade del mondo, sei deriso e sei compreso, sei amato e sei sbeffeggiato, sei cacciato e sei accolto. Ti rivolgo una piccola grande supplica: prendimi alla tua sequela per le strade del mondo, insieme a tanti che ti hanno seguito e ti seguono. So che al termine del tuo cammino c’è la morte per incomprensione. Ma preferisco la tua morte a quella causatami da un colpo sparato alle spalle, da qualsiasi parte esso provenga, che mi toglie la possibilità di combattere a viso aperto con le mie forze, di vedere in faccia contro o per chi combatto. Don Chisciotte muore, lunga vita a don Chisciotte!

(15 ottobre 2001)

Mario Arnoldi